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Bifo : l’immagine dispositivo

Publie le venerdì 28 maggio 2004 par Open-Publishing

Immaginario

 Crocefisso elettrico -La psicosfera asimmetrica -Cappucci neri in città -Pubblicità pornografia tortura - IMMAGINE GUERRA NUDITA’ (una proposta per il 4 giugno)

"L’atto di immaginazione è un atto magico. E’ un incantesimo destinato a far apparire l’oggetto al quale si pensa, la cosa che si desidera, in modo da poterne prendere possesso."( Jean Paul Sartre: L’imaginaire, Gallimard, Paris, 1940)

Quello che ci interessa nell’immagine non è il suo funzionamento come rappresentazione della realtà, ma la sua potenza dinamica, la sua capacità di suscitare e costruire proiezioni interazioni e cornici narrative che strutturano la realtà. Quel che ci interessa dell’immagine è la sua capacità di selezionare tra le infinite esperienze percettive possibili, costituendo un immaginario, un campo di immagini esperibili, così da rendere possibile unimmagin/azione, unattività proiettiva che si protende verso il mondo, che suscita e crea un mondo coerente di oggetti, di esperienze, di relazioni.

Consideriamo l’immagine come dispositivo narrativo, come uno strato della coscienza che modifica le modalità di proiezione del corpo nello spazio, e modifica il significato che attribuiamo allesperienza. Ogni coscienza è coscienza di qualcosa, dice Husserl. Ciò significa che la coscienza è intenzionalità, proiezione di spazio, continuità temporale entro cui si rende possibile il movimento.

Movimento nel tempo. Tempo nella coscienza. Coscienza di qualcosa.

Mentre la rappresentazione ri-presenta la cosa alla coscienza, come se la cosa pre-esistesse immodificabile, l’immagine in movimento di cui parla Deleuze provoca effetti nella coscienza, e predispone la coscienza a produrre effetti nel mondo. Quello che ci interessa è il carattere dinamico dell’immagine, l’azione che l’immagine provoca sul corpo, sul mondo nel quale i corpi si incontrano e si desiderano, e si modificano reciprocamente.

La mutazione tecnocomunicativa produce dei disturbi nella relazione tra corpi, perché produce un disturbo nella elaborazione delle immagini, e delle patologie nellelaborazione interiore del mondo, e nella proiezione relazionale. Il principale compito politico dellera videoelettronica è quello di elaborare strategie videopoetiche, proiezioni narrative, mitopoietiche, dispositivi di costruzione della realtà.

Crocifisso elettrico

Ero a Barcellona, la mattina del 30 aprile, e mi capitò di recarmi alledicola dei giornali in compagnia di Dee Dee Halleck, fondatrice di Paper Tiger tv di New York. Comprammo diversi giornali, spagnoli, italiani, americani. Sulla prima pagina di tutti i quotidiani campeggiava la prima delle tante foto dellorrore che nei giorni successivi hanno inondato il mediascape globale. In quella prima foto si vedeva unimmagine surreale, assolutamente improbabile, eppure perfettamente chiara: un detenuto irakeno crocefisso da fili elettrici con un cappuccio nero e una tunica nura. Contenendo lorrore che la pervadeva, Dee Dee mi ha detto: "Con questa foto Bush ha perduto la sua guerra."

Non so se avesse ragione, ma certo da quel momento la percezione mondiale è cambiata, qualcosa di profondissimo si è rotto nella mente occidentale. La narrazione dominante è sfuggita definitivamente dalle mani del sistema mediatico e
militare americano.

Nel corso del mese di maggio 2004 è apparso chiaro che il processo di trasformazione politica e culturale del mondo ha sempre più come centro la produzione emissione e circolazione di immagini, l’Infosfera. Immagini che producono narrazioni, che spostano la coscienza di milioni di persone, e influenzano l’economia, la domanda, gli investimenti, non meno che la politica, gli spostamenti elettorali, le esplosioni di violenza, la formazione di alleanze.

