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COMUNICATO CONFEDERAZIONE COBAS: BASTA SACRIFICI!
Publie le martedì 28 settembre 2004 par Open-Publishing• L’opposizione sociale contro il governo Berlusconi
Solo qualche mese fa le forze della reazione sociale e politica erano in
forte difficoltà.
La Confindustria era costretta a licenziare il padrone delle ferriere
D’Amato per insediare alla presidenza il più aperturista Montezemolo. Il
governo di centrodestra di Berlusconi pareva sull’orlo della crisi,
incalzato da una articolata opposizione sociale e da un forte movimento
popolare che, dai luoghi di lavoro ai territori, aveva saputo costruire
grandi mobilitazioni contro la guerra in Iraq e per il ritiro delle
truppe italiane da tutti gli scenari bellici; in difesa di essenziali
servizi sociali quali la scuola e la sanità e contro le “riforme” di
Moratti e Sirchia; per il salario e i diritti come nel caso degli
autoferrotranvieri e degli operai di Melfi; per una migliore qualità
della vita contro le devastazioni ambientali prodotte a Scanzano,
Rapolla e Acerra da depositi di scorie radioattive, elettrodotti,
termovalorizzatori; contro la precarietà e la legge 30/2003 e per la
garanzia del reddito come nel grande corteo del 1° Maggio a Milano.
• La controffensiva di Berlusconi: la controriforma previdenziale
Col sopraggiungere dell’estate invece Berlusconi si è rivitalizzato, ha
messo a segno la “manovrina” da 7 miliardi di euro e presentato un DPEF
che programma tagli di spesa pesantissimi per ridurre il deficit
pubblico e rientrare nei parametri capestro fissati da quella bibbia del
capitalismo europeo che è il trattato di Maastricht.
Ha varato la legge delega sulle pensioni, che assesta il colpo di grazia
(dopo le tre controriforme pensionistiche del centrosinistra degli anni
’90 operate da Amato, Dini e Prodi) al sistema previdenziale pubblico,
senza che CGIL-CISL-UIL, che pure avevano promesso fuoco e fiamme,
abbiano mosso un dito, perché -come chiaramente sostengono Rutelli,
Prodi e D’Alema- anche per il centrosinistra è inevitabile tagliare la
previdenza pubblica, per cui è meglio che il lavoro sporco intanto lo si
lasci fare a Berlusconi senza disturbare troppo il manovratore.
Se la controriforma passerà (devono essere ancora varati tutta una serie
di decreti attuativi), per andare in pensione ci vorranno 40 anni di
contributi a prescindere dall’età o altrimenti 62 anni e almeno 35 di
contributi: una vera provocazione per coloro che vedono allontanarsi nel
tempo il diritto alla sospirata pensione, una reale catastrofe per i
giovani, nella stragrande maggioranza precari, che rischiano veramente
di restare senza pensione.
• Lo scippo del TFR
Ma l’altro scippo con destrezza è quello del TFR (liquidazione), che
sparirà dalle tasche dei lavoratori per finire nei fondi pensione,
aperti (gestiti da finanziarie e assicurazioni private) o chiusi (fondi
di categoria gestiti da sindacati ed aziende); il TFR passerà ai fondi
chiusi secondo il meccanismo riveduto e capovolto del silenzio/assenso
(vale a dire che i lavoratori che vorranno restare nella precedente
posizione e quindi mantenere la vecchia liquidazione dovranno fare
un’esplicita dichiarazione all’azienda e all’INPS e non, come sarebbe
stato normale, viceversa). Si tratta del colpo finale sferrato al
sistema previdenziale pubblico.
Quindi CGIL-CISL-UIL hanno tutto l’interesse a che quest’oscena
“riforma” passi; d’altra parte le loro esigenze finanziarie per
mantenere uno stuolo di funzionari e bonzi sindacali sono talmente
cresciute che non esitano a firmare contratti (come gli ultimi del
commercio e dei dipendenti degli studi professionali), in cui si impone
una trattenuta (vera e propria tangente) sui salari dei lavoratori che
finisce nei cosiddetti enti bilaterali cogestiti dalla parte padronale e
da CGIL-CISL-UIL.
• L’insostenibile pesantezza del carovita
Intanto i salari, gli stipendi e le pensioni sono falcidiati da
un‘inflazione reale che viaggia abbondantemente oltre l’8-10%: da
gennaio ad oggi un pieno di benzina è aumentato dell’11%, i debiti
contratti quest’anno dalle famiglie meno abbienti hanno superato di
oltre il 20% quelli del 2003, il salario medio di un lavoratore vale
oggi 1.384 euro in meno dello scorso anno, con gli stipendi attuali si
fa fatica ad arrivare alla quarta settimana del mese.
