Home > PROFUMO, PUZZA DI BRUCIATO E SPARTIZIONE DELLE BANCHE
PROFUMO, PUZZA DI BRUCIATO E SPARTIZIONE DELLE BANCHE
Publie le mercoledì 22 settembre 2010 par Open-Publishing7 commenti
L’antefatto è notissimo: le dimissioni del top manager bancario Alessandro Profumo dalla carica di Ad di Unicredit, carica che occupava se ben ricordo dal lontano 1998, frutto di un’affermazione personale progressiva, dopo la rapida scalata in Credito Italiano avvenuta negli anni novanta.

Alessandro Profumo sembra essere un self made man inserito non in un American Dream, ma in più modesto Italian Dream, che da giovanetto è partito come impiegato al Banco Lariano, in posizione umile, lavorando durante il giorno allo sportello e la sera “studiando alla candela” per una laurea alla prestigiosa Bocconi.
Poi è “cresciuto”, naturalmente in termini aziendalistici di affermazione personale e di scalata, entrando in McKinsey e successivamente in RAS.
Certo non è uno degli squali finanziari peggiori, ma è comunque un Top Manager, un Banchiere contemporaneo, uno che cura gli impietosi interessi degli Investitori, oltre che i suoi personali, e quindi per tutti noi non può che rappresentare un nemico.
Volendo fare un po’ di chiarezza nell’intricata vicenda del repentino “siluramento” di Profumo, senza troppe pretese di scoprire verità assolute o segreti inquietanti, è bene porsi alcune domande.
Normale avvicendamento al vertice di una delle due più grandi banche della penisola?
E’ l’ipotesi meno probabile, anche se Mercati ed Investitori talora esigono sacrifici umani fra gli stessi VIP che ne curano gli interessi, per spingere l’acceleratore sul valore creato e sul profitto. Non dovrebbe essere questo il caso di Profumo, definibile come un banchiere con tendenze “globali”, ben attento al dividendo da distribuire alla Sovrana Proprietà ed ai Rentiers, orientato verso le grandi acquisizioni [l’HVB tedesca e Capitalia, ad esempio] e il superamento degli angusti confini nazionali.
Esito di una lotta ai coltelli per il controllo di pezzi importanti del sistema bancario nazionale?
Il Profumo di turno ha votato alle primarie del Pd e in qualche modo appartiene a questa trista fazione della politica sistemica, non potendo escludere, nonostante si sia parlato spesso di lui come di un manager “distante” dalla politica, una sua prossima “discesa in campo” Alessandro come prossimo anti-Silvio? C’è chi lo vede come il possibile, futuro, “Papa straniero” nel Pd, il quale dovrebbe risolvere i problemi di questo cartello elettorale che sembra molto vicino allo sfaldamento. Ma i giochi sono complessi più di quanto può sembrare, e l’intricata jungla pidiina, infestata di nomenklature postcomuniste e postdemocristiane in reciproca lotta, prive di qualsivoglia programma ma affamate di posti di potere, è forse un po’ troppo anche per un “collaudato” manager come Profumo, per anni al vertice di un organismo finanziario sempre più multinazionale, che vanta oltre 10.000 filiali in 22 paesi [http://www.unicreditgroup.eu/it/About_us/About_us.htm]. Inoltre, una liquidazione di ben 40 milioni di euro – autentica buonuscita da manager globalista di media tacca – potrebbe suscitare qualche piccola discussione, anche se la cosa non dovrebbe avere troppo peso all’interno della cinica burocrazia pidiina, la quale ha da tempo [e volentieri] rinunciato alla battaglia per la giustizia sociale e la difesa dei subalterni impoveriti, schierandosi apertamente sul fronte opposto. Dall’altra parte della politica sistemica, è fin troppo chiaro che l’interesse di un Berlusconi in difficoltà, in vistoso calo di consensi nei sondaggi – il quale si è finalmente accorto, seppur in ritardo, che la truffa del berlusconismo è ormai scoperta – è proprio quello di controllare quanti più organismi possibili [bancari e non] per mantenersi ancora in sella a qualsiasi costo, e di metterci ai vertici suoi burattini, o comunque personaggi non potenzialmente ostili al suo gruppo di potere e alle politiche, talora feudali, localistiche e regionaliste, che questo esprime, complici le pressioni [e i molti casi i diktat] di una Lega sempre più determinante. Da più parti si ricorda che Alessandro Profumo intendeva fare di Unicredit una vera e propria “banca globale”, confliggendo con tutta una serie di interessi consolidati proprio all’interno del gruppo, non di rado di natura localistica/ regionalista.
