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Collegare la nonviolenza alla nostra idea di rivoluzione

Publie le domenica 18 gennaio 2004 par Open-Publishing

Caro direttore, negli stessi numeri di "Liberazione" che ospitavano il dibattito sulla scelta nonviolenta del nostro Partito, si potevano leggere, in altre pagine, altri interventi sulla questione religiosa, in cui risuonava dopo molti decenni la secca definizione di religione come "oppio dei popoli" (una definizione già liquidata a suo tempo dal Pci di Togliatti, e tanto più imperdonabile oggi, quando ormai dovrebbe venire in mente a tutti di domandarsi come mai proprio l’uso di quell’"oppio" abbia spinto e spinga tanti non a sonnecchiare soddisfatti e passivi bensì a diventare rivoluzionari e comunisti).

Io credo che sarebbe opportuno unificare i due dibattiti, e porre a loro fondamento il tema della nostra laicità. Mi pare infatti che un’insufficienza di laicità sia la base comune di tanti fraintendimenti e, forse, di veri e propri errori. Per "laicità" non intendo affatto ateismo (un partito programmaticamente ateo ci riporterebbe davvero molto, troppo, indietro nella nostra storia), ma intendo la rigorosa separazione dei piani, la distinzione del politico (e del programmatico) dal religioso; quest’ultimo piano è, e deve restare, altra cosa, appartenendo ad una sfera intima e personale di tutte/i, anche di chi compie un’opzione comunista, ma non riguarda e non deve riguardare in alcun modo il partito in quanto tale; e quest’affermazione è motivata esattamente dalle stesse ragioni che ci spingono ad opporci (e dovremmo farlo con più forza) al sostegno statale per le scuole private, o all’incorporazione in leggi dello Stato di valori o comportamenti dettati da una religione (dalla procreazione, alla sessualità, alla esposizione dei crocifissi nelle scuole di tutti).

Un partito laico è dunque un partito capace di trovare nella sua politica, e solo in essa, il fondamento dei propri valori e delle proprie scelte, e capace di chiedere ai suoi iscritti e militanti l’adesione ad un siffatto patrimonio politico come condizione necessaria e sufficiente per partecipare al suo stare insieme collettivo. Sul resto il partito deve semplicemente tacere, e come non spetta al partito intervenire in merito ai comportamenti alimentari, o sessuali, così non può spettare al partito incoraggiare, o combattere, le scelte religiose di chicchessia.

Questo io credo che si debba intendere per laicità; e mi sembra dunque una grave insufficienza di laicità (non un suo eccesso) la polemica antireligiosa condotta in nome dell’illustre quanto logoro ritornello dell’"oppio dei popoli": parla in quella polemica non la laicità ma solo un’ideologia religiosa di tipo ateistico, che si giustificava solo in altre fasi della nostra storia, quando la debole identità del primo movimento operaio aveva bisogno di tali puntelli religiosi o contro-religiosi (importati in effetti dalla sinistra borghese) per potersi affermare.

Si deve impostare in questi termini del tutto laici anche il problema della nonviolenza. E’ una grande lezione quella che ci viene da un nonviolento "storico" come Raniero La Valle che invece di limitarsi a battere le mani e dire (potrebbe farlo) "Finalmente! L’avete capita anche voi comunisti! ", ci invita piuttosto (su "Liberazione" del 9/1) a riscoprire ed approfondire ancora e sempre la politica, e le motivazioni tutte politiche di una scelta certamente giusta. Io penso che anche la nonviolenza (viene da dire: perfino la nonviolenza) non rappresenti per noi un assoluto a-storico, e che essa non poteva valere sempre e comunque, proprio perché la sue motivazioni sono legate per noi alla politica, ma dunque alla fase storica che viviamo, e non a qualche imperativo di tipo religioso (questo sì, per sua natura, assoluto).

Io sono personalmente molto convinto della fondatezza della scelta nonviolenta (e non da oggi), e tuttavia non mi consento affatto la sciocca superbia di proiettare all’indietro nel tempo tale scelta (magari per criticare su questa base i nostri partigiani), così come non mi permetterei di proporla in ogni parte del mondo e in qualsiasi situazione (magari per dare lezioni moralistiche ai compagni cubani o a chi pratica l’autodifesa di massa dei nostri cortei). L’assoluto appartiene infatti solo alla religione, non alla politica rivoluzionaria; alla politica dei comunisti spetta invece una scelta razionale, e condivisa dalle masse, in merito ai fini che il movimento si dà e ai mezzi più adeguati per conseguire quei fini; e tali scelte evolvono nel tempo con il mutare della situazione, come dimostra anche l’esperienza (per tanti aspetti esemplare) della rivoluzione zapatista.

Così non vorrei che si confondessero la resistenza, le resistenze, con il terrorismo. Bertinotti dice cose fondamentali e profonde e tutte da me condivise sui motivi della nostra opposizione radicalissima al terrorismo, ma ci sono forme di resistenza anche armata dei popoli che nulla hanno a che fare col terrorismo, e anzi gli si oppongono non meno duramente di noi. Il diritto/dovere alla resistenza è peraltro uno dei principi fondamentali della nonviolenza.

Resta allora per tutto il corpo del partito la necessità di motivare politicamente la scelta della nonviolenza che Bertinotti ci propone, e questa motivazione non risiede tanto in considerazioni di realismo (diciamo così) "militare" quanto nella nostra stessa idea della rivoluzione comunista come autogestione e democrazia integrale, e dunque nella necessità che il processo rivoluzionario non contraddica nel suo svolgersi questi fini fondamentali.

Ma questo è un discorso davvero troppo complesso per poterlo anche solo accennare in questo spazio (ho cercato di cominciare a farlo in un altro luogo). Qui posso solo proporre che il partito nel suo complesso voglia e sappia discutere della nonviolenza mettendola in rapporto con la nostra idea di rivoluzione, e non isolandola come se fosse solo un’opzione di tipo morale o religioso.