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Documento di astensione al CPN del PRC

Publie le martedì 28 ottobre 2003 par Open-Publishing

L’alternanza non è un’alternativa

(documento di astensione)

Il dibattito che il nostro partito ha svolto finora ha dato la sensazione che molti giochi fossero
fatti e che si potesse correre il rischio di una "espropriazione" politica in netto contrasto con
l’andamento dei movimenti degli ultimi anni dentro i quali il contributo di Rifondazione è stato
quanto mai prezioso: non possiamo correre il rischio che questo percorso si incagli in una svolta
moderata, né in un’involuzione interna. Abbiamo bisogno, invece di rilanciare un progetto che poggi
su tre pilastri fermi: la costruzione del movimento e il suo rilancio; la definizione di una
sinistra alternativa all’altezza della fase; l’affermazione di un’opposizione al governo Berlusconi che
ne provochi la caduta e faccia maturare le condizioni per una reale alternativa di società.
Occorre quindi fermarsi a riflettere meglio: il dibattito ha bisogno di tempo, di partecipazione,
di un coinvolgimento attivo del partito ben oltre le difficoltà che si sono verificate in numerosi
Comitati federali e regionali. Un dibattito che arrivi ai circoli, agli iscritti e che si doti di
forme condivise e di modalità innovative. Per questo abbiamo proposto l’ipotesi di una conferenza
programmatica. Apprezzando la scelta di dotarci di questo strumento e sostenendo l’impegno a
rafforzare il movimento e a salvaguardarne l’autonomia scegliamo di astenerci sul documento presentato
al Cpn pur non condividendo la proposta di un’alternativa programmatica di governo, punto
dirimente del nostro dissenso.