C’è di mezzo il solito Gheddafi con i cospicui capitali libici da investire in “paesi amici”?
Anche, ma forse non è la ragione principale del “siluramento” di Profumo, pur potendo avere qualche peso nella complessa vicenda che ha indotto il consiglio di amministrazione della banca a sfiduciare il brillante manager, dando mandato al presidente Dieter Rampl di “trattare la resa” con il manager e attribuendogli temporaneamente le deleghe dell’Ad. In effetti, la banca centrale libica ha un suo alto rappresentate in Unicredit ed una cospicua partecipazione nell’istituto, tendenzialmente in crescita. E’ possibile che nel contrasto fra l’Ad “storico” di Unicredit e i soci, più della controversa questione della “penetrazione libica”, pesi la questione delle Fondazioni, principali azioniste della banca, ormai nemiche giurate del Profumo con aspirazioni “globali”, tendente alla banca unitaria che parla fluentemente inglese e che non dovrebbe piacere molto alle Fondazioni stesse.
Quanto conta in questa vicenda la Lega, che preme da buon parvenu per un suo feudo bancario?
La Lega si è finalmente integrata in “Roma ladrona” – non più tanto sputtanata, se non per tener buoni i bruti nelle sagre padane – ed aspira ad avere un suo peso nelle banche, anzi, vorrebbe una banca importante e “tutta sua”, come la volevano non troppo tempo fa [2005] i capi diessini Fassino, i D’Alema, i La Torre intercettati telefonicamente, che facevano il tifo per l’intraprendente Unipol di Gianni Consorte [al quale D’Alema disse telefonicamente “facci sognare”].
Come i politici diessini di allora[non c’era ancora il Pd], che in pieno 2005 volevano una banca tutta loro a costo di andare a braccetto con i “furbetti del quartierino”, anche i leghisti che ormai fanno parte a tutti gli effetti del sistema della piccola politica corrotta e cialtrona, aspirano ad entrare nei salotti buoni finanziari, pur a livello locale, non potendo puntare più in alto, ad esempio a JP Morgan Chase/ Chase Manhattan Bank, alle guglie più alte del capitalismo contemporaneo finanziarizzato, come farebbero i tutti gli strateghi globalisti che si rispettano … E’ chiaro che la Lega deve accontentarsi di ciò “che passa il convento”, essendo il sistema bancario italiano piuttosto provinciale, ancora in parte protetto e “riserva di caccia” per cordate indigene politico-economiche, nonché giudicato un po’ “asfittico” e arretrato rispetto ai brillanti attori finanziari occidentali del collasso “sub-prime” e della più folle finanza creativa.
La Lega giustifica i suoi appetiti in campo bancario, le sue pulsioni acquisitive, con la necessità di concedere credito alla PMI del nord in agonia, soffocata dal credit crunch e bisognosa di supporto finanziario per poter sperare di sopravvivere ancora un po’, ed in effetti è in parte vero, perché si tratta di una fetta importante del suo elettorato tipico, che deve essere preservata per poter continuare la scalata al potere. La Lega, inoltre, oltre alla naturale avversione per la penetrazione dei capitali libici nel sistema bancario italiano, ha mostrato di essere contraria alla visione politico-strategica di Profumo, un po’ troppo globalista/ mondialista per gli xenofobi-regionalisti padani, ben arroccati nei loro feudi, influenti nella Fondazione Cariverona che partecipa al capitale del gruppo, nonché pilastro principale del IV esecutivo Berlusconi.