Il concetto di opinione pubblica non mi pare adeguato per spiegare quel che accade. Non si tratta propriamente di opinione (doxa: discriminazione critica tra proposizioni razionali, dissenso e consenso logicamente motivato), piuttosto di immaginario. L’immaginario è lo spazio dinamico nel quale le immagini innumerevoli che raggiungono la coscienza collettiva si dispongono in formazioni narrative. Attraverso la stratificazione di immagini sulla pellicola mutevole della memoria collettiva si costruiscono dispositivi di proiezione della realtà, dispositivi psichici che modellano lattenzione agli eventi, filtrano le informazioni in entrata, modulano le reazioni psichiche, e in conclusione influenzano il posizionamento e la scelta degli individui.

Il Mediascape nella crisi dello spettacolo pubblicitario

Nella seconda parte del Novecento la pubblicità (advertising) ha costituito il processo generale di modulazione dellimmaginario, ed ha sorretto, motivato e diretto la maggior parte delle produzioni mediatiche. La televisione è stata uno strumento della pubblicità, che infatti ne ha sostenuto interamente gli enormi costi di produzione. La funzione della pubblicità è quella di espandere e fluidificare il mercato per i prodotti dell’industria, ma per far questo il discorso pubblicitario ha costruito un narrazione del mondo, centrata sul consumismo e la sicurezza. La middle classe americana, secondo Oliver Zunz, è stata formata dalla diffusione di un frame narrativo che recita più o meno così: "la vostra vita è ingabbiata dentro la noia interminabile del lavoro, ma in compenso il capitalismo vi garantisce che nei momenti liberi potrete consumare gli ultimi gadgets prodotti dallingegno umano, ed avere una vita relativamente sicura."

Questo discorso è andato in crisi all’inizio del millennio. Dopo la crisi precipitosa della new economy, che ha stroncato l’illusione di un capitalismo di massa destinato ad un eterno boom e ad un’espansione illimitata della base sociale, è arrivato lo shock 911. Lo spettacolo globale non è più quello della sicurezza e del consumo, ma quello del terrore illimitato. La televisione ha sempre mostrato catastrofi, distruzioni, violenza. Ma nel frame narrativo del telefilm, del serial, dell’infotainment che parla di eventi lontani, lo spettacolo dell’orrore aveva un effetto rassicurante. "Quello che accade nei film non può accadere a me".pensava la middle class planetaria. Tutt’a un tratto, l11 settembre del 2001 lo schermo ha fatto uno scherzo imprevisto, dal quale la psiche globale è destinata non riprendersi più. Lo schermo ha mostrato una fiction in due tempi.

Prima una torre che sta fumando, a causa di un incidente del quale non comprendiamo il significato. Poi, venti minuti dopo (giusto il tempo necessario perché le stazioni televisive di tutto il mondo potessero sintonizzarsi) il riconoscimento, la spiegazione, lo scandalo (la rivelazione): un aereo entra nella seconda torre, distruggendola. In quel momento è entrata in crisi lontologia televisiva che per cinquantanni aveva modellato lauto-percezione dellumanità. Quello che stiamo vedendo è fiction o è informazione? si sono chiesti milioni di persone nel mondo in quei minuti. Quando hanno capito che non si trattava di fiction nel senso corrente della parola, bensì di informazione, milioni di persone ne hanno concluso che era saltato il patto su cui si è fondato mezzo secolo di pubblicità.

Da quel momento il Mediascape ha iniziato il suo divorzio dalla pubblicità, ed ha iniziato il suo matrimonio con il Terrore. Il frame narrativo nel quale si inseriscono ora le immagini mediatiche non è più quello che ha promesso per cinquant’anni sicurezza e consumo alla middle class planetaria, perché ora promette quotidianamente una nuova dose di orrore. La televisione mostrava orrori anche prima dell11 settembre, ma erano orrori distanti. Il fatto stesso che la televisione ce li mostrasse diceva che noi eravamo solo spettatori. L’11 settembre ci ha svelato che non è più così. Lo spettatore entra nello spettacolo.