Costruire il movimento, rinnovandolo
Del movimento antiglobalizzazione si dice spesso che sia in crisi. Lo si è detto in particolare in
seguito alla guerra in Iraq, dove la vittoria degli Usa ha alimentato l’idea che occorresse
spostare il conflitto sociale su un terreno più "duro" - vedi il dibattito interno all’area
disobbediente - fuori dalle "rituali" manifestazioni di massa, mentre ha spinto la politica degli apparati del
centrosinistra a ricandidarsi come unico luogo in cui progettare alternative possibili.
Nel frattempo il movimento è andato avanti, in Italia ma soprattutto a livello internazionale. A
Cancùn ha ottenuto una vittoria tutt’altro che simbolica; in Bolivia ha cacciato un presidente come
de Lozada; a Roma il 4 ottobre ha posto in primo piano il tema della Convenzione europea e
dell’altra Europa come mai era stato fatto; ha contribuito all’esito della Perugia-Assisi; si prepara al
Forum sociale europeo.
Eppure nel nostro dibattito resta un residuo di "sconfittismo" come se l’esito della guerra in
Iraq o quello del referendum sull’articolo 18 avessero stabilito che in fondo non c’è molto da fare
sul versante delle lotte sociali, che il movimento costituisca una parentesi da chiudere
rapidamente e che l’unica alternativa per un partito come Rifondazione sia quella di adattarsi, sia pure
criticamente, al bipolarismo istituzionale, dato di fatto inoppugnabile. In questa prospettiva
l’intera vicenda del movimento resta imprigionata in un realismo privo di prospettiva e in un
politicismo esiziale per la "rifondazione della politica" che, orgogliosamente, abbiamo auspicato in questi
anni. L’ipotesi dell’accordo programmatico con il centrosinistra, che ha inaugurato questo nostro
dibattito, rischia di contraddire il ruolo "rifondativo" del movimento di massa, il suo carattere
"costituente" che allude alla necessità di nuove "istituzioni" del movimento operaio: nuovi
sindacati, nuovi partiti, nuove forme associative. La crescita e lo sviluppo del movimento ha bisogno
prima che di un’efficacia politica, di un’efficacia sociale, quella stessa che i partiti, tutti
compreso il nostro, non hanno più e che il sindacato stenta a conservare. E questo ha bisogno di
tempo, molto più dei due anni trascorsi dal luglio di Genova. E ha bisogno di verifiche, molte di più
dei parziali appuntamenti elettorali che hanno contribuito non poco a far maturare quel senso di
sconfitta di cui parlavamo prima.
Pensare di rimediare all’efficacia traslando tutto sul piano delle mediazioni politiche e di
apparato è una scorciatoia impossibile. E l’idea che Prodi e Fassino, Rutelli o D’Alema, interlocutori
obbligati di un accordo di governo, siano cambiati in relazione al movimento di massa degli ultimi
anni è essa stessa un’illusione. Altrimenti cosa dimostrano le dichiarazioni sulla missione
italiana in Iraq o sulla riforma delle pensioni?
In realtà, nonostante la loro forza e il loro carattere strutturale, i movimenti non hanno ancora
ottenuto una modificazione concreta dei rapporti di forza tra le classi e quindi una scomposizione
e ricomposizione dei soggetti politici. Il movimento operaio e sindacale, in particolare,
nonostante imponenti mobilitazioni, non è ancora in grado di rimettere in discussione le politiche
padronali sui luoghi di lavoro e la sua convergenza con il movimento antiglobalizzazione riguarda i suoi
gruppi dirigenti, avviene cioè sul piano politico, ma non mette in moto nuove sinergie sociali. Da
questo punto di vista, la priorità di questa fase storica, l’obiettivo del nuovo movimento
operaio, è centrale è consiste nella capacità di "comporre" i bisogni e i diritti del vecchio e del nuovo
proletariato. Questo non sarà possibile sul piano degli accordi politici, costruiti dall’alto
delle segreterie di partito, ma solo sulla base di un’esperienza comune che non può che maturare dal
basso, in un percorso lento di mutuo rinoscimento e di scambio di culture, linguaggi, pratiche. E’
quanto abbiamo appreso negli incontri tra il movimento antiglobalizzazione e gli operai Fiat di
Termini Imerese o Cassino. Pensare di rimediare a questa debolezza strutturale con l’ausilio del
governo, cioè "dall’alto" ci sembra un errore i cui effetti possono essere distruttivi per questa
possibilità storica.
Il movimento va rilanciato preservandone unità e autonomia, superando la sua forma attuale -
quella degli accordi tra gruppi e associazioni in cui manca partecipazione dal basso, vera chiave di
volta per un movimento degno di questo nome. Autonomia, unità e radicalità sono le prerogative che
hanno permesso di superare il dopo Genova, di organizzare il Forum di Firenze, di reggere alla
manovra di Cofferati e di arrivare al 15 febbraio. Il movimento ha avuto il pregio di non essere
autorefenziale immaginando l’unità più ampia quando questa sembrava a molti impossibile: si pensi alla
Fiom a Genova, alla Cisl in piazza il 15 febbraio o alla capacità di dialogo con la Ces il 4
ottobre. Ma accanto a queste coordinate, il movimento ha bisogno di sperimentare sul piano delle
vertenze sociali e della conflittualità diffusa, soprattutto in relazione alle dinamiche del mondo del
lavoro. La battaglia contro la precarietà è al tempo stesso indicazione di un percorso necessario
ed espressione di una difficoltà obiettiva. E’ qui che si sperimenta il raccordo tra vecchio e
nuovo movimento operaio ma è ancora qui che si verifica la disgregazione dei rapporti di forza
sociali, la dispersione delle energie di classe e quindi la fatica di una costruzione fondativa che,
appunto, ha bisogno di tempo.
La concretezza dei contenuti riguarda anche il nodo delle pratiche e delle forme di lotta. Non
abbiamo mai condiviso forme di lotta fini a se stesse, ansiose di legittimarsi sul piano della
rappresentazione simbolica e sganciate dai bisogni dei soggetti in carne e ossa. Quelle stesse forme
sono state appoggiate e teorizzate a dismisura anche dal nostro partito spesso nell’illusione che
attorno alla pratica potesse costituirsi una soggettività di movimento. Oggi, al contrario, vengono
repentinamente criticate e osteggiate. Ancora una volta si rischia di non andare al cuore del
problema. Non esistono forme di lotta giuste o sbagliate. La stessa dimensione della non-violenza se
assunta in termini astratti e ideologici può diventare paralizzante come la stessa violenza fine a
se stessa. Il problema è per cosa si lotta e chi lotta. Le pratiche, se non danno vita a una
soggettività, tuttavia non sono disgiunte dai soggetti: gli occupanti di case, le occupazioni di
fabbriche, i picchetti operai possono anche essere dipinti come violenti - e del resto non accade lo
stesso ai contadini boliviani? - ma esercitano un diritto inalienabile alla loro lotta. Che sarà
efficace e non minoritaria nella misura in cui sarà ampia e partecipata, non delegata a poche
avanguardie dotate di slancio guerresco e muscolare.

