Home > Cui prodest?

Cui prodest?

Publie le domenica 2 novembre 2003 par Open-Publishing

Mi sarebbe piaciuto trovare, sul «giornale comunista» che leggo da anni, qualcosa di diverso dall’ipocrisia sconcertante dell’articolo anonimo dedicato giovedì all’intervista di Sergio Segio su Br e movimenti (La Repubblica, 29 ottobre). Con Sergio ho passato buona parte della mia vita, l’epoca della lotta armata e quella della cesura radicale con essa, pezzi di questo presente fatto di nuove sfide, e vederlo accomunato a chi produce «teoremi contro sindacato e no global», come recita il vostro titolo truffaldino, scusate, ma mi evoca toni da «critica stalinista». Dato che, sia detto per inciso, sia lui che io a questo movimento ci sentiamo interni, e da questa internità provengono le riflessioni oggetto di anatema. Non è tuttavia una questione personale, e tanto meno una difesa d’ufficio, di cui Sergio non ha bisogno, è una questione politica che anch’io voglio sollevare e che mi riguarda in prima persona proprio perché a questo movimento appartengo. Nessuna persona onesta può credibilmente leggere quell’intervista come un’accusa al movimento di collateralismo alle Br, perché ciò che lì si dice lo possiamo dire in molti, ed è semplicemente che:

a. le Br sono un soggetto - ultraminoritario e storicamente obsoleto, certo - ma un soggetto politico che non sta in un altro mondo e che, come oggi del resto ogni soggettività che si autodetermina, non ha bisogno per esistere di masse al seguito, né di deleghe, né di riconoscimenti altrui, specie se utilizza il mezzo potente della lotta armata;

b. che avendo questo soggetto ultraminoritario, datato e armato fatto irruzione sulla scena politica, il problema è farci una battaglia politica contro. Perché se lo stato fa processi e le polizie arrestano, i movimenti invece al proprio interno fanno battaglie politiche. Perché se no, si passeranno i mesi e gli anni a difendersi dai vari Bondi e dai vari Calderoli, in un estenuante gioco di rimessa. Negare il problema non è una buona strategia di difesa del movimento. E’ mai possibile che un movimento come il nostro, di massa, molteplice, ricco, in continua crescita, sia già così dannatamente in difensiva da negare l’esistenza di questa soggettività agganciata ad alcune sue parti e affrontarla politicamente? È possibile continuare a mimare un certo dibattito post Genova, per cui i black bloc erano carabinieri infiltrati invece che una componente minoritaria di disturbo e provocazione nei confronti dei modi e dei contenuti egemoni nel movimento, ma comunque una soggettività? Questo è il punto. Cui prodest il vostro articolo (e cui prodest la reazione scomposta di alcuni)? Al movimento no di certo.

Susanna Ronconi, Torino

La sintesi che Susanna Ronconi fa dell’intervista di Sergio Sergio è condivisibile. Non a caso domenica scorsa abbiamo pubblicato un editoriale di Gabriele Polo che anticipava questa questione, per niente negandola ma anzi affrontandola a «viso scoperto». Nessun problema dunque a sostenere che questi brigatisti dell’oggi tentino di infiltrarsi e, se ci riescono, anche nuotare nel movimento. Ma la sintesi di Ronconi non rispecchia l’intervista di Segio (e le sue dichiarazioni successive), la quale alludeva a qualcosa di più e di peggio: una silente complicità di alcuni settori del movimento con il terrorismo. Questo non è per niente condivisibile ed è questa la ragione che ci ha spinto a utilizzare il termine «teorema».

r. b.