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ANALISI DELLA FASE: Nella Ginatempo

Publie le sabato 25 ottobre 2003 par Open-Publishing

Si sono chiusi gli spazi di mediazione tra la struttura di potere che governa il mondo e i
movimenti di oposizione sociale. Il capitalismo globalizzato fa ricorso alla guerra come unico strumento
per imporre un sistema di dominio che ha perso consenso in tutto il mondo. Si approfondisce la
crisi capitalistica e si estende la guerra permanente globale ( Medio Oriente, Siria).

Contemporaneamente si allarga la repressione dei movimenti nei paesi occidentali ( Ma-nota positiva-.nel resto
del mondo crescono i movimenti di opposizione sociale e alcuni paesi sfruttati dalla
globalizzazione cominciano a coalizzarsi per autodifesa economica). Come proseguire nel cammino del nostro
movimento per opporci ai nostri governi complici della guerra globale ? La cosa più sbagliata che
possiamo fare è militarizzare lo scontro nelle piazze dell’Occidente e ricorrere allo
schema-immaginario della rivolta urbana. Infatti proprio perchè l’avversario ricorre alla forza e alla
repressione, è necessario quanto mai estendere la risposta di massa, inventarsi e costruire una disobbedienza
civile pacifica che coinvolga un numero crescente di soggetti e faccia aumentare la radicalità dei
contenuti, salvaguardando la pluralità e l’unità del movimento.Se guardiamo il contesto italiano,
il tentativo di militarizzare lo scontro produce:

-scollamento tra le fasce minoritarie che vogliono praticare le rivolte e la massa dei
partecipanti alle dimostrazioni di massa o alle campagne proposte;

 rottura dell’unità del movimento che si è dato un patto comune basato sulla nonviolenza;

 aumento della repressione e rischio di isolamento degli attivisti colpiti;

 riflusso della partecipazione di massa e svuotamento delle piazze.

Forse chi teorizza questo sbocco politico ha elaborato la guerra praticata dagli USA in IRAQ come
una forma di impotenza del movimento , ritenendo che la più vasta manifestazione del secolo il 15
febbraio abbia avuto un esito fallimentare e che dunque le forme pacifiche della politica siano
solo una inefficace "testimonianza" di cui ormai non dobbiamo curarci più di tanto. Io credo invece
che si sia trattato di un sintomo, della punta di un iceberg che ci parla di un sommovimento, non
tangibile, non mediatico, ma del cuore profondo della società civile globale. Per la prima volta
nella storia siamo di fronte ad una vera rivoluzione culturale sul tema della guerra e della pace.
In Italia, poi ,appare chiaro, dalle bandiere arcobaleno, dalle innumerevoli iniziative e
manifestazioni, dal coinvolgimentp di reti di soggetti locali che il ripudio costituzionale della guerra è
diventato non solo un pezzo di carta ma un valore introiettato a livello di massa, cioè la vera
costituzione materiale della nostra società.

Tutto ciò costituisce l’inizio di una nuova civiltà che
deve farsi strada dentro la gigantesca crisi di civiltà che stiamo vivendo. E possiamo ben dire
che non basta ancora per cambiare i rapporti di forza e fermare la guerra globale. Io non so cosa
succederà in futuro, quali lotte si generalizzeranno, quali livelli rivoluzionari di massa si
raggiungeranno. Ho capito però due cose:

a) il cemento di questa variegata umanità che ha partecipato all’opposizione alla guerra, nella
quale confluiscono più generazioni, più strati sociali, più esperienze, più etnie, più
organizzazioni è la nonviolenza. Si tratta di una moltitudine pacifica che ha uno stile culturale ed è
completamente refrattaria ai modelli di guerriglia urbana. Vedi il consenso che aveva il nostro movimento
dopo Genova e dopo Firenze: la società civile, in tutte le sue figure sociali, aveva fiducia nei
nostri contenuti e nei nostri metodi.

