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Berlusconi e Previti pagavano Squillante per comprare sentenze
Publie le lunedì 24 novembre 2003 par Open-PublishingIL giudice a libro paga
Berlusconi e Previti pagavano Squillante per comprare sentenze
di GIUSEPPE D’AVANZO
INFOMERCIAL. I cruciferi del premier cantano l’alleluja: "E’ un’assoluzione piena per Silvio
Berlusconi". Lo dice Gaetano Pecorella, avvocato del presidente. Con altri ingredienti, cucinano la
stessa minestra Sandro Bondi, Claudio Scajola, Renato Schifani, Ignazio La Russa, Francesco Nitto
Palma e "flabellieri e turiferari". "Assoluzione piena" lo si può definire un "infomercial".
L’infomercial fonde due necessità: comunica un’idea e vende un prodotto. Letta la sentenza a Milano, gli
infomercials della rumorosa claque diffondono quest’idea: il tribunale ha liberato Silvio
Berlusconi dall’accusa di aver corrotto i giudici di Roma. Il "prodotto" che si vuole vendere è il solito:
Berlusconi è la preda innocente di un’aggressione giudiziaria a fini politici. Se si vuole
comprendere un’acca, conviene allontanarsi dal frastuono e chiedersi se "l’idea" abbia qualche fondamento
e se "il prodotto" sia autentico o farlocco.
I verdetti dicono che la corruzione non c’è stata sull’affare Sme, sul caso Imi-Sir-Mondadori sì.
L’affresco che si ricava dai due processi: Berlusconi e Previti pagavano Squillante per comprare
sentenze. Detto in altro modo, è vero che Berlusconi esce da questa vicenda senza responsabilità?
E’ vero che il patron di Fininvest è stato "assolto"? E’ vero che non c’è, e mai c’è stata, la sua
mano nei baratti delle sentenze organizzati dal suo socio Cesare Previti? Sentenze alla mano, si
scopre qualche lettura avventurosa e un azzardo farfallino che animerà, c’è da giurarci, l’abituale
repertorio delle verità rovesciate.
Domande. Il processo non è altro che una domanda: chi ha fatto che cosa? L’accusa formula la sua
ipotesi. Le difese la contrastano con controdeduzioni. Il dibattimento pesa gli argomenti degli
antagonisti e convalida, con la sentenza, una ricostruzione dei fatti attribuendone le
responsabilità. Questo è il processo, e per apprezzarne gli esiti bisogna fissare subito il "che cosa" doveva
essere accertato in quest’affare e i possibili responsabili dell’accaduto (il "chi" ). Nel processo,
chiamato Sme, le ipotesi dell’accusa, e quindi le domande a cui i giudici devono rispondere, sono
due. Silvio Berlusconi e Cesare Previti (lasciamo da parte i comprimari), hanno organizzato "un
disegno criminoso per conto di Fininvest spa e sue società controllate, partecipate e collegate...
affinché il giudice Renato Squillante compisse una serie di atti contrari ai suoi doveri di ufficio
e in particolare ponesse le pubbliche funzioni al servizio dei loro interessi; violasse il segreto
d’ufficio; intervenisse su altri appartenenti agli uffici giudiziari al fine di indurli a compiere
atti contrari ai doveri del loro ufficio"? Detto in altro modo, Renato Squillante era "stabilmente
retribuito" per manipolare le sentenze a vantaggio della Fininvest magari intervendo anche su
altri giudici? Silvio Berlusconi, in concorso con Pietro Barilla, ha "remunerato Filippo Verde perché
ponesse la sua funzione giudiziaria al servizio dei loro interessi nell’ambito della controversia
intervenuta tra Iri e Buitoni in ordine alla cessione della pacchetto azionario Sme"? Detto in
altro modo, Berlusconi, Previti e Barilla, con le indicazioni complici di Renato Squillante, hanno
consegnato a Filippo Verde (estensore della sentenza del tribunale di Roma) 200 milioni per
addomesticare l’esito della controversia?