• I frutti della neoconcertazione: la vicenda Alitalia
Settembre ci ha subito regalato un bell’esempio di contrattazione
sindacale secondo le regole della neoconcertazione rilanciata e
benedetta da Montezemolo: nella “vertenza” Alitalia CGIL-CISL-UIL (con
l’avallo dei segretari Epifani, Pezzotta, Angeletti) hanno accettato
3.700 esuberi, l’aumento dell’orario e la diminuzione del salario, il
trasferimento di 600 lavoratori da Roma a Milano, la crescita della
parte variabile del salario che coprirà tra il 25 ed il 40% della busta
paga, la
privatizzazione e lo smembramento dell’azienda.
• Il trionfo della precarietà
La precarietà dilaga soprattutto tra i giovani, ma ormai aggredisce
settori sempre più ampi di lavoratori un tempo definiti sbrigativamente
garantiti; la legge 30 (che aveva trovato la strada spianata dal
pacchetto Treu votato dal centrosinistra di Prodi) ha “regalato”
all’Italia il primato europeo per il numero di tipologie di lavoro, oggi
estende il suo campo di applicazione in tutti i nuovi contratti di
categoria ed accordi aziendali e territoriali (solo il 3% dei co.co.co.
con la nuova legge sono diventati lavoratori dipendenti).
• L’attacco al contratto nazionale, allo Statuto dei Lavoratori,
al diritto di sciopero
Confindustria, CISL e UIL stanno spingendo per una megatrattativa che ha
come obiettivo la cancellazione del contratto nazionale; la CGIL, dopo
il rifiuto plateale di luglio di Epifani, si è ridotta a più miti
consigli e sarà anche lei della partita.
Evidentemente tutto si può trattare, quando c’è da sottrarre diritti e
garanzie ai lavoratori!
Ed ecco che il governo prepara un nuovo affondo nell’attacco all’art. 18
e sta mettendo a punto (i confederali ne sono tenuti costantemente al
corrente da un’apposita commissione) il cosiddetto nuovo Statuto dei
Lavori, il cui vero scopo è cancellare ciò che ancora rimane dello
Statuto dei Lavoratori.
In questo scenario fioriscono gli attacchi ai diritti dei lavoratori, a
cominciare dal diritto di sciopero: il tribunale di Milano che emana un
decreto di condanna con cui intima il pagamento di multe salatissime a
4.200 autoferrotranvieri è solo l’anello terminale di una catena che
tende a imprigionare i diritti e soffocare le lotte del mondo del
lavoro.
• Il rilancio di un nuovo patto sociale
Confindustria, Banca d’Italia, CGIL-CISL-UIL sono concordi nel
sottolineare il declino del Paese; la produzione industriale continua a
calare, mentre aumentano i processi di deindustrializzazione con
relative dismissioni, aumento di cassintegrazione ed esuberi (la Fiat è
sempre più a rischio, mentre si consuma il dramma dei lavoratori
dell’Alfa Romeo di Arese); le aziende italiane sul mercato
internazionale sono scarsamente competitive, la ricerca per
l’innovazione di prodotto è al palo; i consumi diminuiscono, il tasso di
crescita è sempre vicino allo zero. Per questo chiedono a gran voce un
nuovo patto sociale, in cui i lavoratori ancora una volta sono chiamati
a sacrificarsi per il rilancio dell’azienda Italia.
• La Finanziaria di Berlusconi
In un simile contesto è quasi un gioco da ragazzi per il governo
Berlusconi riprendere in mano il pallino e rilanciare con la Finanziaria
2005 da 24 miliardi di euro; una Finanziaria che l’imbonitore di Arcore
spudoratamente definisce di sviluppo, senza nuove tasse e senza tagli
alla spesa sociale.
In realtà i 24 miliardi della Finanziaria verranno rastrellati
attraverso i tetti imposti alla spesa dei ministeri che incideranno
pesantemente su scuola, sanità, assistenza e ciò che rimane dello stato
sociale;
attraverso tagli ai trasferimenti agli enti locali che saranno costretti
ad esternalizzare i servizi ed aumentare le varie addizionali IRPEF,
ICI, etc; attraverso operazioni di (s)vendita del patrimonio e degli
immobili pubblici, molti dei quali lo stato sarà costretto a prendere in
affitto dai nuovi proprietari.
