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Realtà del trattato costituzionale

Publie le mercoledì 22 dicembre 2004 par Open-Publishing

Dazibao Europa


Armonizzazione sociale, servizi pubblici, diritti fondamentali, democrazia.
Undici punti chiave del trattato passati al setaccio.


di Michel Soudais

Un assalto di buoni sentimenti ma...

Articolo I-3
" 1. Scopo dell’Unione é promuovere la pace, i suoi valori ed il benessere dei
popoli.
2. L’Unione offre ai suoi cittadini uno spazio di libertà, di sicurezza e di
giustizia senza frontiere interne ed un mercato interno dove la concorrenza é libera
e non falsata.
3. L’Unione opera per lo sviluppo durevole dell’Europa fondato su una crescita
economica equilibrata e sulla stabilità dei prezzi, un’economia sociale di mercato
altamente competitiva, che tende al pieno impiego ed al progresso sociale ed
un livello elevato di protezione e di miglioramento della qualità dell’ambiente.

Promuove il progresso scientifico e tecnico. Combatte l’esclusione sociale e le discriminazioni e promuove la giustizia e la protezione sociale, l’uguaglianza fra le donne e gli uomini, la solidarietà fra le generazioni e la protezione dei diritti dell’infanzia. Promuove la coesione economica, sociale e territoriale e la solidarietà fra gli Stati membri. Rispetta la ricchezza della sua diversità culturale e linguistica e veglia alla salvaguardia ed allo sviluppo del patrimonio culturale europeo.

4. Nelle sue relazioni con il resto del mondo, l’Unione afferma e promuove i suoi valori ed i suoi interessi. Contribuisce alla pace, alla sicurezza, allo sviluppo durevole del pianeta, alla solidarietà ed al rispetto reciproco fra i popoli, al commercio libero ed equo, all’eliminazione della povertà ed alla protezione dei diritti dell’uomo, in particolare di quelli dell’infanzia, oltre che al rispetto rigoroso ed allo sviluppo del diritto internazionale, in particolare al rispetto dei principi della carta delle Nazioni unite.

5. L’Unione persegue i suoi obiettivi con mezzi appropriati, in funzione delle competenze che le sono attribuite nella Costituzione."

E’ l’articolo del trattato citato più spesso. In qualche modo la sua vetrina. I sostenitori del "si’" vi vedono la prova che la Costituzione europea "afferma cosi’ con chiarezza le nuove ambizioni sociali dell’Europa", come affermano Dominique Strauss-Kahn e Bertrand Delanoë (le Monde, 3 luglio). "E’ la prima volta che un trattato corregge gli aspetti liberali dei testi fondatori", si infiamma Daniel Cohn-Bendit (Journal du Dimanche, 19 settembre). L’inscrizione fra gli obiettivi dell’Unione dello "sviluppo durevole", del commercio "equo", del carattere "sociale" dell’economia di mercato che deve tendere "al pieno impiego ed al progresso sociale" costituisce per loro altrettanti indizi di questa correzione. La prova che questo trattato fissa degli "obiettivi progressisti all’Unione europea", secondo le parole usate un anno fa su queste colonne dal deputato Verde europeo Alain Lipietz (Politis, 2 ottobre 2003).

A guardarla da vicino, la sposa che ci presentano é troppo bella per essere reale. Questi lodevoli obiettivi sono largamente contraddetti da decine di disposizioni che, loro si’, sono vincolanti. Qua, la politica sociale é subordinata alla "necessità di mantenere la competitività dell’economia dell’Unione" (art. III-209). Là, deve evitare "di imporre obblighi amministrativi, finanziari e giuridici" alle piccole e medie imprese (art. III-210 par.2b). Non c’é da stupirsene: il testo puo’ certo parlare del suo interesse per l’ambiente o di una vaga preoccupazione sociale, questi buoni sentimenti sono condannati a non essere che pie intenzioni in "un mercato interno dove la concorrenza é libera e non falsata".

Questo inno alla gloria del mercato, ereditato certo dal trattato di Maastricht ma costituzionalizzato qui, non é esplicitamente il valore supremo dell’Unione. Ne é l’obiettivo centrale. Il fatto che questa economia sia qualificata di "sociale" viene cosi’ privato di ogni significato dalla precisazione del carattere "altamente competitivo" di questa economia. Si noterà che l’aggettivo non qualifica più l’economia di mercato negli articoli dove quest’ultima é esplicitata (art. III-177, III-178, III-185). Questi articoli insistono al contrario sul necessario rispetto del "principio di un’economia di mercato aperta dove la concorrenza é libera" da parte delle politiche monetarie dell’Unione, degli Stati membri e del sistema delle banche centrali europee.

