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Diaz, un’irruzione decisa per caso
Secondo la testimonianza delle forze dell’ordine, pervenuta ai pm, una
pattuglia passò per sbaglio dalla scuola, dove avrebbe incontrato una forte
resistenza. Da lì, nacque l’idea dell’irruzione
di Alessandra Fava
GENOVA - La Diaz? Operazione decisa dal caso, da una pattuglia che per
sbaglio passa dalla scuola per raggiungere via Trento, dove è attesa per
rinforzi. E’ quanto emerge dalle ricostruzioni delle Forze dell’Ordine
sull’irruzione alla Diaz che provocò 63 feriti su 96 manifestanti e che
scosse mezza Italia.
Succede - secondo le testimonianze pervenute ai pm che indagano
sull’irruzione - che verso le 20, mentre gran parte dei manifestanti si si
sta spostando dalla stazione ferroviaria di Brignole, Gilberto Caldarozzi,
vice di Gratteri, capo dello Sco, (il Servizio centrale operativo della
Criminalpol), arriva in via Trento, al bar le Piramidi, poco a monte della
scuola. I cosiddetti pattuglioni, le squadre miste (Sco, Mobile, Ufficio
prevenzione crimine e Digos) stanno infatti girando la città per ’’
consentire un controllo dinamico del territorio, diretto all’individuazione
di soggetti che avevano partecipato alle devastazioni e agli scontri nei
giorni del Vertice e che potevano essere ricondotti alle frange estremiste
violente soprattutto al così detto " black bloc ", precisa Franco Gratteri.
I pattuglioni servivano a ’’verificare la presenza o meno di gruppi di
persone che potevano creare problemi di ordine pubblico anche in vista delle
manifestazioni del giorno dopo’’, spiega Caldarozzi poi ai magistrati. ’’
Per scovare anarchici’’, sintetizza ai magistrati Michele Burgio, l’
assistente del vicequestore Pietro Troiani.
Dalle Piramidi le forze dell’ordine si spostano a controllare un altro
locale, ’’dove c’era una situazione significativa’’, tanto da chiamare in
loco altre pattuglie che stavano girando per la città, al comando di Filippo
Ferri (capo della Mobile di Spezia) e Massimiliano Di Bernardini (vice
questore aggiunto della Mobile di Roma).
Di Bernardini però per raggiungere via Trento passa, per sbaglio - sembra su
indicazione di un agente della Digos genovese - da via Cesare Battisti, la
via del Media center della Pascoli e del dormitorio della Diaz, con quattro
auto di cui due avevano la scritta polizia e lì i manifestanti avrebbero
reagito. ’’Eravamo in grande tensione per il pericolo scampato’’, dirà Di
Bernardini ai pm del suo arrivo al bar, ’’Circa il lancio di oggetti che io
non posso testimoniare direttamente, ho sentito che un agente del Reparto
Mobile di Roma che era a bordo del Magnum che chiudeva la fila della nostra
pattuglia, appena sceso dalla vettura mi ha detto le testuali parole :
"dottore, ci hanno tirato addosso di tutto, bottiglie, pietre". E’ l’unica
fonte da cui ho tratto l’informazione su quanto è successo.’’ (17 giugno
2002).
’’L’errore che è stato fatto è stato quello di passare là.come versare
benzina sul fuoco’’, si pente il prefetto Arnaldo La Barbera, allora capo
dell’antiterrorismo (Ucigos), defunto il 12 settembre 2002, quando viene
sentito dai magistrati nel giugno del 2002. La Barbera arrivò a Genova il
pomeriggio del sabato per visitare la Sala internazionale di polizia presso
la Questura a cui sovrintendeva Gianni Luperi, ora direttore della divisione
investigazioni generali.
Ma quel sabato 21 luglio 2001 il de relato (diventato una sassaiola) arriva
in Questura. Di Bernardini riparla con Gratteri e Caldarozzi dei fatti e
quindi c’è la prima riunione, poco dopo le 22, nell’ufficio del Questore a
cui partecipano anche il prefetto Ansoino Andreassi allora numero due della
polizia, il prefetto La Barbera, Gratteri, Caldarozzi, Nando Dominici (ex
capo della Mobile di Genova), Spartaco Mortola (ex capo della Digos di
Genova) insomma i vertici della polizia italiana presenti a Genova. Nasce l’
operazione Diaz in base all’articolo 41 del Tulps (la ricerca di armi): ’’L’
idea forse partì da La Barbera, ma tutti furono d’accordo, senza eccezione’’
, dice Lorenzo Murgolo, vice questore vicario della Questura di Bologna, il
22 giugno dell’anno scorso in Procura.
Andreassi avrebbe avuto delle perplessità sull’operazione a causa dell’ora,
del luogo e del buio. Alcuni attestano, altri smentiscono questo
particolare.
Quindi Mortola, il capo della Digos genovese, viene mandato a fare un
sopralluogo in zona. In piazza Merani, sopra la Diaz, infatti, individua un
gruppetto che beve birra e sembra che sia di vedetta e davanti alle due
scuole Diaz e Pascoli un centinaio di persone che ’’rumoreggiavano e
bevevano birra’’.