Risposte. La macchina procedurale convalida una sola ipotesi tra quelle formulate nel
dibattimento. Vediamo, allora, qual è la ricostruzione dei fatti ritenuta più attendibile e documentata dai
giudici di Milano.
Sì, il dibattimento ha dimostrato che Renato Squillante era "stabilmente retribuito" da Silvio
Berlusconi e Cesare Previti per favorire gli interessi di Fininvest spa e società sue controllate,
partecipate e collegate. Sì, Squillante ha messo a disposizione degli interessi dei suoi corruttori
le sue funzioni pubbliche barattando per denaro i doveri di probità, imparzialità e indipendenza.
Sì, a Squillante sono stati promesse e poi versate da Berlusconi e Previti ingenti somme di
denaro. Certamente, prova della corruzione è il passaggio di 434.407,87 dollari dal conto Ferrido
(Berlusconi/Fininvest), attraverso il conto di Cesare Previti (Mercier), al conto di Renato Squillante
(Rowena). Non è dimostrato che Pietro Barilla abbia pagato con 100 milioni l’attività di Renato
Squillante per truccare l’esito dell’affare Sme per la più elementare delle ragioni... L’affare Sme
non è stato truccato. Non c’è stata corruzione né corrotti né corruttori, quindi. "Il fatto -
semplicemente - non sussiste". Filippo Verde, che il 19 luglio 1986 annullò definitivamente l’accordo
Iri-Buitoni perché privo dell’approvazione del ministro delle Partecipazioni Statali Clelio Darida,
non fu corrotto. Quindi, Berlusconi e Previti non fecero alcun pressione, attraverso Renato
Squillante, per pilotare la sentenza del tribunale di Roma contro gli interessi di Carlo De Benedetti
(editore di questo giornale e, in quegli anni, patron della Buitoni). No, i duecento milioni che
Filippo Verde ha depositato in contanti sul conto corrente 5335 della Banca di Roma non provenivano,
come sostiene dall’accusa, da un versamento di Pietro Barilla transitato attraverso un conto di
Attilio Pacifico.
Accusatori. I pubblici ministeri Ilda Boccassini e Gherardo Colombo hanno molto puntato sul "caso
Sme". Era l’affare che, a loro avviso, documentava in maniera evidente la costante e prezzolata
subalternità di Renato Squillante alle convenienze di Berlusconi e Previti e agli interessi della
Fininvest. L’accusa immaginava di poter dare forza documentale e definitiva evidenza all’ipotesi
formulata. Era questa: almeno dal 1986, Berlusconi si è avvantaggiato, negli uffici giudiziari di
Roma, della benevolenza di un network di giudici corrotti messo insieme da Cesare Previti. Network
attivo quando c’erano in gioco gli interessi diretti della Fininvest, come nel caso Lodo Mondadori.
Rete capace di barattare gli esiti processuali anche quando non erano in ballo gli interessi della
Fininvest, come nel caso Imi/Sir, o quando questi interessi erano soltanto mediati. Come
nell’affare Sme, dove Berlusconi non aveva alcun interesse diretto, ma solo l’utilità politica di dare un
mano al presidente del Consiglio Bettino Craxi che poi avrebbe regolarizzato le sue imprese con una
legge ad hoc. Forse i pubblici ministeri sono stati travolti da bulimia istruttoria. O forse hanno
sopravvalutato il quadro indiziario raccolto. E’ un fatto che i giudici di Milano non hanno visto
negli argomenti proposti dall’accusa nemmeno l’esistenza della corruzione perché "il fatto non
sussiste", non si è mai verificato. E’ una sconfitta che suona più bruciante per l’accusa in quanto
sull’affare Sme ha giocato le sue carte Silvio Berlusconi nelle sue dichiarazioni in aula, alla
vigilia dell’approvazione della legge che lo ha trascinato in un limbo giudiziario (processo sospeso
finché siede a Palazzo Chigi se la Corte costituzionale il 9 dicembre riterrà costituzionale
l’immunità che si è autoattribuito). E’ la bocciatura di una "circostanza" che non oscura i fatti
accertati perché, è vero, non è stata barattata la sentenza Sme, ma Berlusconi, Previti e la Fininvest
hanno avuto a disposizione "stabilmente" il corrotto Renato Squillante, di qui la condanna del
giudice.