Dalle regole del gioco, o piuttosto dall’assenza di regole del gioco economico, si deduce l’avvenire di ogni politica sociale. Con questo metro, ogni aiuto pubblico accordato ad un settore economico, ogni politica industriale, ogni servizio pubblico, persino ogni codice del lavoro é un intralcio alla "libera concorrenza". D’altronde, la libera circolazione delle persone, dei servizi, delle merci e dei capitali, oltre alla libertà d’impresa, sono garantite dall’Unione ed al suo interno", proclama l’articolo I-4. "La legge assoluta del mercato non é più un’opzione da sottoporre agli elettori, constata Raoul Marc Jennar in un opuscolo pubblicato in questi giorni. E’ ormai un elemento acquisito dalla comunità. Non più discutibile."

Questa professione di fede liberale sarebbe stata incompleta senza l’inscrizione della "stabilità dei prezzi" fra gli obiettivi dell’Unione. Assente nella versione iniziale della Convenzione, essa é stata aggiunta dalla CIG in risposta ad una domanda insistente della Banca centrale europea (BCE). I grandi finanzieri dell’UE volevano che avesse un "posto preminente" e figurasse come "principio ispiratore per l’Unione". Volevano soprattutto evitare che i governi inscrivessero nel testo un altro obiettivo economico supremo, come la crescita o il pieno impiego, che avrebbe messo in causa, ai loro occhi, la strategia e l’autonomia della BCE.

Il mantenimento della stabilità dei prezzi costituisce "il principale obiettivo" del sistema europeo delle banche centrali (art. I-30 par.2) e della politica economica e monetaria dell’Unione (art.III-177). Cio’ corrisponde, ne conclude Henri Emmanuelli (esponente del Partito socialista francese, NdT), "ad impedire per sempre ai cittadini di mettere la politica monetaria al servizio dell’occupazione e della crescita".

Il patto di stabilità mantenuto

Articolo III-177

"Ai fini dell’articolo I-3, l’azione degli Stati membri e dell’Unione comporta [...] l’instaurazione di una politica economica fondata sullo stretto coordinamento delle politiche economiche degli Stati membri [...]. Quest’azione degli Stati membri e dell’Unione implica il rispetto dei seguenti principi ispiratori: prezzi stabili, finanze pubbliche e condizioni monetarie sane e bilancia dei pagamenti stabile."

Nel momento in cui la Commissione europea, l’Eurogruppo (i paesi che hanno adottato l’euro come moneta unica) e la BCE trattano un’ipotetico aggiustamento del patto di stabilità, presentato come la prova patente che una riforma di questo patto essenzialmente liberale e monetarista é possibile, quest’articolo ricorda che i criteri di convergenza previsti da questo patto costituiranno ancora a lungo l’alfa e l’omega delle politiche economiche comuni. La loro applicazione ha portato tutti gli stati dell’UE a razionare la spesa pubblica sociale e ad impegnarsi in una corsa sfrenata alla riduzione del costo del lavoro.

Un monetarismo senza controllo

Articolo III-188

"[...] Né la Banca centrale europea né una banca centrale nazionale né un membro qualsiasi dei loro organi decisionali possono sollecitare o accettare istruzioni dalle istituzioni, organi o organismi dell’Unione, dei governi degli Stati membri o da ogni altro organismo. Le istituzioni, organi o organismi dell’Unione ed i governi degli Stati membri si impegnano a rispettare questo principio ed a non cercare di influenzare i membri degli organi decisionali della Banca centrale europea o delle banche centrali nazionali nel compimento delle loro missioni."

Quest’articolo, ripreso dal trattato di Maastricht, sottrae il consiglio dei governatori della BCE, la più occulta fra le istituzioni europee, ad ogni controllo democratico. Attraverso questa indipendenza totale, l’Europa si afferma ancora più liberale degli Stati Uniti, il cui governo conserva un potere d’influenza e di controllo sulla Fed (Riserva federale). Quest’indipendenza appare ben illusoria quando nulla vieta ai banchieri centrali di prendere le consegne dagli ambienti d’affari e dalle lobbies finanziarie.