In conclusione, tanti sono gli attori della partita per il controllo di Unicredit, dalle Fondazioni ai libici [i cui interessi sembrano divergenti], dalla Lega a Berlusconi [i cui interessi non sempre sono coincidenti], trattandosi di almeno tre o quattro parti in lizza per determinare il futuro della banca, ma ciò che emerge è che sia le Fondazioni sia la Lega, incatenando il gruppo bancario ai feudi sul territorio, respingendo la visione un po’ ”globalista” dell’estromesso Profumo, oggettivamente ed occasionalmente incarnano la resistenza locale/ regionale all’avanzare inesorabile della globalizzazione finanziaria, che prima o poi dovrà investire in pieno anche il sistema bancario italiano, per ora ancora soggetto ai giochi di potere interni.
Più che Profumo, c’è un po’ di puzza di bruciato nella complessa vicenda, che è tuttora in sviluppo non essendoci ancora il successore dell’Ad costretto alle dimissioni, il quale dovrà essere formalmente nominato dal presidente Rampl scegliendo in una ristretta rosa di nomi. La partita è quindi aperta, e se provvisoriamente la vittoria può essere assegnata alle Fondazioni bancarie e alla Lega bossiana, alleati nei fatti contro Profumo, nessuno può escludere colpi di scena futuri.
Ad infima!
Eugenio Orso
22.09.2010
Messaggi
1. PROFUMO, PUZZA DI BRUCIATO E SPARTIZIONE DELLE BANCHE, 22 settembre 2010, 15:10
Unicredit, il gigante dai piedi d’argilla
La battaglia intorno al vertice di Unicredit è certamente uno scontro di potere, che vede all’offensiva la parte meno lungimirante del potere politico italiano (la Lega e i suoi alleati). Ma c’è anche il fondato dubbio che tutto questo battagliare possa avere per premio un gigante malato, non un bancomat pronto a tutto.
Nell’ambiente dei banchieri si ragiona sui dati, non sugli scontri personali. E qui si bada al sodo, ovvero ai conti. Appena dieci giorni fa è stato approvato in via definitva il «Piano di riorganizzazione 2010-2013» del gruppo in Italia. Il quale prevede che dal prossimo 1 novembre si vada alla «fusione per incorporazione nella capogruppo» di tutte le divisioni (Banca di Roma, Banco di Sicilia, ecc). Una centralizzazione fortissima che rovescia il «modello di business» fin qui seguito; motivata fondamentalmente da uno scenario aziendale preoccupante.
Vediamo perché. Il «mark down» (la differenza tra tasso medio sui depositi e rendimento medio lordo) è precipitato dal 3% di fine 2008 al quasi zero di oggi. Ma non, come sostiene Unicredit, a causa dell’«intensa competizione», bensì per la politica di bassi tassi della Bce. In pratica, con i tassi bassi, una banca prende in prestito da Bankitalia all’1%, ma non può non remunerare affatto i propri clienti; ergo, il margine diventa bassissimo. Anche l’attività di prestito, nel primo semestre 2010, si è ridotta: ben 10 miliardi in meno sono stati prestati alle imprese (e qui sta sicuramente la prima ragione della rabbia leghista contro Alessandro Profumo, altro che libici o Dubai). Una mossa «ragionevole» dal punto di vista di una banca, uno «sgarbo» secondo un’azionista importante come CariVerona (fondazione i cui vertici sono a questo punto in mano a geni della finanza come il sindaco scaligero).
Capitalisticamente parlando: se tu, i soldi che ti dovrei prestare, non me li potrai ridare, io non te li presto. Vaglielo a spiegare a un «subfornitore» del nordest che ha bisogno di liquidi per vedere se potrà vivere anche il prossimo anno...