La psicosfera asimmetrica

Nel maggio del 2004 abbiamo cominciato a capire qualcosa di più a proposito della guerra delle immagini che si svolge nella psicosfera globale. Quel che accade nella psicosfera non è linearmente determinabile: la percezione di un messaggio non dipende unicamente dall’esplicito contenuto della comunicazione, dalla quantità del bombardamento mediatico, dalla ripetizione del messaggio. Dipende anche da fattori difficili da determinare in modo consapevole, aleatorie abberranze della decodifica.
La superiorità quantitativa di cui gli Stati Uniti dispongono sul piano militare ed economico non si traduce linearmente in un predominio del messaggio americano, perché sulla ricezione del messaggio intervengono filtri che non sono determinabili in maniera simmetrica. La guerra smuove territori che non sono fisici, provoca terremoti e conflitti in zone della mente che non sono soltanto quelle consce.. Il sistema nervoso occidentale è sottoposto a uno stress i cui effetti sono difficili da prevedere. I bravi ragazzi americani mandati a combattere una guerra in nome del bene divengono pazzi, i loro gesti rivelano abissi di miseria psichica. L’Occidente si specchia in quegli abissi, e la vertigine potrebbe essere fatale. La Mente occidentale è sul punto di collassare.

Ma quali saranno gli effetti del collasso? Quali direzioni prenderanno i comportamenti collettivi, quali nuove culture germineranno, quali illuminazioni diverranno possibili, ma anche quali fanatismi si formeranno?

I rapporti di forza interni al Mediascape (la potenza delle megacorporation, degli apparati statali, l’occupazione del tempo mentale da parte del flusso informativo) influenza in maniera diretta l’Infosfera, ma l’Infosfera agisce sulla mente collettiva (sui comportamenti, sulle scelte della società) in maniera indiretta, asimmetrica, imprevedibile, perché il filtro tra Infosfera e mente umana è la psicosfera. La psicosfera deforma, frammenta, ricompone asimmetricamente il pulviscolo immaginario che proviene dall’Infosfera.

cappucci neri in città

Rientrato a Bologna dopo la manifestazione del primo maggio a Barcellona, mi sono impegnato nell’organizzazione di una performance che ho realizzato in diverse piazze bolognesi con una quindicina di miei amici della telestreet OrfeoTV. Il sound della performance era una voce infantile e dolcissima che ripeteva una canzoncina:

"Viva la guerra viva la tortura

viva la nostra amata dittatura

viva il massacro di donne e di bambini

viva il governo Berlusconi Fini."

La canzoncina era mixata con l’inno americano di Jimy Hendrix. Sullo sfondo di questo sonoro alcuni ragazzi vestiti con colori militari afferravano ragazzi e ragazze che camminavano nella piazza, gli infilavano sulla testa un sacchetto nero, per poi accumulare sul selciato i corpi degli incappucciati.

Negli stessi giorni performance dello stesso genere si sono svolte a Londra, in America, davanti alla casa di Rumsfeld. A Roma un gruppo di giovani ha messo in scena questa azione, ed è stato disperso violentemente dalla polizia. Perché abbiamo compiuto tutti la stessaperformance, senza bisogno di coordianrci? Perché avevamo bisogno di mettere in scena l’orrore, per comunicarlo prima di tutto a noi stessi, e poi per lanciarlo in faccia agli abitanti delle città occidentali. Possiamo star certi che il cappuccio nero entrerà a far parte della coreografia delle dimostrazioni antimilitariste dei prossimi tempi. Ma cosa vuol suscitare questa esibizione? E quali effetti mette in moto nell’inconscio collettivo?

Quali effetti può produrre sulla mente occidentale la campagna di colpevolizzazione che si è messa in moto inevitabilmente dopo la pubblicazione delle foto dellorrore americano?

L’immagine dispositivo

Dobbiamo imparare a calibrare l’effetto immaginario di ogni azione, di ogni immagine che l’azione produce (le azioni hanno soprattutto una valenza visuale, e vanno valutate in base all’effetto che sono in grado di produrre a livello mediatico e soprattutto a livello immaginario). Dobbiamo renderci conto del fatto che le immagini sono oggi il dispositivo politico fondamentale.

Con la parola dispositivo ci riferiamo ad un congegno semiotico capace di modellare serie di eventi, di comportamenti, di modi d’essere, e soprattutto capace di modellare narrazioni, schemi narrativi, proiezioni narrative entro le quali divengono possibili comportamenti sociali prima impensati, e perciò impossibili.