Quest’ortodossia monetarista é inscritta anche nel bilancio dell’Unione. Esso "deve essere equilibrato fra costi e ricavi" (art. I-53). Con una giustapposizione tragicomica sottolineata da Jacques Généreux, l’articolo I-54 dice: "L’unione si dota dei mezzi necessari per raggiungere i suoi obiettivi..." prima di precisare al capoverso seguente: "Il bilancio dell’Unione é integralmente finanziato da risorse proprie." Per questo economista, membro della corrente Nuovo Mondo del PS (Partito socialista francese, NdT), cio’ "esclude i prestiti, senza i quali, con un bilancio che non puo’ superare l’1,27 del PIL, l’Unione non puo’ intraprendere nessuna azione di rilievo".

La tassa Tobin vietata

Articolo III-156 "Nel quadro della presente sezione, le restrizioni sia ai movimenti di capitali che ai pagamenti fra gli Stati membri e fra gli Stati membri ed i paesi terzi sono vietate."

E’ chiaro e conciso. Il divieto di tutte le tasse del tipo Tobin é qui costituzionalizzato. Questo veto deriva dalla libera circolazione garantita all’articolo I-4 e dal rispetto del sacrosanto "principio di un’economia di mercato aperta ove la concorrenza é libera". E’ anche in nome di questa filosofia che le disposizioni che permetterebbero di armonizzare la fiscalità diretta o l’imposta sulle società, di lottare contro la frode e le evasioni fiscali, contro il riciclaggio del denaro o di impedire il dumping fiscale potranno essere adottate solo all’unanimità dagli Stati. Per Raoul Marc Jennar, "La Costituzione proposta sottomette i popoli europei ad un’Unione europea che aderisce pienamente agli obiettivi della mondializzazione neoliberale. Essa consacra la preminenza di obiettivi commerciali, economici e finanziari sugli altri aspetti della vita sociale, privando l’Unione dei poteri che le permetterebbero di agire".

Dei diritti non tanto fondamentali

Articolo II-112

"[...] 2. I diritti riconosciuti dalla presente Carta, che sono oggetto di disposizioni in altre parti della Costituzione, si esercitano nelle condizioni e nei limiti ivi definiti. [...]

5. Le disposizioni della presente Carta che contengono principi possono essere applicate mediante atti legislativi ed esecutivi adottati dalle istituzioni, organi ed organismi dell’Unione e mediante atti degli Stati membri quando applicano il diritto dell’Unione, nell’esercizio delle loro rispettive competenze. La loro convocazione davanti al giudice é ammessa solo per l’interpretazione ed il controllo della legalità di tali atti."

Quest’articolo, che fissa la portata dei diritti e dei principi della Carta dei diritti fondamentali (parte II del trattato), demolisce uno degli principali argomenti per vendere la Costituzione. Questa Carta - il termine indicava, sotto l’Ancien Régime, un testo che accorda dei diritti concessi dai potenti - é presentata normalmente in modo elogiativo. Si tratta, ci dicono Bertrand Delanoë e Dominique Strauss-Kahn (due esponenti del Partito socialista francese, NdT), della "dichiarazione dei diritti più completa e più moderna fino ad oggi, che consolida diritti sociali molto estesi" (le Monde, 3 luglio). Il suo riconoscimento costituzionale le da un valore giuridico, assicurano in coro i sostenitori del "si’".

Ora, la reale portata di questa Carta é debole. Non solo rappresenta un regresso rispetto a patti o convenzioni anteriori, ma anche a diritti inscritti nelle Costituzioni di molti Stati membri. E’ cosi’ che, in un grande slancio di modernità, essa riconosce "il diritto di lavorare" (art.II-75) invece del diritto al lavoro. Soprattutto, essa resta subordinata alle altre disposizioni del trattato, come indica chiaramente il capoverso 2 dell’articolo II-112, il che contraddice il suo statuto di Carta fondamentale, che dovrebbe conferire la preminenza ai diritti enunciati. Infine, il suo rispetto si impone solo agli atti dell’Unione (capoverso 5) e non a quelli degli Stati membri.

Questo minimalismo fa piacere al capo della diplomazia britannica. "Trattandosi della Carta dei diritti fondamentali, il Trattato comprende clausole di salvaguardia che ci garantiscono che la Carta non crea nuove competenze per l’Unione, non altera alcun diritto esistente e si applica agli Stati membri solo quando trasferiscono il diritto comunitario", si é rallegrato Jack Straw, davanti alla Camera dei comuni il 9 settembre.