In questo scenario, le «sofferenze» (crediti di fatto inesigibili) di Unicredit potrebbero essere più alte di quanto fin qui stimato nei conti. Ne fa fede l’«andamento storico dell’utile netto», crollato in appena tre anni dai 6,5 miliardi del 2007 ai 669 milioni del primo trimestre 2010. Per una banca con quasi 120.000 dipendenti è addirittura ridicolo. A guadagnare qualcosa, in questi anni, sono state soprattutto le banche territoriali, quelle meno informatizzate e con funzioni «di prossimità». Quelle che sanno se il cliente è solvibile o meno, operando in modo mirato e selettivo.
Unicredit in Italia (all’estero il modello di business è completamente differente) appare come una banca che non serve al tessuto delle imprese, ma non è utile nemmeno a se stessa. E che cerca di tener su la reddività riducendo il costo del lavoro. Dal piano di ristrutturazione vengon fuori altri 4,700 «esuberi», che dovranno riguardare soprattutto il Nord (l’acquisizione di Banco di Roma e di Sicilia ha già «smagrito» il sud, dando fondo alla riserva dei prepensionamenti). Anche questo è diventato legna per la cieca rabbia leghista.
Sia chiaro: un «banchiere» non poteva far altro. Ma probabilmente ha perso la partita prima, nella gestione di un insieme cresciuto di dimensione fino a diventare una babele (si è quasi perso il conto di quante lingue diverse si parlano nelle varie filiali europee); e anche la selezione del management può non essere stata all’altezza del compito. In ambito bancario resta memorabile - in negativo - l’apparizione di Profumo al Tg1 per giurare che non avrebbe «mai» fatto un aumento di capitale. Che poi fu varato due giorni dopo, a mercati chiusi.
La Lega mette le mani su Unicredit sperando di trarne le risorse per puntellare un modello sociale che si va sfarinando. Se è vero - come dicono altri banchieri di punta - che il 5-10% del mondo industriale italiano «sta per andare a ramengo»; se è vero che questo sfasciume sarà fatto soprattutto di contoterzisti; e che «il tremo tedesco» ha cambiato i vagoni, sostituendone alcuni italiani con altri (polacchi, cechi, ecc)... allora per Unicredit il futuro può diventare nerissimo. Del resto, l’esperienza della Lega con le banche è leggendaria: per salvare CreditEuroNord dovettero chiedere aiuto addirittura che a Gianpiero Fiorani...
Tommaso De Berlanga
http://www.ilmanifesto.it/archivi/commento/anno/2010/mese/09/articolo/3416/
22.09.2010
1. PROFUMO, PUZZA DI BRUCIATO E SPARTIZIONE DELLE BANCHE, 22 settembre 2010, 15:58
La questione, come sempre accade negli scontri intercapitalistici ( ed in questo caso si tratta in parte pure di uno scontro intecapitalistico "globale", con in gioco anche interessi tedeschi ed ovviamente libici e persino dell’emirato di Dubai) è un pò più complessa.... e certamente non esistono i "buoni" ed i "cattivi" ....
Profumo aveva oggettivamente trasformato, con varie operazioni, il vecchio Credito Italiano ex IRI, in una banca "globale", con una visione internazionale ... e sempre meno con una logica tutta italiana ....
Se questo indubbiamente lo ha messo in maggiore difficoltà per gli effetti della "crisi globale" ( illuminanti su questo furono, circa 2 anni fa, alcuni articoli su CdC di Uriel, che pure notoriamente non amo ) ... lo ha anche portato a cercare di ridimensionare il ruolo delle Fondazioni di alcune delle banche italiane incorporate, Fondazioni derivanti appunto da alcune Casse di risparmio acquistate, spesso legate agli enti locali.
Di queste, in verità, solo una, la Fondazione CR Verona, è in mano alla Lega Nord ...
Da qui il ricorso di Profumo a capitali esteri di quelli che fanno notizia, la Libia e l’emirato di Dubai ... da qui il progetto di Banca Unica che doveva unificare definitivamente il gruppo Unicredit italiano ed annullare le specificità legate appunto al territorio, tra le quali non scherzava, oltre le vecchie Casse di Risparmio, la specificità tipica della vecchia Banca di Roma, soprattutto sul territorio laziale ....