Quindi il gruppo dirigente in Questura si sposta nella sala delle riunioni.
Ci sono tutti, anche due Ufficiali dei carabinieri. Manca solo Andreassi, ma
al suo posto compare Lorenzo Murgolo, numero due della questura bolognese,
allora responsabile dell’ordine pubblico fuori della zona rossa. Mortola
telefona a un referente del Gsf (il Genoa social forum che gestiva gli spazi
concessi dagli enti pubblici), Stefano Kovac, che lo avrebbe informato che
la situazione non era del tutto sotto controllo. Secondo Mortola avrebbe
anche detto che potevano esserci soggetti non graditi, ma Kovac ha smentito
tutto.
Nella seconda riunione, questa volta operativa, si decide che servono almeno
200 uomini e vengono reclutati gli 80 uomini del Nucleo sperimentale
antisommossa della Mobile di Roma, al comando di Vincenzo Canterini, che
stavano mangiando alla Fiera. Pare che il reparto Mobile avrebbe dovuto
mettere in sicurezza l’edificio dall’esterno, mentre il personale della
Digos e dello Sco avrebbe dovuto procedere alla perquisizione. A loro di
aggiungono Squadre Mobile e Digos presenti a Genova. ’’Ovviamente, ogni
formazione era organizzata con un suo dirigente e con i livelli gerarchici
via via inferiori propri di ciascuna di esse’’, precisa La Barbera.
A detta di molti Canterini avrebbe proposto di utilizzare i gas lacrimogeni
per far uscire gli occupanti dalla scuola . Ma ’’il Questore e La Barbera si
opposero decisamente, suggerendo un intervento soft’’, sostiene Mortola il
27 ottobre 2001, ’’Era comunque stato previste e altamente probabile che ci
sarebbe stata una reazione di resistenza da parte degli occupanti dell’
edificio scolastico, come era desumibile dagli episodi ai danni delle
pattuglie’’.
Così alle 23 partono le due colonne di mezzi e uomini verso la Diaz. ’’
Benché fossero estranee al mio ruolo le funzioni di ordine pubblico e di
polizia giudiziaria, per mero scrupolo ho seguito il contingente che poi si
è diviso in due’’, dice La Barbera.
Il resto è pressoché noto: le forze dell’ordine entrano in via Battisti a
tenaglia. I manifestanti si asserragliano all’interno della Diaz chiudendo i
cancelli e i portoni e nella Pascoli. Il reparto Mobile romano sfonda il
cancello ed entra. Dietro di loro gli altri. In pochi minuti la
perquisizione è finita: 62 feriti su 93 manifestanti che vengono tutti
arrestati con l’accusa di lesioni, resistenza e associazione a delinquere.
Il reato associativo, per la prima volta nelle giornate del G8, era già
stato attribuito a 23 arrestati alla scuola Paul Klee nella mattina e ’’
liberati’’ in poche ore dal magistrato.
Intanto Roberto Sgalla, direttore dell’ ufficio relazioni esterne del
dipartimento di pubblica sicurezza, ha convocato le telecamere delle tv. All
’1 di domenica notte l’operazione risultava ancora ’’una perquisizione in un
covo di black block dove abbiamo trovato una grande resistenza, molotov e
armi e un agente è stato quasi accoltellato’’. Ma della gente in barella che
sfilava in tv, il magistrato di turno Pinto già chiedeva motivazione.
Le molotov sono risultate poi una prova costruita ad arte: addirittura
Troiani le avrebbe portate nella scuola sfilandosi i gradi, secondo una
memoria consegnata proprio in questi giorni in Procura da Mortola e rivelata
dal Secolo XIX. L’agente fu accoltellato in presenza di altri quattro agenti
della Mobile e in cinque non sono riusciti a fermarlo ed è agli atti un
incidente probatorio sul giubbotto. Quanto alla perquisizione, i black block
si sono volatilizzati e nessun oggetto (lo striscione con lo Smash e le
magliette nere) è stato attribuibile a qualcuno.
Dopo due anni e tre mesi, le indagini sono state chiuse. Negli acip (avvisi
di conclusione delle indagini) i magistrati ravvisano reati (falso,
calunnia, abuso d’ufficio, concorso in lesioni) per i vertici che hanno
eseguito materialmente l’operazione. La pistola fumante, ammette qualcuno in
Procura, non è stata trovata. Non è stato trovato documento che chiarisca la
scala gerarchica, chi dava ordini a chi, né i ruoli precisi di ciascuno che
esulavano da quelli presi per il vertice del G8. I verbali alla fine non
dicono quasi niente e furono firmati anche da gradi più bassi che non
parteciparono all’operazione.
E nelle conclusioni dei magistrati, figurano solo alcuni dei ’’papaveroni’’,
come li ha definiti Canterini (’’tutti i papaveroni che arrivano da Roma
perché avevano sfasciato tutta Genova e questo non era andato giù a qualcuno
e volevano trovare i Black Bloc’’).