Servizi pubblici minimi

Articolo III-122

"Senza pregiudizio degli articoli I-5, III-166, III-167 e III-238, e tenuto conto del posto che occupano i servizi d’interesse economico generale in quanto servizi ai quali tutti nell’Unione attribuiscono un valore e del ruolo da essi svolto nella promozione della sua coesione sociale e territoriale, l’Unione e gli Stati membri, ognuno nei limiti delle loro rispettive competenze e del campo d’applicazione della Costituzione, vegliano affinché questi servizi funzionino sulla base di principi ed in condizioni, specialmente economiche e finanziarie, che consentano loro di assolvere alla loro missione. La legge europea stabilisce questi principi e fissa queste condizioni [...]."

Dopo l’articolo II-96 della Carta dei diritti fondamentali, che, secondo Bertrand Delanoë e Dominique Strauss-Kahn, metterebbe l’accesso ai servizi pubblici "in cima all’ordine giuridico europeo" (si é visto in che modo), quest’articolo é presentato come un passo avanti importante. Notiamo già che la nozione di servizio pubblico, bandita per sempre dal linguaggio eurocratico, é sostituita da quella di Servizio di Interesse economico generale (SIEG), più riduttiva. E’ dunque falso parlare di "inscrizione" nella Costituzione della "nozione francese di servizio pubblico" come si é creduto autorizzato a fare Pierre Moscovici (esponente del Partito socialista francese, NdT).

Tanto più che non basta riconoscere dei diritti. Occorre anche che possano essere esercitati. Ora, questo articolo rimanda ad un’ipotetica legge europea che sarà la sola a dargli traduzione concreta. Essa dipenderà dalla buona volontà della Commissione, di cui si conosce l’ostinazione in materia di smantellamento dei servizi pubblici. L’esistenza dei SIEG resta condizionata ("senza pregiudizio"): essi restano "soggetti [...] alle regole della concorrenza" (art. III-166); "gli aiuti accordati dagli Stati membri o per mezzo di risorse dello Stato, sotto qualunque forma, che falsano o che minacciano di falsare la concorrenza" sono loro vietati (art. III-167). Non c’é dunque niente di nuovo. Questi servizi sono solo tollerati a titolo derogatorio. Da qui i limiti fissati al loro sviluppo e le pressioni esercitate per prevenire ogni "abuso".

L’impossibile armonizzazione sociale

Articolo III-210

" 2. [...] La legge o la legge quadro europea puo’ stabilire misure destinate ad incoraggiare la cooperazione fra Stati membri mediante iniziative che mirano a migliorare le conoscenze, a sviluppare gli scambi di informazioni e pratiche migliori, a promuovere approcci innovativi ed a valorizzare esperienze, con l’esclusione di ogni armonizzazione delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri [...]."

Ecco un esempio fra gli altri del contrasto stridente esistente fra le questioni monetarie, finanziarie e di bilancio, settori per i quali delle istituzioni controllano una batteria di criteri, e le altre. Qui é questione della politica sociale. Il primo capoverso dell’articolo enumera, in una lista impressionante, i settori nei quali l’Unione pretende di sostenere e di completare l’azione degli Stati membri. Si va dal miglioramento della protezione della salute e della sicurezza dei lavoratori alla lotta contro l’esclusione sociale, passando per l’uguaglianza fra donne e uomini sul lavoro o per la consultazione dei lavoratori. Ora, su tutti questi argomenti, il testo rifiuta ogni esigenza precisa. Autorizza la legge europea a prendere misure "con l’esclusione di ogni armonizzazione...". Questa clausola, che si trova a dodici riprese nella Costituzione, ribadisce una cosa ed una cosa sola: l’armonizzazione sociale é esclusa.

Un partito preso atlantista

Articolo I-41

" 2. La politica di sicurezza e di difesa comune comprende la definizione progressiva di una politica di difesa comune dell’Unione. [...] La politica dell’Unione nel senso del presente articolo non assume il carattere specifico della politica di sicurezza e di difesa di certi Stati membri, essa rispetta gli obblighi che derivano dal trattato del Nord Atlantico per certi Stati membri che considerano che la loro difesa comune é realizzata nel quadro dell’Organizzazione del trattato nel Nord Atlantico ed é compatibile con la politica comune di sicurezza e di difesa stabilita in questo quadro.

3. [...] Gli Stati membri si impegnano a migliorare progressivamente le loro capacità militari. [...]"