• I contratti del Pubblico Impiego
Nella Finanziaria ci sarà il tetto ai contratti (già scaduti il
31/12/2003) dei 3.500.000 dipendenti pubblici; poca importanza hanno le
punzecchiature all’interno della compagine governativa tra Maroni che
ritiene che gli aumenti per i pubblici dipendenti non debbano superare
il 2%, mentre Fini/Siniscalco pensano che possano arrivare fino al
3,57%, entrambe queste offerte sono lontane da quanto richiedono
formalmente CGIL-CISL-UIL (aumento dell’8%) e soprattutto da quanto
(15%) occorrerebbe ai lavoratori per recuperare il potere d’acquisto
perso dai loro stipendi ed attestarsi su un tenore di vita dignitoso. Né
mancano voci che evocano lo spettro del blocco totale dei contratti
pubblici.
• Federalismo e Presidenzialismo
Ma la demolizione dello stato sociale non si arresta con la Finanziaria;
contemporaneamente si conclude l’iter parlamentare del federalismo (vera
ossessione della Lega, ma cui aveva già contribuito il centrosinistra
cambiando il titolo V della Costituzione) che trasferirà alle regioni le
competenze su scuola e sanità, distruggendo il carattere nazionale del
sistema scolastico e di quello sanitario, aggravando fortemente nel
Paese le diseguaglianze sociali e culturali.
Al federalismo liberista e desolidarizzante si affianca l’introduzione
del premierato che prefigura una trasformazione in senso autoritario
delle istituzioni e dà un colpo letale a quegli ambiti di democrazia
garantiti dalla Costituzione del ’48.
• Riprendere la lotta, costruire una reale
piattaforma sociale antiliberista
L’attacco al mondo del lavoro è dunque generale.
Da questa situazione non se ne esce ripiegando nel proprio particolare
in attesa che passi la bufera e sperando in qualche santo in paradiso.
L’unica strada per non essere sconfitti dall’offensiva
padronal-governativa è la ripresa della lotta a partire dai singoli
posti di lavoro, dai territori, dalle categorie, per costruire un grande
e articolato movimento di massa che apra una vertenza generale fondata
su una piattaforma sociale largamente condivisa che riaffermi i bisogni,
le esigenze, i diritti sacrosanti di tutti/e i/le senza proprietà e
senza potere.
• No alla Finanziaria di Berlusconi
Se occorrono tanti soldi per contenere il deficit pubblico entro i
parametri del trattato di Maastricht (su cui mai i lavoratori e i
cittadini sono stati chiamati a pronunciarsi), se li cerchino
introducendo una patrimoniale sulle grandi ricchezze, tassando i
guadagni di borsa e le transazioni finanziarie, reintroducendo le
imposte di successione per i grandi patrimoni, costringendo gli evasori
a pagare le tasse.
• Salari e stipendi europei
Le buste paga dei lavoratori europei sono, a parità del costo della
vita, mediamente inferiori del 20-30% di quelle dei lavoratori tedeschi,
inglesi, francesi. Occorre ridurre drasticamente e tendere ad eliminare
questo divario.
Nei rinnovi contrattuali rivendichiamo aumenti di 250 € in paga base
eguali per tutti/e.
• Ripristino della scala mobile
Di fronte al continuo aumento del costo della vita, l’unica valida
difesa è battersi per la reintroduzione di un meccanismo automatico di
difesa dei salari e delle pensioni dall’inflazione, meccanismo analogo a
quello della vecchia scala mobile.
• Abrogazione della legge 30 e del pacchetto Treu
Sono questi gli strumenti principali attraverso cui il centrodestra e
precedentemente il centrosinistra hanno costruito un gigantesco processo
di precarizzazione che hanno ridotto gran parte della forza lavoro a
merce da spremere e buttar via.
• Garanzia del reddito e tariffazione sociale
Ai disoccupati, precari, pensionati al minimo va garantita
l’istituzione/integrazione di un reddito sociale che consenta
un’esistenza dignitosa e la fruizione dei servizi sociali essenziali a
prezzi politici.
• Pensioni pubbliche non elemosine per tutti/e
Lavoriamo per vivere, non viviamo per lavorare. Non più di 35 anni di
lavoro; non più di 60 anni di età per la pensione. Mantenimento delle
pensioni di anzianità. Ripristino ed estensione del sistema retributivo
per tutti/e. Contributi figurativi a carico dei datori di lavoro per i
precari per coprire i periodi di disoccupazione.
• Difendiamo il TFR
Negli ultimi 4 anni i fondi chiusi (quelli sponsorizzati da
CGIL-CISL-UIL) hanno dato un rendimento complessivo del 5,25%, mentre il
buon vecchio TFR si è rivalutato del 13,44%.
I fondi aperti sono ancora più pericolosi, se falliscono (clamoroso il
caso della Enron), i lavoratori perdono tutto.
Il decreto attuativo sul trasferimento del TFR ai fondi pensione sarà
varato entro ottobre 2005, da allora scatteranno i 6 mesi entro i quali
bisognerà esprimere la propria contrarietà. Il tempo c’è, ma non
sprechiamolo; utilizziamolo per propagandare tra i lavoratori la
necessità di organizzare il rifiuto di massa nei confronti dei fondi
pensione.
