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Video per video
La doppietta della decapitazione dell’americano Paul Johnson esibita in un sito web da Al Quaeda e del cadavere di Abdulaziz Al Muqrin esibito dalla tv saudita ha finito di svelare il dispositivo simbolico centrale della guerra preventiva, che altro non è se non quello banale e regressivo dell’occhio per occhio dente per dente, postmodernizzato in salsa visuale. Guai a pensare che sia un codice arcaico di regolamento dei conti interno al mondo arabo-islamico: a esibire teste come trofei di guerra, in quel caso una testa non mozzata ma ridotta a sembianze beluine, cominciarono con la cattura di Saddam Hussein gli americani, i quali avevano peraltro già dato con l’esibizione delle foto dei cadaveri martoriati dei figli dello stesso Saddam.
Al dispositivo dell’occhio per occhio rispondevano le immagini dello sky-line di Baghdad bombardato, ritorsione speculare di quello di New York stuprato l’11 settembre. E allo stesso dispositivo rispondeva del resto la costruzione retorica dell’argomentazione della guerra preventiva nella National Security Strategy, puntuale annuncio in teoria di ciò che poi è accaduto nei fatti. Ci siamo dunque dentro tutti, occidentali e arabi, stati laici (cosiddetti) e terroristi fondamentalisti. Globalizzazione del ritorno a prima del diritto, regressione a un mondo pregiuridico. C’è in quello che sta accadendo, a dispetto della sequenza apparente di effetti speciali, una matematica esattezza del processo di smontaggio dell’architettura politica moderna.
Crolla lo stato, tornano la guerra illegale, i pirati, i mercenari, i martiri (cyborg e d’ora in poi telecomandati); crolla il diritto, torna la vendetta. Ma tutto questo ritorno di pre accade in forma di post. Infatti accade tutto in video, anzi: per il video. Si uccide, si bombarda, si decapita, si cattura, si sequestra, si tortura per mandare in circolo foto e filmati. La visibilità, scopo e conferma del fare, dell’accadere e dell’essere. Il virtuale a garanzia del reale. Un bel paradosso apocalittico.
La televisione sta uccidendo la realtà, scrisse svariati anni fa Jean Baudrillard e aveva ragione. L’infowar, la guerra condotta con le armi della comunicazione di massa che sono più potenti delle armi di distruzione di massa, produce un effetto di derealizzazione, scrive oggi Paul Virilio (Città panico, Cortina): un effetto di perdita della percezione dei confini del vero e del falso, del giusto e dell’ingiusto, del reale e del virtuale. Visto in tv è vero, finché non decidiamo di spegnere per dimenticarcene, e subito diventa solo verosimile, probabile, eventuale, forse anzi falso, perché anche i telespettatori più assuefatti hanno imparato a sospettare del montaggio...
Fine dell’opinione pubblica, sentenzia Virilio e ha ragione a sua volta: l’opinione pubblica mondializzata è solo un circuito di «individualismo di massa» bulimico, che si nutre e va nutrito quotidianamente non di eventi ma di incidenti, rotture di continuità a sorpresa della storia come gli spot pubblicitari che spezzano le storie dei film. Più grande è l’incidente più l’effetto è garantito, secondo i canoni della soap che richiedono a ogni puntata di essere più emozionante di quella precedente. Altro che la democrazia delle opinioni che detronizzò, solo un decennio cioè un secolo e un millennio fa, la democrazia rappresentativa: siamo ormai, suggerisce Virilio, alla democrazia delle emozioni, tele-predicazione postpolitica direttamente mirata alla sincronizzazione collettiva e globalizzata dell’immaginario.
«La rappresentazione-rappresentanza politica scompare nell’istantaneità della comunicazione, a beneficio di una pura e semplice presentazione». Signore e signori, vi presento una testa mozzata. O un cadavere a pezzi. O un prigioniero al guinzaglio. Questo è il palinsesto: fondamentalista o democratico, sempre più simile, come nel finto teleduopolio italiano.
Il Manifesto