Soci. Berlusconi finge di non vedere che l’esito del processo di Milano lo interpella e lo
coinvolge. Posa a spettatore lontano dello spectaculum iustitiae che ha come protagonista il suo socio.
Spende parole per consegnare una "sincera solidarietà a Cesare Previti". Accorto, evita di sfiorare
(è una sua mossa costante) il cuore della questione. Conviene riassumerla, invece.
I due processi milanesi (Lodo Mondadori/Imi-Sir; Sme) dovevano accertare se Berlusconi e Previti
hanno avuto a libro paga dei giudici di Roma. Berlusconi è stato sottratto dalla Cassazione al
primo processo (Lodo Mondadori/Imi-Sir). E’ incensurato, ha ora rilevanti incarichi istituzionali,
quando era imprenditore ha affrontato le opacità della giustizia della Capitale. Vi si è calato
obtorto collo per proteggere i suoi affari, dicono i giudici. Chi non l’avrebbe fatto? Gli vanno
concesse le attenuanti generiche, conclude la Corte di Cassazione. Con le attenuanti generiche, il
premier si salva per prescrizione. Evita il primo processo dove il suo interesse diretto alla
manipolazione delle sentenze è esplicito (Lodo Mondadori).
Berlusconi deve ora affrontare le due domande del secondo dibattimento (il processo Sme). Mette in
moto ogni difesa per annientarlo. In Parlamento cambia le formule dei reati (via il falso in
bilancio). Modifica le procedure (nuovo iter delle rogatorie). Non è sufficiente. Il processo va
avanti. Così, una nuova legge riscrive le regole del "legittimo sospetto". Il premier ne vuole ricavare
ogni beneficio. Non ci riesce. La Cassazione boccia ogni sospetto sull’imparzialità dei giudici di
Milano. Allora, si decide a tagliare il nodo con un colpo di spada. Si fa approvare per via
ordinaria (è costituzionale?) una legge che lo "immunizza" da ogni giudizio fino a quando è presidente
del Consiglio. Si salva dalla sentenza, ma non dai fatti in cui resta impigliato il suo socio. In
aula, si parla di Previti e lo si sa "longa manus" del premier. I processi vanno avanti e si
concludono. Previti è condannato per due volte.
Nel primo processo a undici anni: ha truccato con Squillante le sentenze Mondadori e Imi-Sir. Nel
secondo, gli infliggono il massimo della pena, cinque anni (la corruzione in atti giudiziari è
stata approvata soltanto nel febbraio del 1992 e i fatti risalgono al marzo 1991, quindi corruzione
semplice). Bisogna ora tirare qualche conclusione ricordando che queste sentenze sono soltanto di
primo grado e non intaccano la presunzione di innocenza degli imputati.
Ecco l’affresco (provvisorio) che si ricava da questi due processi: Berlusconi e Previti
retribuivano stabilmente Renato Squillante per comprare, con il suo intervento, le sue relazioni, le sue
amicizie e pressioni e scambi, le sentenze del tribunale di Roma. No, non hanno comprato la sentenza
Sme, quella sentenza è pulita, non c’è stata corruzione. Hanno comprato la sentenza per l’Imi-Sir
e l’esito dell’affare Mondadori che ha consegnato al presidente del Consiglio il maggiore gruppo
editoriale del Paese. Non appare poco perché, in attesa degli appelli, è legittimo sostenere, dopo
due sentenze, che Berlusconi ha comprato i giudici di Roma grazie agli uffici storti di Cesare
Previti. E non è proprio una buona notizia. Nonostante l’assordante claque e il menzognero
infomercial.