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Parte dall’India Boycott Bush: Campagna mondiale di boicottaggio dei supermarchi Usa
Publie le mercoledì 21 gennaio 2004 par Open-PublishingMUMBAI (BOMBAY)
 «Bush atao, Dunia bachao»: se Bush va via, la Terra starà meglio. Con questo
 slogan alcuni indiani hanno salutato l’avvio della campagna «Boycott Bush»,
 che è ieri diventata internazionale, in un affollato seminario e con
 l’approvazione dell’assemblea dei movimenti contro la guerra. L’irachena
 Hana pensa che l’iniziativa dovrebbe sbarcare anche nel suo paese, terra di
 conquista delle multinazionali. Anche all’interno degli States sono diversi
 i gruppi che aderiscono all’idea. Bush è l’espressione degli interessi che
 l’hanno eletto; lasciar cadere gli acquisti è visto come un modo di
 pressione concreto contro la «corporateAmerica», l’Impero, le sue guerre, lo
 stato di polizia e il militarismo. In caso di adesioni massicce e
 coordinate, un simile attacco all’immagine e ai profitti può indurre
 cambiamenti di rotta da parte degli «attaccati» e comunque nuocere ai loro
 profitti e all’artificiale espansione economica americana (che favorisce
 Bush); al tempo stesso può sostenere le produzioni dell’economia alternativa
 ed essere un primo passo per l’altro mondo possibile.
L’obiettivo della
 campagna è ambizioso: gli Usa rinuncino a essere una superpotenza arrogante.
 Le richieste si riferiscono infatti non solo all’Iraq ma ai trattati
 internazionali in materia di diritti umani e di ambiente, al disarmo
 nucleare, chimico e biologico, fino alla questione dell’agricoltura - Ogm e
 compagnia.
 Cosa si boicotta? la top list di chi fa la politica Usa (e al tempo stesso
 produce beni di consumo): marchi di benzine Esso, Mobil, Chevron, Texaco;
 CocaCola e Pepsi, Kraft e Marlboro, Microsoft (ormai sostituibile) e Pfizer
(farmaceutica, evviva i generici e la medicina alternativa); anche Mc
 Donald’s, che non ha pagato Bush ma di danni ne fa tanti. In verità la lista
 dei prodotti è da mettere a punto. Le varie campagne nazionali potranno poi
 scegliere i target più adatti. Ad esempio in India le pile Dow Chemical, la
 multinazionale chimica che ha ereditato Union Carbide e si lava tuttora le
 mani della tragedia di Bhopal.
 C’è forse il rischio che i cittadini statunitensi si sentano attaccati e
 reagiscano stringendosi intorno a Bush? «No: sarà nostro compito, da dentro,
 far capire che è lui il loro vero nemico», sostiene Jeff Conant, attivista
 californiano. Come rispondere a chi teme che si perdano posti di lavoro? «Se
 non si consumano quei prodotti, se ne possono scegliere altri, meglio
 locali; dalle nostre noci di cocco in Kerala a tutto il resto», dice un
 militante dell’All India People’s Science Network.
 Boycott Bush (www.boycottbush.org) si intreccia con le azioni contro la
 CocaCola condotte in Kerala come in Colombia e si inquadra nel network
 «Un’altra America è possibile 2004. Sconfiggiamo Bush»: anch’esso parte da
 Mumbai e stabilirà un ponte fra chi lavora contro Bush da dentro e il resto
 del mondo, il quale ha diritto di interferire nelle elezioni Usa, visto che
 della Casa bianca è spesso vittima. È possibile che una stessa compagnia
 appoggi candidati dell’una e dell’altra parte, dunque meglio essere chiari:
 il boicottaggio continuerà anche in caso di sconfitta di Bush, se gli
 obiettivi non saranno raggiunti...
Il Manifesto




