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Banchieri in manette. E’ un “vizio", di sistema

par Stefano Porcali

Publie le sabato 24 maggio 2014 par Stefano Porcali - Open-Publishing
2 commenti

E’ passato poco più di un anno da quando era finito in manette Giuseppe Mussari, l’ex presidente dell’Abi (l’associazione dei banchieri italiani) per gli “impicci” del Monte dei Paschi di Siena, adesso a finire in carcere è l’ex presidente del Consiglio di Amministrazione di Banca Carige spa nonché attuale vice presidente dell’Abi e della Cassa di Risparmio di Carrara, Giovanni Berneschi.

23 / 5 / 2014

E’ una vera e propria bufera quella che si è abbattuta su Banca Carige, storica banca ligure che alcuni definivano come la “Scajola bank” (anche Scajola è in carcere ma per un’altra inchiesta). Sarà una coincidenza, ma ieri la Guardia di Finanza ha rivoltato come un calzino anche la sede del nnuovo gruppo assicurativo-finanziario UnipolSai a Bologna, nato dalla "controversa" fusione tra la Unipol e la Fonsai del finanziere Ligresti, annche lui finito inn manette con annessi rampolli. Un momentaccio, dunque, per banchieri e squali della finanza, ma che per dimensioni e protagonisti, deve cominciare a far ritenere che questi "incidenti" siano ormai più una norma che una eccezione del sistema finanziario nel nostro paese.

Sulla base dell’indagine coordinata dai procuratori Piacente e Franz, la Guardia di Finanza di Genova ieri ha eseguito 7 provvedimenti cautelari, emessi dalTribunale di Genova, nei confronti di esponenti di spicco del precedente management del gruppo Carige, di alcuni professionisti ed imprenditori immobiliari. I reati contestati agli imputati eccellenti vanno dall’associazione per delinquere, al concorso, alla truffa con l’aggravante della sussistenza di delitti contro il patrimonio, al riciclaggio, al trasferimento fraudolento di valori. Le ipotesi di reato sono aggravate proprio dalla transnazionalità costituita dalla creazione e dall’esistenza, per il loro compimento, di un gruppo criminale organizzato per compiere le attività illecite in più di uno Stato

A Genova, oltre a Berneschi sono finiti in manette anche Francesca Amisano, nuora di Berneschi, in custodia cautelare in carcere; Giovanni Ferdinando Menconi , ex amministratore delegato di Carige Vita Nuova spa, finito agli arresti domiciliari: Ernesto Cavallin, imprenditore immobiliare, agli arresti domiciliari; Davide Enderlin, avvocato, cittadino svizzero, in custodia cautelare in carcere; Sandro Maria Calloni, imprenditore, in custodia cautelare in carcere; Andrea Vallebuona Andrea, commercialista di Genova, in custodia cautelare in carcere. L’indagine ha portato a scoprire l’indebita appropriazione di cospicui fondi aziendali mediante la distrazioni di ingenti somme di denaro dalla cassa della società assicurativa del gruppo Carige attraverso acquisizioni, in forma diretta o indiretta, di immobili e partecipazioni societarie sopravvalutati e celati dietro articolate operazioni commerciali e finanziarie, aventi l’esclusivo fine di giustificare l’esborso di somme di denaro assolutamente sproporzionate rispetto ai reali valori dei beni oggetto di compravendita. In un periodo collocato dal 2006 al 2009, gli acquisti “gonfiati” di società facenti capo a prestanome, sono finiti in Svizzera. Il malloppo sarebbe di circa 22 milioni di euro, parte dei quali sono stati impiegati per un rilevante investimento immobiliare sul territorio svizzero, i cui titolari risultano essere i massimi vertici del gruppo Carige al centro delle attenzioni della stessa attività di vigilanza della Banca d’Italia.

23 Maggio 2014

Stefano Porcari

http://contropiano.org/economia/item/24171-banchieri-in-manette-e-un-vizio-di-sistema

http://www.globalproject.info/it/community/banchieri-in-manette-e-un-vizio-di-sistema/17216

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Messaggi

  • L’autore, come si deduce dal testo, è Stefano Porcari ... e non Porcali ...

    Mi scuso per il refuso.

    • Finanza marcia, finale a sorpresa per ‘la banda degli onesti’

      di Giorgio Meletti | 24 maggio 2014

      Non è che le manette in banca non si fossero mai viste. Però un tempo venivano applicate – sporadicamente – a finti banchieri lottizzati dalla politica, incaricati di partito con delega al saccheggio di denaro pubblico. Adesso nel mirino ci sono i mitici privati, quelli che hanno metodicamente distrutto l’economia italiana tappando la bocca ai (pochi) critici con le loro litanie incomprensibili e arroganti sulle virtù magiche del Dio Mercato. La storia sta riservando alla “Banda degli onesti” un finale a sorpresa, e non solo per chi viene raggiunto dai provvedimenti giudiziari dopo decenni di tranquilla impunità, ma per gli stessi cittadini che assistevano da anni, con totale senso di impotenza, alle scorrerie di un’oligarchia coesa e prepotente.