L’alternanza riformista
La costruzione del movimento è certamente uno dei fattori che potranno aiutare a rafforzare un
progetto di sinistra alternativa, anche se i due soggetti non possono sommarsi né sovrapporsi. Più
complesso il rapporto con il centrosinistra che pure il movimento ha saputo affrontare in termini
non settari né autoreferenziali come hanno dimostrato i passaggi del Forum sociale di Firenze, il 15
febbraio scorso ma anche il 4 ottobre.
E’ vero che il centrosinistra è oggi diviso e disarticolato dalla pressione congiunta della crisi
del liberismo e del movimento di massa. Ma contestualmente assistiamo a una progressiva
involuzione negli orientamenti del gruppo dirigente centrale del centrosinistra, Ds e Margherita, con il
quale si dovrebbe praticare un accordo di governo. Basta leggere i principali avvenimenti degli
ultimi mesi. Sul fallimento del Wto a Cancun, non solo Prodi o Fassino ma anche Walter Veltroni ha
dovuto pubblicamente esprimere il proprio rammarico. Sulla "riforma" delle pensioni il segretario dei
Ds continua a lanciare messaggi al governo per "riformare il welfare". Addirittura, dopo aver
firmato il progetto di inserire il ripudio della guerra nella Costituzione europea alla marcia
Perugia-Assisi, Fassino, D’Alema e Rutelli si sono schierati a fianco della missione italiana in Iraq in
seguito al voto delle Nazioni Unite.
In realtà il nucleo centrale dell’Ulivo si presenta come espressione moderata degli interessi
della borghesia. La stessa proposta della lista unica, del partito riformista di Prodi e D’Alema si
spiega in questa chiave, come percorso conclusivo della compiuta internità dell’ex Pci-Pds-Ds agli
interessi del capitale. Non può esserci quindi alcun dubbio sulla natura sociale e sulla
collocazione di classe delle forze politiche portanti del centro sinistra e quindi sulle loro scelte di
fondo nella gestione del paese. Di fronte a Berlusconi che si dibatte nella propria crisi, il
centrosinistra si presenta agli occhi della borghesia, italiana ed europea, come carta di ricambio, come
il classico progetto di alternanza. Non è un caso se quel progetto viene avanzato nel vuoto
pneumatico di un politicismo vecchia maniera, in assenza di contenuti e di prospettive, tutto centrato
sugli effetti salvifici della candidatura Prodi: basterebbe un’analisi attenta delle direttive della
Commissione europea per rendersene conto. Anche per questo riteniamo che non esistono le
condizioni per un accordo di governo con il centrosinistra e che al cedimento alla logica del bipolarismo e
quindi dell’alternanza, vada preferita la prospettiva, difficile ma ineludibile, di un punto di
riferimento di classe alternativo.