Questa operazione, però, avrebbe comportato ben 4.700 esuberi nel personale complessivo di Unicredit, peraltro in una situazione occupazionale che già prima del progetto Banca Unica vedeva già altre 900 uscite già concordate di lavoratori nel triennio 2010-2012 ... questo ha ovviamente fatto incazzare i sindacati dei bancari, per cui anche queste Organizzazioni, in genere orientate a sinistra, hanno finito per fare muro con chiunque si opponesse al piano di Profumo, al di là del fatto che costui viene da sempre indicato come "banchiere di sinistra" ... per cui è capitato pure il fatto curiosissimo che il segretario generale del sindacato FALCRI Aleardo Pelacchi, lui stesso dipendente Unicredit ( ex C.R. di Perugia) e notoriamente vicino a Rifondazione Comunista, ha platealmente incontrato il sindaco leghista di Verona Flavio Tosi, che tramite il comune veneto controlla la Fondazione C.R. Verona, per concordare una linea comune contro Profumo ....
E l’operazione sembra essere riuscita, riuscendo a mettere insieme sullo stesso fronte interessi diversissimi ma tutti concordi nell’affrancarsi dalla "dittatura" di Profumo ... ora naturalmente non è detto che non si proporrà più un problema di esuberi di personale in Unicredit, ma saltando con Profumo il progetto di Banca Unica, certamente non si arriverà più a quei numeri allucinanti ....
Ora quindi, se ragioniamo in termini puramente manageriali, Profumo aveva ragione da vendere, voleva razionalizzare una specie di carrozzone ex pubblico con ancora molte incostrazioni clentelari, dandogli una dimensione internazionale ....
Se invece ragioniamo da un punto di vista sociale, il suo progetto comportava notevole perdita di posti di lavoro ma anche un minore legame della banca col territorio e quindi con la clientela minuta .... e qui hanno certamente ragione i suoi avversari, al di là dell’ "assalto alla diligenza bancaria" che sta indubbiamente portando avanti la Lega Nord .. ed anche di interessi poco "nobili" ( come quelli della Mediobanca di Geronzi, di cui Unicredit è il principale socio, e quelli indiretti di Berluskoni sulla gestione del credito in Italia) ...
A dimostrazione del fatto che il panorama economico e/o politico è assai complicato ... e che è appunto difficile distinguere i "buoni" dai "cattivi" .... e la "destra" dalla "sinistra" ....
Radisol
(ripreso da un commento allo stesso articolo su comedonchisciotte.org )
2. PROFUMO, PUZZA DI BRUCIATO E SPARTIZIONE DELLE BANCHE, 23 settembre 2010, 09:59, di Eugenio Orso
Per Radisol
Ciao, sono Eugenio Orso
e sono perfettamente cosciente che la questione è ingarbugliata e complicata, con una molteplicità di variabili che hanno influito sull’estromissione di Profumo.
Il mio articoletto, scritto in velocità e alla buona, è forse un po’ parziale, e me ne accorgo ora.
Avrei dovuto parlare di Cesare Geronzi e dei suoi legami con Berlusconi, avrei dovuto considerare il ruolo specifico, nella vicenda, dei tedeschi, nel contempo definendo meglio la posizione di Rampl, quella di Cucchiani [papabile ai vertici per il dopo-Profumo], quella di Bengdara, rappresentante libico [la Libia dal generoso fondo sovrano d’investimento usata come "cavallo di Troia" contro la gestione Profumo?], e via dicendo.
E’ vero che gli scontri "orizzontali" fra gruppi capitalistici/ élitistici/ dominanti e/o subdominanti danno luogo, non di rado, a scenari intricati e complessi, e così è anche in questo caso, pur nella periferica Italia.
Nessuno può affermare che in questa vicenda/ scontro di potere per il controllo delle banche in Italia ci sono buoni e cattivi, e sarebbe un’ingenuità affrontare la questione con questa dicotomia in mente.
