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Da liberazione dell’1/11
Quei conti fatti e rifatti mille volte
Chi ha paura del movimento?
A proposito del dibattito che si sta sviluppando nelle reti di movimento rischia di diventare poco utile fermarsi agli insulti, alle offese, alle ripicche, ai protagonismi, a tutto quello che offusca il senso della realtà. Il movimento dovrebbe al contrario riprendere la parola e un’iniziativa politica che manca. Tra poco più di una settimana comincia il Forum sociale europeo a Parigi: magari aiuterà a capire cosa siamo veramente (si parla di almeno duemila italiani presenti).
Ed è difficile sostenere che accostare il movimento alle nuove Br sia produttivo di riflessione sui propri limiti e possa aiutare a riprendere l’iniziativa politica. La realtà, al contrario, è quella che ieri ci hanno proposto, piuttosto crudemente, gli editoriali di Repubblica e del Riformista: il movimento non fa i conti con il terrorismo, sostanzialmente, perché è comunista, anticapitalista, insomma per la storia dell’"album di famiglia". Bastano le biografie degli arrestati per capirlo, ci dicono. Ebbene, guardiamole.
Quelle biografie
Cito dal Corriere della Sera di oggi che a sua volta riprende i verbali di inchiesta: «Vivono vite di basso profilo. Tendono al massimo dell’anonimato. Nessuna militanza politica. Hanno lavori modesti e usano centri sociali e sindacato come luogo d’incontro e come strumento per misurare la loro
penetrazione sociale». Dovrebbe bastare. Inoltre, alla luce degli arresti effettuati - e delle non poche sciatterie dimostrate - qualcuno può illustrarci seriamente il grado di penetrazione sociale delle nuove Br guadagnato dentro i centri sociali e nei sindacati "radicali"? A noi sembra molto al di sotto dello zero.
Ma continua il Corriere: «Essere iscritti a questo o a quel sindacato di base o frequentare questo o quel centro sociale poco interessa alla causa: quel che importa è cercare consensi nei luoghi e nelle organizzazioni dove è più logico trovarne». Apprezzabilmente, su questa polemica il Corriere mantiene finora uno stile sobrio. Ma ovviamente non ci sfugge che il possibile punto di attacco e di critica al movimento sta tutto in quel «dove è più logico». Perché più logico? Perché nei sindacati, nei centri sociali, nei luoghi di movimento si fa politica, si contesta il capitalismo o il liberismo o solo le multinazionali o quello che volete voi ma comunque si contesta l’ordinamento attuale. La richiesta che ci viene fatta e che si finisce per sostenere con interviste e dichiarazioni fuori tema è che il movimento deve smetterla di trattare gli argomenti che possono, oggettivamente, porlo sulla stessa lunghezza d’onda delle br. Nel caso specifico, deve smetterla di occuparsi di legge 30, precarizzazione, flessibilità e poi ancora pensioni, multinazionali, politiche del lavoro, ecc. Per alcuni, vedi Casa delle "libertà", questo significa financo
smettere di occuparsi di sindacato. Perché se si continua a fare sindacato, allora «diventa logico» che i terroristi vengano alle riunioni per cercare di reclutare qualcuno.
La lotta armata
Secondo argomento: «Dal movimento non è ancora venuta una condanna esplicita della violenza, della lotta armata come strumento di lotta». Queste parole le ha dette l’altro ieri Marco Revelli in un’intervista a l’Avvenire. Difficile nascondere lo stupore per simili parole. Dopo Genova, Seattle, Nizza, dopo le botte prese, i grandi cortei, le grandi iniziative realizzate, ancora dobbiamo ancora rendere conto (a chi?) nientemeno della lotta armata! In raltà basterebbe rigurdarsi le dichiarazioni rilasciate dopo l’omicidio Biagi - perché al tempo dell’assassinio di D’Antona non esistevamo ancora. Ma ce lo ricordiamo tutti cosa abbiamo subito dopo l’11 settembre, l’accostamento con bin Laden, quasi che le Twin Towers le avessimo buttate giù noi. Ce li ricordiamo tutti gli insulti di Oriana Fallaci a Firenze, la campagna di stampa di allora - a proposito sta per ricorrere l’anno - i "barbari" che stavano per calare sulla città. Roberto Morandi, il brigatista arrestato a Firenze, alla Fortezza da Basso non è venuto nemmeno. E cosa poteva esserci là dentro: se non persone, giovani, impegnati a progettarsi un futuro possibile fuori dalla logica mortale della violenza e del terrore? Quali altre dimostrazioni dobbiamo dare, quali altre prove? Ma di cosa stiamo parlando? Di una vetrina rotta? Le uniche molotov che questo movimento ha visto sono quelle messe dalla polizia dentro la Diaz, ce lo siamo scordati? Insomma, il gioco è lo stesso come non rendersene conto? Il movimento deve fermarsi, o essere fermato, deve essere paralizzato e quindi accostato alle peggiori nefandezze di questo mondo. E perché? Perchè parla di un altro mondo possibile, di antiliberismo, di lotta al capitale o quant’altro. E’ troppo semplice per non rendersene conto. Accostare la rottura di una vetrina, uno scontro di piazza, l’occupazione di una casa o un picchetto davanti a una fabbrica alla lotta armata, se non fosse drammatico sarebbe ridicolo. Anzi è semplicemente strumentale.