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Cobas e No Global: «E’ il solito polverone»
ROMA - C’è chi, come il verde Paolo Cento, allude («speriamo che il blitz
abbia colpito giusto») e chi lo dice apertamente. Tra questi, il portavoce
dei Cobas, Piero Bernocchi. Che ieri è uscito dal coro di reazioni che, a
destra come a sinistra, ha accolto l’arresto dei sei presunti responsabili
dell’omicidio di Massimo D’Antona, per derubricare il tutto all’«ennesimo
polverone repressivo, che dietro non ha niente di solido». Niente di solido,
dunque. Solo un polverone. Era nel bel mezzo del corteo romano per lo
sciopero generale, Bernocchi, e mentre lui parlava con i giornalisti,
dall’altoparlante dei Cobas una voce denunciava «il bieco tentativo di
criminalizzare il Movimento».
Ora, che l’omicidio di Massimo D’Antona così come quello, speculare, di
Marco Biagi potessero essere legati a certi ambienti sindacali, lo si
ipotizza sin dall’inizio. Lo disse il diessino Pellegrino, lo ripetè l’ex
presidente Cossiga, lo ventilò il ministro Maroni, lo fecero intendere gli
inquirenti. A ribadirlo oggi è il sottosegretario al Welfare, Maurizio
Sacconi. Secondo lui, infatti, «il terrorismo sarà sconfitto solo quando
verrà sradicata la cultura della violenza politica che alberga in certo
sindacalismo di base, così come in certi movimenti antagonisti
dell’ultra-sinistra». La manovalanza delle nuove Br, insomma, verrebbe da
lì. Per Sacconi, dunque, occorre «vigilare». E a vigilare debbono essere «le
forze politiche e sociali, che, come prima cosa, farebbero bene a inquadrare
la dialettica con chi governa su un terreno di valori condivisi invece che
accreditare l’idea che in gioco ci sia la democrazia e l’idea stessa di
civiltà». Che è, guarda caso, proprio la tesi più diffusa nei due ambienti
da lui indicati. Per la pasionaria dei Cobas di Pomigliano D’Arco, Mara
Malavenda, infatti, «parlare di polverone è il minimo». Il massimo, invece,
«sarebbe che Sacconi, anziché dare il via alla solita caccia alle streghe,
si preoccupasse di far luce sull’attività dei servizi segreti».
Eccoli,
dunque, i servizi. E poi ci sono i governi, che cambiano solo formalmente.
Perché, dice la Malavenda, «la sostanza è uguale: la sinistra prima e la
destra poi fanno a pezzi lo Stato sociale, demolendo i capisaldi della
democrazia».
Servizi deviati e governi antidemocratici, è questo che i militanti di
un’area vasta detta «antagonista» vedono quando guardano ai Palazzi romani
della politica. Luca Casarini, è tra loro. Per il leader del Movimento
no-global, infatti, «è assolutamente evidente che la scelta del giorno in
cui fare gli arresti non è stata casuale». In effetti, ieri era il giorno
dell’entrata in vigore della riforma Biagi e dello sciopero nazionale che ha
sugellato la ritrovata armonia tra i tre maggiori sindacati nazionali.
Ma
Casarini parte da qui per spingersi ben oltre: «...e dunque, se hanno potuto
pianificare a freddo il giorno degli arresti, perché non avrebbero potuto
scegliere anche i nomi degli arrestati?». Si ferma qui? Macché: «Dirò di
più, così come hanno scelto secondo logiche politiche i nomi di quelli da
arrestare io credo che abbiano anche scelto i nomi di quelli da ammazzare».
Di chi parla? «Dei servizi», naturalmente. Secondo lui, infatti, quelli di
D’Antona e Biagi sono «omicidi per il regime». E i nuovi brigatisti, solo il
frutto di un gioco di specchi. «Le fantomatiche Brigate rosse», dice
Casarini. Niente di reale, dunque. Un’invenzione dei «servizi di regime che,
se non hanno sparato in proprio, hanno quanto meno guidato la mano di chi
l’ha fatto». Secondo lui, e secondo molti, gli arresti di ieri «sono
strumentali» e, «poiché la loro azione non indebolisce, ma rafforza il
regime», le Br non esistono. Se esistessero, infatti, sarebbero guidate da
uno stolto. Il che, visti i tempi, non sembra un’assurdità.
di Andrea Cangini