Per quanto mi riguarda, posso solo confermare la sostanza di quello che ho scritto, e cioè che questa mano della partita sembra vinta in primo luogo dalle Fondazioni bancarie [che sono centri di potere economico-politico ma formalmente senza alcuna finalità di lucro] e dalla Lega [si legga La Padania di oggi, in cui Bossi in prima pagina già detta condizioni per Unicredit: "ora bloccare i tedeschi"].
Ciò non toglie con lo scontro non sembra essere ancora concluso – colpi di coda da parte degli sconfitti/ scontenti? – e bisognerà attendere la nomina del successore di Profumo da parte di Rampl per avere più elementi di giudizio.
Saluti e come sempre, in questi casi … Ad infima!
Eugenio Orso
3. PROFUMO, PUZZA DI BRUCIATO E SPARTIZIONE DELLE BANCHE, 24 settembre 2010, 12:16
22/09/2010 - Dichiarazione del Segretario Generale della Falcri Confsal Aleardo Pelacchi sulle vicende del Gruppo Unicredit alla riapertura della trattativa sui 4700 esuberi richiesti per ridurre i costi strutturali di circa 420 milioni di euro, all’indomani delle dimissioni dell’Amministratore Delegato
http://www.falcri.it/documenti/prima_pagina/363.DICHIARAZIONE%20%20STAMPA%20UNICREDITO.pdf
4. PROFUMO, PUZZA DI BRUCIATO E SPARTIZIONE DELLE BANCHE, 24 settembre 2010, 13:57
LA CADUTA DI PROFUMO: NESSUN RIMPIANTO E NESSUNA ILLUSIONE
E’ sempre sbagliato personalizzare troppo gli eventi, ma è indubbio che la caduta dell’osannato ex-supermanager abbia un significato simbolico importante.
Noi non ci siamo mai uniti al coro osannante e possiamo, a buon diritto, criticare il suo operato, non per la scarsa capacità di produrre profitti nell’ultimo periodo del suo regno, ma per la gestione complessiva di tutto il periodo in questione.
Diciamo pure che le sue colpe andrebbero in gran parte condivise proprio da quelli che oggi lo hanno tirato giù dal piedistallo, quegli azionisti silenti che per anni hanno incassato miliardi di dividendi e di plusvalenze, per poi svegliarsi di botto quando il capo ha loro richiesto sette miliardi di euro, con due aumenti di capitale, per restare a galla.
Troppo comodo farlo ora che i risultati non arrivano e Alessandro il grande ha dovuto cercare i rinforzi della cavalleria libica per rafforzare il patrimonio e difendere le trincee nei 22 paesi in cui oggi Unicredit è ramificata.
La sua caduta dovrebbe essere lo spunto, anche, per una riflessione sul modello bancario sorto sulle ceneri della "foresta pietrificata", dopo che il sistema, a larga maggioranza pubblico, è stato sottoposto ad una drastica privatizzazione a partire dal 1990, senza peraltro che si vedessero dei privati con soldi veri da investire. La quotazione ha però reso scalabili le banche (mettendo in pericolo l’"italianità" del controllo), frenetica l’attesa di risultati a breve, ansiogena la gestione corrente.
Da lì è partita la gara a creare concentrazioni sempre più grandi con fusioni spesso discutibili e politiche commerciali sempre più aggressive, con l’aiuto di immancabili consulenti alla McKinsey, perché bisognava alimentare una corsa all’espansione senza fine.
Non è certo Profumo l’unico responsabile per le strategie commerciali forsennate e la corsa a creare colossi creditizi "troppo grandi per fallire", anche se qualcosa di suo lo ha messo: sotto la sua guida il gruppo Unicredit ha conquistato un poco invidiabile primato nella vicenda dei derivati ad aziende ed enti pubblici. Inoltre la sua politica di acquisizioni all’estero dissennate ha portato il gruppo a trovarsi in una posizione particolarmente rischiosa, rispetto alle altre banche italiane, al momento dello scoppio della crisi nel 2008.