Quale effetto produce il dispositivo colpevolizzante del cappuccio nero? Non ho una risposta univoca, ma penso che un effetto possibile (e pericoloso) sia quello che chiamerei effetto KKK.
Il Ku Klux Klan nacque negli stati sudisti nel 1862, dopo la fine della guerra civile americana, e la sconfitta degli schiavisti. Esposti per lungo tempo alla colpevolizzazione, settori della popolazione bianca di quelle zone assunsero provocatoriamente l’immagine che li colpevolizzava.

"Ci accusate di essere razzisti? Ebbene, metteremo in testa dei cappucci bianchi e andremo in giro a linciare negri, a violentare donne, a bruciare, impiccare, massacrare esseri umani. Li prenderemo nelle loro case, li isoleremo in mezzo alla strada, li inseguiremo, li picchieremo fino a ridurli in fin di vita, poi accenderemo grandi torce per celebrare la nostra viltà. "

Nasceva così il partito dell’orgoglio bianco che a più riprese si è risvegliato nella storia americana, come manifestazione aggressiva del senso di colpa. Occorre ricordare che la fase più intensa e definitiva del genocidio a cui venne sottoposto il popolo dei pellerossa segue proprio la fine della guerra di secessione, e che nel genocidio il popolo americano ritrovò l’unità che aveva perduto negli anni della secessione, e rinsaldò l’equilibrio disumano su cui si fonda la sua identità.

La colpevolizzazione a cui il popolo americano è sottoposto da quando la guerra di Bush si è rivelata per quella follia criminale che è, può sortire un effetto pericoloso che chiamerei effetto KKK. Solo a novembre sapremo se ha avuto il sopravvento la ragionevolezza democratica della multicultura americana, o se ha prevalso il cinismo, l’affermazione rabbiosa della forza senza morale, la compensazione omicida del disprezzo di sé.

La performance dei cappucci neri si può ricondurre all’idea artaudiana del teatro della crudeltà: la messa in scena e ritualizzazione della violenza può aiutare a visualizzare il contenuto inconscio e in questo modo avviare a una soluzione positiva. Ma il decorso della terapia non è lineare, può dare avvio ad esiti perversi. Occorre sviluppare una coscienza scientifica dei processi di evoluzione psico-sociale, e quindi perfezionare in modo consapevole l’attività comunicativa. Occorre ragionare sull’immagine come dispositivo interpretativo e narrativo, capace di predisporre serie di gesti, eventi, doppi legami, crolli.

Nel corso di questo mese di maggio la cosmovisione dell’orrore ha presentato un altro spettacolo, quello della decapitazione di Nicholas Berg. La versione ufficiale di quell’evento non corrisponde probabilmente alla verità. Chi era veramente il giovane Nick Berg, cosa era andato a fare in Iraq, che rapporto aveva con il terrorismo islamico, perché è stato arrestato e poi rilasciato dallFBI, è stato veramente rilasciato dallFBI? Estato veramente catturato ed ucciso da terroristi arabi? E’ morto fra le mani degli agenti americani che hanno poi inscenato una decapitazione poco verosimile, una decapitazione senza schizzi di sangue? Il mistero inquietante della decapitazione ha funzionato nello psichismo occidentale come riequilibratore del senso di colpa provocato dalla visione delle torture di Abu Ghraib, o piuttosto ha rinforzato la percezione di un pericolo intollerabile per la coscienza occidentale? A tutte queste domande non abbiamo una risposta, e non è detto che l’avremo mai.

per una scienza dell’interferenza

Ciò di cui si occupa il mediattivismo non è tanto la controinformazione, quanto l’interferenza. Non serve a molto denunciare le malefatte del potere, se non si è in grado di erodere la base psichica e intellettuale su cui il potere basa il proprio dominio. Il potere non controlla in maniera lineare gli effetti delle sue azioni, esso non è controllo lineare ma innesco di catene asignificanti che possono produrre effetti di tipo contraddittorio. Il mediattivismo agisce in questo spazio di indeterminatezza producendo interferenze nel ciclo della produzione immaginaria.
Interferenza nella circolazione dei segnali che il potere induce nell’Infosfera attraverso i media. Ma l’interferenza può avere caratteri molto diversi, dal semplice sabotaggio dei ripetitori di una stazione televisiva, all’emissione di segnali che si inseriscono nel ciclo infosferico in modo tale da modificare le condizioni di ricezione. Pensate alla Gioconda di Leonardo, e ora immaginate di farle i baffi. Come vedete l’ìimmagine cambia significato, assume un’altra tonalità emotiva, suscita in noi reazioni interpretative imprevedibili. Perturbare il contesto infosferico in cui agiscono i segnali emessi dal potere può modificare in maniera imprevedibile la ricezione di quei segnali, può modificare il piano narrativo creato dal potere in maniera decisiva. Quale che sia la potenza di emissione di cui il potere dispone, la sovversione comunicativa può deviare l’effetto del messaggio anche con dispositivi microscopici, con piccoli segnali divergenti, piccole interferenze marginali. Ma occorre chiedersi con chiarezza scientifica: cosa vogliamo provocare con l’interferenza? Quali effetti vogliamo produrre nella mente collettiva?