Battere le destre, rilanciare l’opposizione ora
Questa impostazione non riduce la necessità di battersi contro il governo Berlusconi poiché le sue
concrete politiche, non solo sul terreno della giustizia, dell’informazione e della democrazia
violata, ma soprattutto sul terreno sociale e dei diritti del lavoro rischiano di produrre guasti
irreversibili. Ci sono lotte in corso, ci sono movimenti di massa, ed è sulla disponibilità a
un’opposizione politica e sociale forte, e quindi su obiettivi qualificati, che si può misurare la
possibilità di un’alternativa. Sono quelle realtà sociali e del lavoro, è quel movimento che deve
entrare con i suoi contenuti in questa discussione, ma sul serio. Altrimenti, si rischia di entrare in
rotta di collisione con le stesse ragioni costitutive del movimento che, in assenza di un confronto
sui contenuti, potrebbe sentirsi espropriato delle proprie prerogative, risucchiato dalla vecchia
politica e rimpiazzato dallo sbocco istituzionale.
L’opposizione ha bisogno di contenuti qualificati sui quali costruire l’unità necessaria e quuesto
va fatto ora. L’applicazione della legge 30, ad esempio, va concretamente impedita ora, a partire
dai rapporti di lavoro che dipendono da tutte le amministrazioni pubbliche non gestite dal
centrodestra: un modo concreto per non lasciare isolati i metalmeccanici che ne contrastano
l’applicazione nelle fabbriche e un modo di verificare il reale impegno delle Regioni e dei Comuni ulivisti. I
metalmeccanici vanno sostenuti ora nel mezzo di una vertenza difficilissima e in cui la stessa
rinnovata unità di Cgil, Cisl e Uil è un’unità "a ritroso", provocata da Berlusconi e dal suo
"tradimento" della Cisl, non già da un ripensamento della concertazione o del Patto per l’Italia.
L’impegno per una democrazia sindacale va preso ora, con la riproposizione di una legge che dia un segno
tangibile alle sinistre sindacali diversamente dislocate. Così come va fatta una battaglia
democratica per il ripristino del proporzionale contro la logica del maggioritario. La battaglia per un
nuovo meccanismo di tutela salariale contro l’inflazione va lanciata ora indicando qual è il
meccanismo e quale difesa si vuole intraprendere anche sul versante del minimo salariale e del salario
sociale. La battaglia contro la guerra e il militarismo va fatta ora chiedendo il ritiro di tutti i
soldati italiani impegnati in missioni di guerra e dichiarando questo ritiro interno
all’opposizione al nuovo modello di difesa europeo. La Bossi-Fini va contestata ora sapendo che questo
significa mettere in discussione anche la Turco-Napolitano. Il no alla Costituzione europea va pronunciato
ora, dando corpo e sostanza all’ipotesi degli "stati generali dell’altra Europa", da intendere
come un percorso congiunto di elaborazione politica e di conflitto sociale sul piano europeo in vista
di una sorta di "15 febbraio sociale" a livello continentale.
E’ questo il terreno dell’unità necessaria. Solo un suo sviluppo può spostare in avanti i rapporti
di forza e permettere una relazione più efficace e feconda tra "sociale" e "politico", nella
prospettiva della rifondazione di una sinistra alternativa e di un’alternativa di società.
Certamente, battere Berlusconi significa batterlo anche sul terreno elettorale con le scelte
tattiche e le convergenze necessarie a non consegnare il paese alle destre, ipotesi che sarebbe folle
non contemplare. Si dice che la desistenza è impraticabile ma la desistenza ottenne lo scopo per
cui fu ideata, cioè battere Berlusconi. Non ottenne invece lo scopo di governare con l’Ulivo: ma
non fu ispirata da questo. Del resto, l’impraticabilità dell’opzione di governo, confermata dalla
rottura del ’98, dimostra che governare per aprire veramente una fase di alternativa alle politiche
del capitale e del liberismo richiede interlocutori politici disponibili a percorrere questa
strada e quindi rapporti di forza sociali molto diversi. Lo stesso Schroeder aveva vinto le elezioni
schierandosi contro la guerra all’Iraq, ma, dopo aver appoggiato gli industriali contro il
sindacato, sta colpendo pensioni e stato sociale in misura tale da essere citato come esempio da
Berlusconi. Così come Lula in Brasile, che ha alle spalle un ben diverso percorso politico e sociale nella
costruzione del PT sta entrando in rotta di collisione frontale con tutte le organizzazioni
sociali e sindacali al punto da essere definito "presidente geneticamente modificato" dal movimento dei
Sem Terra.