In cambio l’ex-A.D ha ricevuto bonus, azioni e prebende da banchiere all’americana, culminate nella liquidazione da 40 milioni di euro, fatti che inspiegabilmente non sembrano intaccare la sua fama di uomo di sinistra, vittima di complotti leghisti o centro-destri.
Adesso è cambiato il solista ma non l’orchestra ed il rischio è, soprattutto, che non cambi la musica per i lavoratori. Per loro gli anni dell’era Profumo non saranno certo ricordati con rimpianto, anche grazie agli atteggiamenti accondiscendenti dei sindacati firmatari, che oggi lamentano il rischio di un nuovo assalto dei partiti alle banche, ma dimenticano il prezzo che i lavoratori devono pagare ogni giorno al "mercato" e alle sue logiche.
Tutti tendono poi a dimenticare che la tanta decantata "autonomia dei manager" ha prodotto, soprattutto nel sistema anglosassone e nel Nord Europa, disastri finanziari inenarrabili, che hanno dovuto essere tamponati con interventi provvidenziali dei "politici", disponibili o costretti a convogliare verso il patrimonio di vigilanza delle banche gigantesche quantità di contributi pubblici, prelevati principalmente dalle tasse dei semplici lavoratori, pensionati e risparmiatori. Anche in Italia non è mancato il ricorso ai Tremonti Bonds, in alcuni casi critici.
Un trasferimento di soldi che spesso grava, in misura doppia o tripla, sugli stessi soggetti, spennati prima come risparmiatori, poi come contribuenti e infine come destinatari di pensioni irrisorie, per garantire i saldi della finanza pubblica.
E’ importante che alla caduta di Profumo corrisponda un cambio di atteggiamento aziendale, soprattutto ora che sono in corso trattative dove la banca chiede deroghe pericolosissime alla normativa (esodi, trasferimenti, mansioni) che rischierebbero di riscrivere, di fatto, il contratto nazionale, seguendo il cattivo esempio di un altro osannato e sopravvalutato manager come Marchionne.
La strada per la banca che vogliamo passa per alcune semplici innovazioni: prodotti semplici, ossigeno creditizio all’economia, utili sostenibili, crescita organica, gestione consensuale del personale, politiche retributive egualitarie e solidali, soddisfazione dei bisogni elementari della clientela, modello di servizio orientato in senso etico e sociale. E’ un modello di banca totalmente diverso da quella costruita in questi 15 anni da Profumo, un modello che tutti gli altri banchieri hanno cercato di imitare, per fortuna con meno successo. La crisi di quel modello è conclamata, ma molti ancora non hanno capito che non è più possibile riprendere a fare le stesse cose di prima, come se nulla fosse successo.
Ci hanno salvati l’arretratezza, la prudenza ed il buon senso, i soli elementi capaci di arginare la modernità devastante dei McKinsey’s Boys. Perché solo noi osiamo chiamare le cose con il loro nome?
C.U.B.-S.A.L.L.C.A.
Credito e Assicurazioni
23 Settembre 2010
5. PROFUMO, PUZZA DI BRUCIATO E SPARTIZIONE DELLE BANCHE, 24 settembre 2010, 18:19
Da un comunicato della Falcri Unicredit di ieri :
...... - determinazione per il premio di produttività di una soluzione che miri ad un recupero economico a favore del personale e permetta a tutti di intercettare gli eventuali benefici di un percorso fin qui irto di ostacoli e di soli sacrifici.
Relativamente all’ultimo punto, facciamo notare che il cambiamento di prospettiva adottato nell’ambito del Gruppo con l’uscita dell’Amministratore Delegato rende ancora più insostenibile la richiesta aziendale di un’ulteriore consistente riduzione del vap. Com’è possibile da parte dell’Azienda pretendere che per i lavoratori sia tempo di sacrifici, proponendo loro di tagliare il premio di produttività per un importo che complessivamente corrisponde alla liquidazione che ora è stata riconosciuta all’Amministratore Delegato?
Falcri Gruppo UniCredit
Milano, 23 settembre 2010 .....