Pubblicità pornografia tortura

Nella mente globale durante quest’ultimo mese di perenne esposizione alla visione dell’orrore si è messo in movimento un processo di tipo catastrofico. Lo statuto dell’immagine (rassicurante esteriorizzazione di una corporeità sempre più rimossa) è cambiato dolorosamente. Dopo le foto e i filmati che sono giunti dalle prigioni iraqene, l’immagine chiama in questione il corpo, e la corporeità viene ridotta a spazio della violenza. La percezione pubblicitaria è stata ribaltata, nel mese di maggio del 2004. La nudità umana, che la pubblicità ha sempre utilizzato come piacevole e rassicurante promessa di felicità, ora viene esposta in segno di umiliazione, di ludibrio, di degradazione, di scherno, di annullamento. La foto della signorina bionda che si china sorridente sul cadavere di un torturato steso nella sua bara affogato nel ghiaccio, il gesto della mano inguantata in plastica verde, che solleva il pollice per dire: "OK, I have enjoied it" è una foto agghiacciante, perché riesce a cortocircuitare pubblicità, parodia della pubblicità, orrore puro e foto ricordo di famiglia. Tutto ciò che la pubblicità aveva presentato come immagine della pulizia americana ora appare come la prova della vergogna, della barbarie, della crudeltà. Cosa provoca nella mente puritana dei cristiani evangelici che sostengono la guerra di Bush in nome dei loro valori religiosi la visione del corpo del giovane arabo denudato con la violenza, esposto alla riproduzione fotografica, teletrasmesso via satellite agli sguardi divertiti degli amici del bar, della zia della nonna che prendono il te nel lontano Tennessee, e la visione della sorridente signorina England che indica con le dita della mano i genitali nudi di un giovane irakeno?

Le fotografie di tortura sono intrecciate con le immagini pornografiche di soldati americani che fanno sesso tra di loro. In effetti la maggior parte delle fotografie di tortura hanno tema sessuale. L’immagine della giovane donna che trascina un uomo nudo con una cintura di pelle è un classico dell’immaginario porno della dominatrice, che ha un vasto repertorio in Internet.

Perché i soldati americani si fotografano mentre torturano i prigionieri? Le risposte a questa domanda sono molteplici, e coinvolgono vari aspetti dell’orrore americano nell’era Bush. Il fatto che i soldati si fotografino rivela diverse cose: rivela che essi sanno di avere la complicità dell’intera gerarchia militare e politica, fino al Presidente Bush. In secondo luogo i soldati si fotografano perché nulla è davvero vissuto, davvero goduto, se non è registrato elettronicamente.
La videocomunicazione istantanea fa parte del fun, e nulla è davvero funny se non è registrato. Infine abbiamo la misura della crescente dimestichezza della vita americana con la brutalità. Susan Sonntag si è chiesta: quanto dovremo aspettare prima che venga fuori un videogame "Interrogating the Terrorists"?

Il 20 maggio del 2004, il capo del Pentagono Donald Rumsfeld, questo Goebbels dell’era digitale ha deciso di vietare i videotelefoni nelle carceri iraqene. In questo modo i suoi soldati smetteranno di comportarsi come turisti che girano con videocamere e videotelefoni creando problemi alle autorità. Si limiteranno a torturare in silenzio e di nascosto come hanno sempre fatto gli aguzzini.