Se già si poteva dubitare della volontà dell’Unione europea di promuovere un modello sociale alternativo al modello liberale in voga oltre Atlantico, si resta confusi davanti alla volontà riaffermata - era già inscritta nel trattato di Maastricht - di legare la sua politica di sicurezza e di difesa comune alla politica di difesa americana. La "compatibilità" crea in questo settore un legame di dipendenza. Una volta di più, e questa volta su un argomento eminentemente sensibile alla congiuntura, la Costituzione europea, lungi dal limitarsi ad una struttura di decisioni comuni, traccia già le grandi linee della diplomazia che deve essere seguita.

Quanto all’impegno degli Stati membri di migliorare le loro capacità militari, esso é conforme al ruolo che loro riconosce l’Unione europea all’articolo I-5: questa "rispetta le funzioni essenziali dello Stato, specialmente quelle il cui oggetto é di garantire la sua integrità territoriale, di mantenere l’ordine pubblico e salvaguardare l’unità nazionale". La riduzione dello Stato alle sue funzioni regie é da tempo consostanziale al credo liberale.

Una democrazia limitata

Articolo I-47

"[...]. 4. Dei cittadini dell’Unione, almeno un milione, di un numero significativo di Stati membri, possono assumere l’iniziativa di invitare la Commissione, nel quadro delle sue attribuzioni, a sottoporre una proposta appropriata su questioni per le quali questi cittadini considerano che un atto giuridico dell’Unione sia necessario ai fini dell’applicazione della Costituzione. [...]"
Questa nuova possibilità, inscritta nella Costituzione come una misura di "democrazia partecipativa" é stata abbondantemente divulgata dai sostenitori del "si’". Essi l’hanno brandita come la prova finale che l’Unione sarà presto più democratica, non senza far dire al testo quello che non dice. In questo tentativo di sedurre i cittadini, i Verdi non sono stati gli ultimi: "Un milione di cittadini potrebbero proporre una legge europea con una petizione", hanno fatto credere i loro candidati capilista francesi alle europee in un documento elettorale.

Una lettura attenta dell’articolo mostra che non é affatto cosi’. I cittadini non possono che "invitare" la Commissione che fa in seguito quel che vuole. La proposta dei cittadini deve mirare alla "applicazione della Costituzione". Cio’ che esclude ogni domanda di creazione di un servizio pubblico dell’acqua su scala continentale... Supponendo che la Commissione faccia propria una petizione, nulla dice che questa produrrà una legge. Il regolamento, la decisione, la raccomandazione, l’opinione sono anch’essi "atti giuridici" (art. I-33).
"Fra conferire un diritto d’iniziativa legislativa, come fanno credere i Verdi francesi, e sottoporre all’opinione discrezionale della Commissione una proposta c’é un margine considerevole", é l’analisi di Raoul Marc Jennar. Un margine che traduce la distanza fra una democrazia moderna ed un surrogato di democrazia.

La nuova architettura istituzionale elaborata dalla Costituzione non corregge fondamentalmente il carattere tecnocratico dell’Unione. Il rafforzamento del ruolo del Parlamento, mediante l’estensione del processo di codecisione che obbliga il Consiglio dei ministri e gli eurodeputati a concertarsi prima di prendere delle decisioni, non puo’ nascondere che quest’istanza, la sola eletta a suffragio universale diretto, resta un semplice partner legislativo. La Commissione conserva il monopolio dell’iniziativa legislativa. Se l’articolo I-20 par.1 afferma che il Parlamento " elegge il presidente della Commissione", l’articolo I-27 par. 1 precisa che "il Consiglio europeo, deliberando a maggioranza qualificata, propone al Parlamento europeo un candidato alla funzione di presidente della Commissione". Sono dunque i governi che scelgono, mentre il Parlamento é pregato di ratificare la loro scelta. Sola novità: il Consiglio europeo deve tener conto dei risultati delle elezioni europee, il che non autorizza a dire che la Commissione sarebbe frutto del suffragio universale.

Un potere tecnocratico

Articolo I-26

" 1. La Commissione promuove l’interesse generale dell’Unione e prende le iniziative appropriate a questo scopo. Essa veglia all’applicazione della Costituzione e delle misure adottate dalle istituzioni in virtù di quest’ultima. Sorveglia l’applicazione del diritto dell’Unione sotto il controllo della Corte di giustizia dell’Unione europea. Da attuazione al bilancio e gestisce i programmi. Esercita funzioni di coordinamento, attuazione e gestione conformemente alle condizioni previste dalla Costituzione. Con l’eccezione della politica estera e della sicurezza comune e degli altri casi previsti dalla Costituzione, garantisce la rappresentanza esterna dell’Unione. Prende iniziative di programmazione annuale e pluriennale dell’Unione per pervenire ad accordi interistituzionali.