Ma ci rendiamo conto quindi che il costo della "buonuscita" di Profumo equivale più o meno all’ammontare del Premio annuale di Rendimento di tutti i dipendenti della sua Banca ?
Serve altro, al di là di tutte le disquisizioni geo-politiche e geo-economiche sulla vicenda specifica, per capire in che tipo di società stiamo ormai vivendo ?
K.
6. PROFUMO, PUZZA DI BRUCIATO E SPARTIZIONE DELLE BANCHE, 26 settembre 2010, 12:35
A dimostrazione del fatto che una serie di interessi diversissimi, nobili e meno nobili, si sono coalizzati per far fuori Profumo - che del resto se l’è cercata con il suo atteggiamento da "dittatore", non a caso lo chiamano "Mr. Arrogance" - ma ora non sono minimamente d’accordo tra loro sul "che fare" successivo ...
Unicredit e fondazioni De Poli contro Geronzi
Il dominus di Cassamarca: dov’è la nostra azione disgregatrice?
•M I L A N O. L’uscita traumatica di Alessandro Profumo da Unicredit continua ad alimentare polemiche all’interno e sul sistema finanziario italiano. I rilievi di Cesare Geronzi, presidente delle Generali, che aveva puntato il dito contro le fondazioni azioniste di Piazza Cordusio nella gestione del divorzio, sono andati di traverso a Dino De Poli, da decenni dominus di Cassamarca, ente di Treviso che detiene lo 0,8% di Piazza Cordusio. In una lettera inviata a Geronzi e diffusa alla stampa, De Poli concorda con il presidente del Leone di Trieste sul fatto che la cacciata di Profumo non sia «frutto di complotti e di piani orchestrati». «Ma semplicemente – spiega – di decisioni di amministratori responsabili, guidate dalla sana determinazione di una persona altamente valida, com’è Dieter Rampl, che ha agito all’interno di un preciso perimetro di regole e di rispetto dei ruoli».
Poi, però, De Poli replica a Geronzi che, in un’intervista, aveva parlato di gestione dei problemi tra soci e Profumo non degna neanche di una «banchetta di provincia». «In nome di questo malinteso senso del radicamento con il territorio – aveva detto Geronzi – le fondazioni rischiano di disgregare il sistema», mettendo in particolare in guardia dal rischio di «una politica che vuole allungare le mani sulle banche» e di cui «Unicredit è il primo esempio». Riferimento alla Lega che, imbottendo di suoi uomini le Fondazioni, punterebbe a condizionare le banche. Dal suo feudo trevigiano De Poli ha escluso «influenze politiche di alcun genere» sugli enti, rivendicando di aver «sempre difeso l’autonomia delle fondazioni». «Davvero singolare» che Geronzi «se ne dimentichi così velocemente», dopo che grazie all’acquisizione di Capitalia da parte dell’ «Unicredito delle fon dazioni» («operazione veloce, forse troppo, non priva di bocconi indigesti», punzecchia De Poli) è assunto prima alla guida di Mediobanca e poi delle Generali. De Poli ha rivendicato «le scelte rilevanti per il Paese» e «il sacrificio di tante e comprensibili ragioni locali» fatti dalle fondazioni nel percorso di crescita di Unicredit. «Dove era – chiede De Poli –in tutto ciò il malinteso senso del territorio che Lei afferma? Quali e dove erano le camicie verdi che ci ispiravano?». Dove sarebbe, aggiunge ancora, «la nostra azione disgregatrice»? Senza voler alimentare una polemica «sterile», ambienti vicini a Geronzi ribadiscono che ci sono «rischi da non sottovalutare affatto ai quali, in qualche realtà, potrebbe essere esposto il rapporto tra enti territoriali, fondazioni e banche, in nome di una visione di localismo non correttamente inteso». Per ovviare ai quali sarebbe opportuno «pensare per esempio a una disciplina che detti oggettivi, rigorosi criteri di professionalità ed indipendenza nelle designazioni dei membri delle fondazioni e nella indicazione, da parte di queste, dei componenti gli organi deliberanti delle banche».