      Nell’originale degli anni ’50 la banda degli onesti composta da Totò, Peppino De Filippo e Giacomo Furia desisteva – dopo lunga preparazione – dalla produzione di banconote false scoprendo che il crimine era impresa fuori della sua portata psicologica. Oggi la storia si ribalta: una cricca di malfattori continua a rivendicare etica e correttezza granitiche, con una supponenza insopportabile se solo la si confronta con i fatti. Alzi la mano il banchiere, il finanziere, il grande imprenditore che non è indagato per qualche impresa a nove zeri. Certo, vale la presunzione di innocenza. Ma qui c’è qualcosa che va al di là. La raffica di inchieste che in pochi giorni ha travolto il Gotha del potere finanziario – l’arresto dei potenti fratelli Magnoni, lo scandalo Ubi Banca che coinvolge il patriarca di Intesa Sanpaolo Giovanni Bazoli, i domiciliari per Giovanni Berneschi, ex padre-padrone di Carige caro al guru delle fondazioni bancarie Giuseppe Guzzetti – indica che qualcosa sta accadendo anche dentro la magistratura. Assordati dalle contumelie di B. contro le toghe rosse con la manetta facile, gli italiani hanno finito per non notare più certe timidezze, se non compiacenze, ben più diffuse nei palazzi di Giustizia delle smanie giustizialiste. L’impressione è che qualcosa sia cambiato, che qualche diga si sia rotta e che la violenta guerra scoppiata dentro la procura di Milano non sia estranea a tutto ciò.

      Un altro elemento lega le inchieste. La magistratura si muove con repentina accelerazione su fatti vecchi di anni, noti da sempre, e sospetti. Nella vicenda della fusione tra Unipol e Fonsai l’avviso di garanzia per corruzione è stato recapitato a Giancarlo Giannini, presidente dell’Isvap, l’ente di vigilanza sulle assicurazioni, un anno e mezzo fa. L’intercettazione telefonica di Piergiorgio Peluso, figlio dell’ex ministro Annamaria Cancellieri ed ex direttore generale Fonsai, che denuncia le porcherie combinate dalla “banda degli onesti” per truccare i concambi azionari tra Unipol e Fonsai è nota da sei mesi. Peluso, secondo una testimonianza raccolta dai magistrati, sarebbe scappato da Fonsai (verso Telecom Italia) per non restare implicato in acrobazie da galera. Sapevamo tutto perché tutto era fatto alla luce del sole. Così si esercita il potere.

      Niente sotterfugi, tutto in piazza. Chiedete a Elio Lannutti, presidente dell’Adusbef ed ex senatore Idv. Non c’è scandalo finanziario che non parta da un suo esposto. Anche Unipol-Fonsai: Lannutti presenta l’esposto a ottobre del 2012 su fatti noti ed evidenti e gli rispondono che ha le traveggole, che è tutto in regola. Basta saper compilare comunicati come quello diffuso ieri dall’Unipol sulla fusione sotto inchiesta: “L’operazione si è perfezionata lo scorso 6 gennaio, dopo un iter durato circa 2 anni, nel corso dei quali sono state ottenute tutte le autorizzazioni ed approvazioni, previste dalla vigente normativa, da parte delle Autorità di Vigilanza competenti”. Testuale, maiuscole comprese. Ma che significa? Significa che la “banda degli onesti” si è mossa per anni attorno a quella sottile linea di confine che separa il territorio del reato dal mondo delle “operazioni di sistema” care a Bazoli.

      Le operazioni di sistema sono quelle che servono a puntellare il potere declinante dell’oligarchia, e vengono travestite da generose invenzioni a favore dell’interesse generale. E di fronte al bene comune in gioco le sussiegose autorità di vigilanza, Bankitalia e Consob, sanno come abbassare rispettosamente i loro fari. Consigliano, approvano, autorizzano tutto. Non si accorgono mai di nulla. Poi quando arrivano i magistrati, come al Monte dei Paschi, accusano il banchiere di turno di “ostacolo alla vigilanza”: cioè di aver rubato senza avvertire le guardie. Ma possibile che la vigilanza, che sta lì per prevenire (perché per reprimere ci sono magistrati e poliziotti) non si accorga mai di niente? Si, è possibile se qualcuno interpreta il suo ruolo come “vigilanza di sistema”. Per fortuna il mercato, quello vero, ci vede meglio della vigilanza. Ieri hanno indagato il capo di Unipol-Fonsai ma in Borsa è crollato anche il titolo di Mediobanca. Indovinate perché? C’è un giudice (forse) a Milano. Sicuramente ce n’è uno invisibile dentro i computer di piazza Affari.

      http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/05/24/finanza-marcia-finale-a-sorpresa-per-la-banda-degli-onesti/998552/