E’ questo che ha consentito la riuscita di Cosenza e il
"siamo tutti sovversivi". Il consenso di massa era legato all’immagine di un movimento libertario e
idealista che lotta con metodi pacifici e democratici ma viene ingiustamente represso da uno Stato
autoritario. La violenza era tutta dalla parte degli apparati e di chi impediva la libera
espressione del dissenso. C’era però un tacito patto, una inevitabile simpatia tra il grande popolo della
pace, anche quello che stava ad aspettare a casa e si limitava ad appendere le bandiere arcobaleno,
e i cosiddetti noglobal. Il patto era basato sul metodo della nonviolenza che contiene al proprio
interno la disubbidienza civile, le azioni dirette illegali, e dunque anche le azioni ribelli di
pochi ma esclude la distruttività e la violenza.

b)il contesto politico attuale in Italia e in Europa è lo stato nascente di una rivoluzione
politica in cui le forme verranno cambiate radicalmente.Una prova indiretta di ciò è il fatto che ogni
volta che si avanzano pratiche gruppettare o forzature di partito o schemi di delega, la reazione
del movimento è la sparizione con effetto carsico dovuta alla diffidenza, invece ogni volta che si
attivano meccanismi circolari di partecipazione allargando i cerchi sempre di più e collegandoli
tra loro, sulla base di metodi pacifici e condivisi, la partecipazione aumenta in modo
esponenziale. Vedi il modo in cui è stato costruito Firenze e poi Roma del 15 febbraio.

Credo che il consenso di questo grande popolo e l’allargamento della partecipazione siano in
questo momento politico il bene più prezioso da coltivare. Credo che le rivolte urbane di massa possano
svilupparsi a certe condizioni eccezionali di drammaticità (per esempio se fossimo un paese che
subisce fame sterminio o bombe) ma non possano e non debbano essere forzate da piccoli gruppi di
avanguardie in contesti ancora pacificati e relativamente democratici come il nostro. A Roma e credo
in molte città d’Italia si sono avute rivolte urbane spontanee, non distruttive ma radicali con
blocchi stradali spontanei e scioperi di massa, cortei improvvisati e occupazioni di edifici
pubblici il giorno dopo lo scoppio dei bombardamenti in Iraq. Perchè i sentimenti di un popolo erano
feriti: volevamo la pace e ci conducevano in guerra, forzati complici degli assassini.

La ribellione
la sentivi nell’aria : un torrente, un fiume percorreva quella mattina tutta Roma. Tutto questo
succederà ancora, davanti alle più gravi violazioni, davanti alla guerra. Ma non possiamo, in un
contesto a freddo, quando non si sente tutto questo a livello di massa, teatralizzare i rituali
scontri di piazza, lasciare spazio a gruppetti violenti, rovinare la partecipazione politica dei più.
Ripensiamo alla storia italiana , al movimento del ’’77. Uno dei motivi del declino e della
sconfitta è stato proprio la contrapposizione tra partecipazione pacifica di massa e pratiche gruppettare
violente. Non commettiamo l’errore di spezzare l’unità del movimento.

Dal punto di vista sociale ci sono oggi ampie fasce giovanili delle periferie metropolitane in
Europa che esprimono molta rabbia e distruttività. Penso che soprattutto i giovanissimi di queste
fasce sociali non sanno chi sono perchè non sono nè studenti nè operai e non hanno un futuro. Se
cavalchiamo la loro rabbia allo stato bruto e non facciamo politica con loro inneschiamo dei
meccanismi molto pericolosi sul piano politico. Fare politica con loro significa costruire instancabilmente
progetti, produrre lotte radicali ma costruttive, cioè non violente nei metodi e finalizzate nella
pratica degli obiettivi. Occupare case, produrre servizi alternativi, realizzare nuovi lavori e
nuove agenzie di lavoro alternative, autogestire attività collettive, fare nuova società e nuova
economia.

Una lotta generalizzata per ottenere il reddito di cittadinanza, abolendo le spese militari

Il capitalismo distrugge risorse, compresa la forza lavoro e le vite di milioni di giovani. Ma
un altro modo di produzione chi lo deve costruire se noi andiamo avanti solo a distruggere,
peraltro solo simboli e non meccanismi reali del potere economico e militare ?

Io credo che alzare il livello dello scontro si potrà fare solo se lo faremo tutti insieme, in
modo creativo e nonviolento, in milioni di persone, radicandoci nei territori e diffondendo la
disobbedienza civile di massa.