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11 settembre, è la presidenza Bush a impedire la verità

Publie le martedì 4 novembre 2003 par Open-Publishing

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11 settembre, è la presidenza Bush a impedire la verità

GIULIETTO CHIESA

Perdonate i teorici della cospirazione! Se hanno fantasie più o meno malate c’è, talvolta, più
d’un motivo. Per esempio la faccenda dell’11 settembre. Sono passati due anni e ancora non si sa
niente di certo. Anzi, quel poco che se n’è saputo, dalle fonti ufficiali, è talmente inattendibile
che solo gente che desidera tenere gli occhi bendati e giocare a mosca cieca può crederci. Il caso,
per altro, è complicato. Molto più complicato della spiegazione, buona per i gonzi, secondo cui
tutto cominciava e finiva con un certo Osama bin Laden. Ma i gonzi da questo orecchio non ci
sentono.

Allora poniamo la domanda in altra forma. Sono passati due anni e in tutto questo tempo le
persone più informate in materia - quelle che, per altro, hanno in mano le indagini - hanno dei
documenti , probabilmente essenziali, ma non li vogliono consegnare agli inquirenti. Per essere più
precisi: la Casa Bianca ha fatto tutto il possibile per impedire prima l’avvio della speciale
commissione d’inchiesta, e poi per ostacolarne i lavori in tutti i modi. Qui i teorici della cospirazione
vanno, come si suol dire, a nozze. Chi sono queste persone è noto. Si tratta di George Bush,
presidente in carica degli Stati Uniti d’America, di Dick Cheney, vice presidente dello stesso paese, di
Donald Rumsfeld, attualmente ministro della difesa, di Condy Rice, segretaria per la sicurezza
nazionale.

E giù, scendendo, letteralmente, per li rami dell’attuale Amministrazione. Di quali
documenti dispongono costoro, che non vogliono condividere? Parecchi a quanto pare, ma uno soprattutto
interesserebbe leggere. Un certo rapporto di una qualche agenzia segreta (nome non rivelato) che,
un mese prima degli attacchi, informò Bush "che Al Qaeda avrebbe potuto tentare di dirottare aerei
di linea". Chi è il teorico della cospirazione che dice queste cose? Un editoriale non firmato del
New York Times del 30 ottobre. Il quale si chiede perché mai questi dettagli siano tenuti segreti.
La cosa appare tanto più madornale, e fonte di sospetti, se si considera che perfino il presidente
della speciale commissione d’inchiesta, un repubblicano che si credeva inoffensivo e per questo fu
scelto dalla "recalcitrante" Amministrazione, ha perso la pazienza. Il senatore Thomas Kean, del
New Jersey, ha minacciato di incriminare l’Amministrazione per rifiuto di collaborare con
l’inchiesta.

L’autorevole quotidiano americano insinua che Bush, forse, non tira fuori le carte perché le
elezioni si avvicinano e lui non vuole far vedere le mirabolanti, straordinarie, iperboliche
debolezze mostrate dal sistema difensivo e di intelligence degli Stati Uniti. Si accampano per questo,
come al solito, "segreti di stato", e si nega l’esistenza di quei documenti. Tra i quali un piano
dettagliato di attacco all’Afghanistan che era già pronto, sul tavolo del presidente il giorno 9
settembre, e, chissà perché, non fu firmato. I teorici della cospirazione pensano che non fu firmato
perché si aspettava che succedesse "qualcosa" che avrebbe reso quella firma molto meglio
spiegabile.

Il New York Times si ferma sulla soglia dell’abisso e scrive, testualmente: "L’avvicinarsi
delle elezioni presidenziali rende il tentativo di fuga dell’Amministrazione ancora più sospetto. La
mancata documentazione e il rifiuto di affrontare la verità non faranno che alimentare le teorie di
cospirazione e minacciare le possibilità dell’America di prevedere future minacce". Parole
calcolate e gravi, che accusano un imperatore bugiardo e reticente di esporre gli Stati Uniti a pericoli
futuri.

Quanti misteri devono ancora uscire? Abbiamo saputo (sempre dalla stampa Usa) che la stessa
mattina dell’11 settembre il Don Rumsfeld trovò il tempo di convocare i suoi collaboratori per dire loro
di "cercare tutto quello che c’è, e anche quello che non c’è", per accusare l’Iraq. Una prontezza
di riflessi assolutamente fantastica: Rumsfeld aveva già, mentalmente, concluso una guerra non
ancora cominciata (Afghanistan) e stava già pensando alla seconda. Tutto nella mattinana dell’11
settembre. E nei giorni immediatamente successivi - si è saputo dopo due anni (NYT del 4 settembre
2003) - la Casa Bianca (rivelazione di Richard Clarke, che guidava il team dell’Amministrazione per
far fronte all’emergenza) autorizzò l’evacuazione segreta dagli Stati Uniti di circa 140
"influenti" sauditi, tra cui molti membri della famiglia bin Laden.

Tutti gli aerei erano bloccati a terra,
in quei giorni, l’America era ferma, paralizzata, angosciata, in difesa, ma alcuni aerei si
alzarono, con il permesso del presidente, per portare via un gruppo di persone che, come minimo,
dovevano essere incluse tra i sospetti, e quindi interrogate. Qui non è questione di incompetenza, di
errori, di incapacità: quella fu una scelta. Per non cedere alla tentazione di pensare a un complotto
(non a quello di Osama bin Laden) bisogna proprio fare un grande sforzo.