Un programma per la sinistra alternativa
L’alternativa a Berlusconi, per essere davvero tale, è un programma alternativo: di idee e di
lotta antiliberista. La stessa questione dell’efficacia politica, per essere tale, ha bisogno di
proposte e di contenuti, di obiettivi "ponte" tra bisogni sociali e necessità di costruire un "altro
mondo possibile". Il programma non può certo essere inteso come un espediente per trattare
un’alleanza politica, né come esercizio letterario o di propaganda. E’ invece uno strumento di lotta, un
metodo per far crescere il conflitto sociale, per dotarsi di obiettivi credibili e ottenibili. Un
forza comunista ha oggi il dovere di proporre la rinazionalizzazione di settori strategici
dell’economia; la riduzione drastica delle spese militari, il rifiuto della Nato e dell’esercito europeo e
quindi il ritiro immediato di tutti i militari all’estero; il ripristino di un meccanismo
automatico di difesa dei salari; uno stato sociale garantito di cui salario sociale e pensioni per tutti e
tutte siano i capisaldi; una scuola pubblica e gratuita; una cittadinanza effettiva per tutti,
migranti e non, a partire dall’abolizione dei vergognosi Cpt; una società sostenibile in cui
l’ambiente non sia una variabile dipendente ma un vincolo effettivo; una democrazia effettiva dai luoghi
di lavoro; un sistema elettorale democratico, quindi proporizionale, e una democrazia partecipativa
reale e non simbolica.
L’uscita dalla crisi, in Italia e in Europa, una prospettiva politica in avanti non si darà con un
accordo di governo ma con la costruzione di un soggetto politico alternativo a questo presunto
riformismo. Un soggetto che assuma il terreno del programma, che costruisca il movimento, che si
renda disponibile a un’opposizione unitaria, dal basso e sui contenuti. Un soggetto plurale, in cui
possano mescolarsi forze sociali e politiche; non la riproposizione di "ceti", variamente dislocati,
non la somma di coloro che restano "fuori" dal partito riformista ma un altro soggetto, un’altra
prospettiva politica. Un soggetto europeo che rompa le rigidità tradizionali e si collochi
nell’alveo di un anticapitalismo conseguente: innanzitutto in un rapporto non subordinato alla
socialdemocrazia e con un orientamento chiaro, da subito, rispetto alla Costituzione europea.
Sarebbe quindi utile un percorso programmatico tra tutte le forze che si riconoscono nelle
discriminanti del movimento: l’antiliberismo e il No, senza se e senza ma, alla guerra. Per questo è
utile che Rifondazione comunista promuova una Conferenza programmatica aperta a tutti i soggetti
sociali e di movimento, che elabori i contenuti irrinunciabili di un’alternativa a Berlusconi e al
liberismo. Non per entrare in una trattativa sindacale con il centrosinistra, ma per promuovere una
battaglia di massa che sia essa stessa sponda politica per le lotte in corso. Evitando così alle
forze di alternativa - tutte, non solo il Prc - di essere messe sotto ricatto, paradossalmente,
dall’avventura neocentrista del
partito riformista.
Le priorità della fase rimangono dunque il rilancio del movimento di massa, con particolare
attenzione al movimento dei lavoratori, l’opposizione al governo Berlusconi e la costruzione di una
sinistra alternativa. Sono le coordinate dell’ultimo congresso di Rifondazione comunista che rimane il
nostro orientamento.

Gigi Malabarba
Flavia D’Angeli
Franco Turigliatto