• Difendiamo la scuola, la sanità e tutti i servizi pubblici
La scuola, la sanità, l’acqua, l’energia, i trasporti, le
telecomunicazioni sono beni pubblici essenziali; dobbiamo impedire la
loro mercificazione e privatizzazione. Un grande movimento popolare (già
in atto nella scuola contro la “riforma” Moratti) deve battersi per la
loro estensione, il loro potenziamento qualitativo, la loro effettiva
democratizzazione.
Cancelliamo la controriforma Moratti!
• Difendiamo il diritto di sciopero
Con la legge 146/’90 (governo Andreotti) peggiorata dalla legge 83/’2000
(governo D’Alema), il diritto di sciopero nei servizi di pubblica
utilità è stato sottoposto ad una serie di limitazioni sempre più
pesanti che rischiano addirittura di renderlo impraticabile.
I lavoratori devono riappropriarsi di questo strumento di lotta
indispensabile per il miglioramento delle loro condizioni: l’abolizioni
di queste norme deve necessariamente entrare nelle prospettive del loro
orizzonte di lotta.
• Affermiamo la democrazia sindacale
Nei luoghi di lavoro, se non è il padrone a dettare legge da solo, ci
pensano CGIL-CISL-UIL e sindacati autonomi di comodo a detenere il
monopolio della rappresentanza della forza lavoro, impedendo tramite
leggi ed accordi appositi l’esercizio dei diritti sindacali ai Cobas ed
ai lavoratori che autonomamente li rivendicano.
Perciò occorre che: 1) tutti i lavoratori e le sigle sindacali possano
godere del diritto di assemblea in orario di lavoro; 2) sia cancellata
la norma aberrante (accordo del 23/7/’93), per cui nelle elezioni delle
RSU nelle aziende private un terzo dei delegati in palio sia
preventivamente assegnato a divinis a CGIL-CISL-UIL e sindacati
firmatari di contratto; 3) nelle elezioni RSU nei comparti pubblici, che
sanciscono la
rappresentatività sindacale a livello nazionale, in ogni posto di lavoro
i lavoratori possano votare non solo per eleggere i propri delegati, ma
anche una lista nazionale in cui sono indicati i sindacati del settore,
per concorrere direttamente ad esprimere il grado di rappresentatività
nazionale di ciascun sindacato; 4) tutti gli accordi sindacali siano
sottoposti al voto dei lavoratori tramite referendum vincolante.
• Le elezioni RSU nel Pubblico Impiego
Nonostante l’attuale meccanismo truffaldino, la Confederazione Cobas
sarà presente nelle elezioni RSU che si terranno in tutti i comparti del
Pubblico Impiego (ad eccezione della scuola) a metà novembre, per
costruire l’opposizione coerente alle politiche concertative di
sottosalario, privatizzazione, mobilità e precarizzazione portate avanti
dalle dirigenze aziendali insieme a CGIL-CISL-UIL.
Sarà un’occasione importante per valorizzare e far avanzare gli elementi
di questa piattaforma sociale di lotta che deve tendere ad unire milioni
di lavoratori e lavoratrici.
• Costruire le lotte e lo sciopero generale
Di fronte alle politiche liberiste di padroni e governo,
all’acquiescenza ad esse del centrosinistra, alla neoconcertazione di
CGIL-CISL-UIL, i lavoratori devono costruire un percorso di
mobilitazione che riesca a coniugare lotte, vertenze e scioperi, di
singoli luoghi di lavoro, territori, categorie, con la necessità della
loro estensione e
generalizzazione su obiettivi concreti che fanno avanzare i contenuti
della piattaforma sociale.
Tempi e modalità vanno calibrate, ma il passaggio dello sciopero
generale, che non sia accodamento alle fumisterie di CGIL-CISL-UIL, né
pura
testimonianza, appare necessario.
Perciò è l’ora di smuovere le acque, rompere la cappa della
concertazione, iniziare a intraprendere il percorso della mobilitazione.
Già i Cobas della Scuola hanno accolto la proposta del Coordinamento
nazionale in difesa del tempo pieno di una mobilitazione per venerdì 1°
ottobre in tutte le piazze d’Italia. Appoggiamo ed allarghiamo la lotta.
La Confederazione Cobas lancia due giornate di assemblee, presidi,
mobilitazioni per giovedì 30 settembre e venerdì 1° ottobre contro la
Finanziaria, in difesa delle pensioni e dello stato sociale, contro la
precarietà, per aumenti salariali eguali per tutti, per difendere la
democrazia sindacale e il diritto di sciopero.
CONFEDERAZIONE COBAS
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