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MAR ADENTRO

Publie le giovedì 23 settembre 2004 par Open-Publishing

Dazibao Cinema-video - foto Enrico Campofreda


di Enrico Campofreda

Se non abbiamo scelto di vivere, lasciateci almeno la libertà di morire.
Il cileno di Spagna Alejandro Amenábar, dopo il gotico e tenebroso ‘The Others’ cambia
registro e sceglie un tema etico: il diritto all’eutanasia, che ne introduce
uno filosofico: il diritto al libero arbitrio.

Lo fa narrando la storia verissima e toccante dell’ex marinaio galiziano Ramòn
Sampedro, rimasto tetraplegico a seguito d’un distratto tuffo nell’infido mare
di casa. La risacca gli è fatale e il colpo subìto lo lascia completamente paralizzato,
così vive dai venticinque ai cinquantacinque anni, assistito amorevolmente da
cognata, fratello, nipote e padre. Ma ben presto Ramòn ha la nausea di quella
vita-non vita, lui che ha girato il mondo proprio non si vede inchiodato a letto,
con la sola possibilità di muovere la testa e scrivere versi con un pennello
mosso con la bocca. Perciò intraprende una battaglia legale per il riconoscimento
del proprio diritto d’interrompere quello stato che non gli dà più il gusto della
vita. E nel farlo incontra una popolarità crescente e l’appoggio di associazioni
che fanno proprio quello spirito di libertà.

Incontra anche gli occhi dell’avvocatessa Julia (la fascinosa Belén Rueda) che avvicinatolo per sostenerne i princìpi rimane impigliata nella sensibilità di Ramòn, nei suoi sogni, nel suo modo di tener su il morale e lo spirito osservando il cielo e le colline dall’ampia vetrata della sua camera pensando di volarci sopra.
Ramòn vola sui cuori anche di altre donne: dalla cognata che lo assiste quasi fosse il figlio o il suo compagno, a Rosa, un’operaia di un’industria conserviera, madre separata di due bambini, che la sera conduce un programma radiofonico su un’emittente locale. Dopo il primo contrastato incontro Rosa diventa un’assidua visitatrice del marinaio e dall’attrazione iniziale ne segue un sentimento. Stessa situazione per l’avvocatessa Julia, sposata ma in sintonia con la condizione del tetraplegico perché affetta lei stessa da sclerosi con progressiva perdita della deambulazione. Scoperta la vena poetica e la bravura di Ramòn, Julia gli propone di pubblicare un libro che sia un grido di dolore di quella condizione e ne sostenga il ricorso legale. Mentre i due lavorano, la donna gli manifesta la passione e gli promette che terminata la tiratura del libro a Barcellona tornerà in Galizia per poter dar seguito al progetto di eutanasia che Ramòn desidera attuare. Intanto l’associazione che ne ha sostenuto la battaglia legale di fronte alla Suprema Corte deve accettarne il verdetto sfavorevole.
Ma l’ex marinaio riuscirà nel suo intento. Al fianco non avrà più la bella Julia (sia per il peggioramento della malattia sia per un riavvicinamento al marito) bensì la determinata proletaria Rosa, attiva con altri amici nel procurare la dose letale di cianuro. Nella storia vera la catena di solidarietà rimase elevata e un migliaio di persone si autodenunciarono per la morte del tetraplegico.

Certo la scena conclusiva del film dove con volto sereno Ramòn beve la pozione mortale e davanti a una cinepresa testimonia l’ultimo atto del suo Calvario annunciando la fine: “Bene”, “Caldo”, “Arriva”, fa salire altissime emozione e tensione. Ma l’effetto non è per nulla quello del voyeurismo d’una tivù verità. Il merito dell’ottimo lavoro di Amenábar sta nel far meditare sulla vita che “è un diritto, non un obbligo”, come ricorda Ramòn.
E se spesso non riflettiamo sul valore di questa condizione confondendo gli affanni con la disperazione, è anche vero che vivere significa conservare la propria dignità e la gioia che tale stato crea.

Ramòn pur con la spiccata intelligenza, la vivacità, l’umorismo, l’empatia, l’amore per gli altri è ridotto come la larva della Metamorfosi kafkiana e non si sente più uomo. Come non può sentirsi uomo il malato terminale che subisce, contro la sua volontà, un inutile trattamento terapeutico. Perciò Sampedro vuol morire e lo ribadisce contro tutto e contro tutti con lucida fermezza. Al padre gesuita anch’egli tetraplegico, che gli impone una visita per testimoniargli il valore della vita, lui ribatte che un valore imprescindibile è la liberazione da uno stato umiliante e non dignitoso. Una scelta laica opposta a un modo arcaico d’intendere la religione come soffocamento d’ogni anelito umano.

A una pregevole fotografia il film aggiunge una melodica colonna sonora curata dal versatile regista-musicista che mostra una passione melomane seminando qua e là brani celebri del belcanto. Meritato, dunque, è il Gran Premio della Giuria riservatogli a Venezia, come meritato è l’altro riconoscimento della rassegna (Coppa Volpi) quale migliore attore per Javier Bardem. Per due ore i suoi occhi, la mimica facciale su un volto invecchiato di vent’anni dal trucco, inchiodano il cuore dello spettatore. Una recitazione superba per il tenebroso spagnolo che conferma la bravura già esibita in “Prima che sia notte” e “I lunedì al sole”.
Pellicola eccellente, di enorme spessore morale per un tema delicato e profondo. E se non si raggiunge la leggerezza che sull’argomento aveva mostrato Arcand con “Le invasioni barbariche” si resta coinvolti senza cadere nel melodramma. Pensierosi, magari lacrimanti, ma pacificati come l’ultimo ridente sguardo di libertà del fiero Ramòn.

Regia: Alejandro Amenábar.
Soggetto e Sceneggiatura: Alejandro Amenábar, Mateo Gil.
Direttore della fotografia: Javier Aguirresarobe.
Montaggio: Ivan Aledo.
Interpreti principali: Javier Bardem, Belén Rueda, Celso Bugallo, Lola Duenas, Joan Dalman, Mabel Rivera, Francesc Garrido.
Musica originale: Alejandro Amenábar.
Produzione: Alejandro Amenábar, Fernando Bovaira, Emiliano Otegui.
Origine: Spagna / Francia / Italia, 2004
Durata: 125 minuti.

Info: Sito Ufficiale del film / Sito ufficiale del regista.
Approfondimento: Drammaturgia.it / Castlerock / Spietati.it
Amenàbar in Lankelot: “The Others”.

http://www.lankelot.com