2. Un atto legislativo dell’Unione puo’ essere adottato solo su proposta della Commissione [...]."

A titolo esemplificativo, abbiamo scelto di dare qui uno sguardo ai poteri della Commissione. Queste attribuzioni esorbitanti mescolano poteri legislativi (par.2), poteri esecutivi (attuazione dei bilanci, coordinamento, esecuzione, gestione...) e giudiziari (sorveglianza dell’applicazione del diritto). Una tale concentrazione nelle mani di "un aeropago irresponsabile di tecnocrati al servizi dell’ambiente degli affari", secondo l’espressione di Raoul Marc Jennar, non finisce di stupire. La confusione dei poteri é massima. Montesquieu ritorna!

Una costituzione rigida

Articolo IV-443

" 3. Una Conferenza dei rappresentanti dei governi degli Stati membri é convocata dal presidente del Consiglio per decidere di comune accordo le modifiche da apportare al presente trattato. Le modifiche entrano in vigore dopo essere state ratificate da tutti gli Stati membri conformemente alle loro regole costituzionali rispettive."

L’articolo di cui pubblichiamo qui un estratto chiave enuncia la "procedura di revisione ordinaria" della Costituzione europea. Al termine di una procedura molto complessa che comporta la riunione di una Convenzione, poi di una Conferenza intergovernativa, é richiesta una doppia unanimità. Quella dei governi degli Stati membri ("un accordo comune") e quella dei loro parlamenti, o del loro popolo in caso di procedura referendaria. Abbastanza da bloccare ogni ulteriore evoluzione. Perfino i sostenitori più accesi del "si’" ne convengono: questo catenaccio é eccessivo.

Eppure vogliono credere o far credere che il trattato di Bruxelles resti flessibile e che sarà possibile farlo evolvere. Si parla di due strade.

La prima, quella migliore, consisterebbe nel ricorrere alle "cooperazioni rinforzate". Questo meccanismo introdotto nel trattato di Amsterdam, precisato in quello di Nizza e confermato nella Costituzione proposta, permette agli Stati che lo desiderano di decidere un’integrazione più spinta nelle politiche di loro scelta. Tuttavia questa facoltà é estremamente limitata. Occorre "che almeno un terzo degli Stati membri vi partecipino" (art. I-44), cioé 9 Stati nell’Europa a 25. Le cooperazioni devono rispettare la Costituzione ed il diritto dell’Unione (art. III-416) e non possono riguardare né la politica estera e di sicurezza comune né i settori di competenza esclusiva dell’Unione (art. III-419), cioé l’unione doganale, lo stabilimento delle regole della concorrenza necessarie al funzionamento del mercato interno, la politica monetaria, la conservazione delle risorse biologiche del mare nel quadro della politica comune della pesca, la politica commerciale comune (art.I-13). "Non possono" neppure "recare pregiudizio al mercato interno" e al diritto della concorrenza (art.III-416). La Commissione europea valuta l’opportunità di sviluppare una cooperazione rinforzata prima di sottoporre l’autorizzazione al Consiglio che delibera all’unanimità (art.III-419). Un raggruppamento di governi progressisti avrebbe bisogno dunque dell’improbabile semaforo verde di governi conservatori.

La seconda strada si basa sulla tecnica della "clausola passerella". Si tratta infatti di una procedura di revisione semplificata esposta negli articoli IV-444 e 445 e presentata da Bertrand Delanoë e Dominique Strauss-Kahn come una "innovazione chiave che da a questo trattato una capacità d’evoluzione superiore a quella dei suoi predecessori". Puo’ riguardare solo la parte III della Costituzione, che tratta le politiche dell’Unione. Nelle materie in cui questo testo prevede che le decisioni devono essere prese all’unanimità, il Consiglio dei capi di Stato e di governo puo’ autorizzare il Consiglio dei ministri a deliberare a maggioranza qualificata. Deve tuttavia adottare questa modifica all’unanimità, prima di farla ratificare da tutti gli Stati membri. "L’innovazione chiave" é un catenaccio altrettanto efficace come la procedura di revisione ordinaria. La Costituzione che ci viene proposta é un blocco. Da prendere o lasciare.

Tradotto dal francese da Karl&Rosa de Bellaciao

L’originale qui:

http://bellaciao.org/fr/article.php3?id_article=11534