La nudità

La visibilità del corpo nudo è inquietante per la cultura maschilista islamica come per la cultura pornografico-puritana. Nel mondo ossessionato dalla merce, dal potere e dall’appartenenza, la dignità sta nell’esibizione della divisa militare, del vestito o del velo che conferiscono identità. Il corpo nudo è l’ammissione di una debolezza, viene inteso soltanto come l’immagine di una sconfitta, di un’umiliazione. La bellezza del corpo nudo è stata cancellata e dimenticata dalla mercificazione, dalla competizione e dalla pubblicità, e poi è stata colpevolizzata dal fanatismo, e sepolta dall’aggressività militare.

Una recente indagine pubblicata al sito www.,medicina.clic ci informa del fatto che

"Quasi due italiani su tre, tra i 22 e i 46 anni, ricorrono alle pillole per l’impotenza prima del rapporto sessuale senza averne davvero bisogno. Ma quel che colpisce di più è che 105 su 801 (13,4%) sono giovani tra i 21 e i 26 anni e ben il 32,1% (258 soggetti) hanno dai 33 ai 38 anni. Oltre la metà dell’intero campione esaminato (51%) confessa candidamente di farne uso quando va in discoteca. Piuttosto temuto anche il primo incontro: più di un partecipante al sondaggio su tre (34%) confida di cercare sicurezza nellaiuto della pillola. Il 40% dice di farlo per paura di non avere l’erezione, il 33 per timore di fare brutta figura e il 27 perché teme di non soddisfare la propria partner."

L’insicurezza, la paura, la competizione, e la mediatiizzazione della relazione comunicativa trasformano il corpo in una macchina disagevole, e lo predispongono ad essere dispositivo di aggressione, di guerra, di violenza, di umiliazione.

Forse la prossima azione comunicativa che dovremmo essere capaci di costruire nelle strade di tutto il mondo consiste nell’esibizione sistematica del corpo nudo. Milioni di persone dovrebbero spogliarsi di fronte a questa guerra, mostrarsi in lunghi cortei di denudati, spogliarsi nelle cerimonie pubbliche, spogliarsi nelle manifestazioni politiche, spogliarsi a migliaia contemporaneamente.

Quando il presidente Bush verrà a Roma il 4 giugno del 2004 non si sa cosa succederà. Forse il movimento pacifista non avrà la forza di ricacciare a mare lo Hitler del nostro tempo, forse ci saranno inutili scaramucce con la polizia, qualcuno verrà picchiato, qualcuno arrestato. Forse invece ci sarà un fiume così vasto di popolo che le città italiane si fermeranno, e l’orrendo idiota che governa alla Casa Bianca accompagnato dall’ammiccante clown che lo ha invitato e lo ospiterà nelle sale delle istituzioni romane, si troveranno circondati e svergognati e impossibilitati ad uscire dai palazzi blindati, e si sposteranno tra nugoli nervosi di uomini armati. Certamente molte migliaia di persone arriveranno a Roma con il cappuccio nero. Se lo metteranno in testa per segnalare al mondo che ormai è evidente cosa vuol dire la politica dei tiranni di Washington e di Roma: accecamento violento del genere umano, imposizione di un cammino cieco verso la comune disfatta.

Ma io credo che sarebbe utile sul piano immaginario un altro gesto, un’altra messa in scena. Centinaia di migliaia di persone che si denudano pubblicamente, insieme, in Piazza Venezia, davanti all’Altare della Patria, folle di uomini e donne che offrono il loro corpo nudo non come testimonianza di un’umiliazione, ma come affermazione della bellezza del corpo umano in tutte le sue forme. La bellezza dell’essere indifesi tra persone non aggressive, la bellezza della debolezza che si riconosce nella debolezza altrui, la bellezza dell’uguaglianza e della libertà.

Milioni di corpi nudi sarebbero l’azione più liberatoria, sprezzante e felice al tempo stesso. Sarebbero l’annuncio di un immaginario possibile che sfugge alla guerra alla violenza e alla sopraffazione, allo spirito di vendetta ed al risentimento, che apre un mondo possibile in cui il contatto è più importante della proprietà, il godimento del tempo vissuto più importante del consumo di tempo rappreso in forma di merce, in cui la grande compassione ha la meglio sullottusità tirannica della potenza militare.