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La sinistra lotta per i bisogni e il progresso
Ma non ha un’idea politica della felicità..
Cara Roberta Ronconi, il risultato del tuo tentativo di innescare un dibattito sulla felicità è
stato più che deludente. Purtroppo c’era da aspettarselo: per i partiti comunisti la felicità non
sembra essere mai stato un obiettivo politico. E’ stato ed è un errore politicamente fatale. Lo
dimostra il crollo del socialismo reale, lo dimostra la riduzione ai minimi termini dei partiti
comunisti occidentali. In genere le letture che si danno di questi epocali insuccessi sono prigioniere
di una topica discorsiva chiusa in se stessa dove il gioco delle forze esclude quasi sempre, o
include in misura residuale il desiderio, il piacere, la bellezza, l’amore, la gioia: tutti
ingredienti della felicità. E, ironia della cultura, tutti ingredienti della filosofia materialista da
Epicuro a Samir Amin passando per Marx.
Anche a sinistra il discorso politico sui bisogni si interroga e trova risposte ad un livello
tanto necessario quanto volgare. Necessario perché prima di discutere d’estetica occorre riempire la
pancia. Da qui la sacrosanta lotta alla povertà. Volgare perché: dopo che la sinistra ha sconfitto
l’indigenza non sa più che dire, non sa più che fare, non sa più che promettere. In una parola non
ha un’idea politica della felicità. La prova più attuale è la tristissima parabola cinese: Paese a
guida comunista che ha abbracciato il sistema dei bisogni capitalista. Ecco che la felicità è la
Carta Oro American Express. Come nella Russia Sovietica ciò che è desiderabile, ciò che è attraente
è l’automobile di lusso, la ragazza/o copertina.
E’ così che il capitale vince politicamente: appropriandosi dell’immaginario. Ad eccezione della
Chiesa, da sempre attenta a ciò che avviene nella coscienza, l’unica istituzione che parla
costantemente ai giovani è la pubblicità, ossia il braccio più visibile del marketing (il mezzo principale
per vendere merci). Da tempo è la pubblicità l’agenzia che produce senso e modelli di
identificazione collettiva. E’ la pubblicità che impone i modelli vincenti di corpo e di sessualità. E’ cosa è
la felicità se non anche autostima e ricerca del piacere? Ma per la maggioranza dei rappresentanti
della sinistra queste sono cretinate. Per costoro la politica è esercizio del potere. Liquidata
con due formulette la questione dell’ideologia, quel che conta è l’occupazione, la produzione, i
consumi, l’andamento del PIL. Per farla breve: la sinistra è ancora prigioniera dell’ottocentesca e
borghese ideologia del progresso. Mentre per Marx l’essere umano non è un animale economico.
Risultato: in Italia un’azienda televisiva, ossia un’azienda che vende immagini, si è impadronita del
potere politico e il suo proprietario è presidente del consiglio. Cara Ronconi, prova a dire a un
dirigente comunista che oggi il più importante partito politico italiano è Mediaset, probabilmente
ti riderà in faccia. Per chiudere: le sconfitte della sinistra sono state determinate da un’idea
miope del conflitto che trascura totalmente la capacità del capitale di imporre valori e sogni.
Valori e sogni fondati sul consumismo e a cui il socialismo non ha saputo opporre una propria idea
di felicità. In definitiva: la sinistra non comprende che uno spot pubblicitario è un comizio della
merce direttamente connesso con la berlusconiana promessa di un milione di posti di lavoro e di un
milione di lire per le pensioni minime. Promesse non mantenute. Non importa. Funzionano lo stesso.
Esattamente come nella pubblicità: più l’oggetto proposto è lontano dalla realtà più è
desiderabile.
Cara Ronconi, il dibattito sulla felicità che hai provato ad innescare è estremamente salutare
perché una volta per tutte può partire da una presa d’atto che dobbiamo finalmente gridarci in
faccia: l’arretramento della prospettiva comunista è dovuto a una tremenda incapacità culturale del
nostro personale politico. La cosa più grave è che, in Italia, noi abbiamo avuto Gramsci. Un comunista
che ha posto la cultura ai primi piani dell’azione politica. Un comunista che si interessava della
letteratura popolare perché ne aveva compreso la forza politica. A livello internazionale abbiamo
avuto robustissimi filoni di pensiero come l’austromarxismo e la Scuola di Francoforte. Insomma
per molti intellettuali, come del resto anche per Marx, alle rivoluzioni politiche devono seguire
rivoluzioni sociali capaci di intervenire e trasformare democraticamente le sfere dei rapporti
umani. Appropriarsi degli strumenti di produzione non è sufficiente se non si creano strumenti di
riproduzione della società alternativi al sistema dei bisogni di tipo borghese.
Patrizio Paolinelli
Bologna
Messaggi
1. > Felicità e politica, 21 novembre 2003, 22:04
Mi si chiede che rapporti ci sono tra felicita’ e politica (ma si potrebbe dire anche economia o
potere)
La Costituzione degli Stati Uniti recita che ogni uomo ha diritto alla felicita’.
Vorrei contestare questa dichiarazione come un indiscutibile attentato alla vita umana.
Se infatti io ritenessi che la felicita’ e’ un mio diritto e addirittura un diritto primario
sancito dalla Costituzione, non tollererei ostacoli al raggiungimento della stessa e in particolare mi
riterrei in diritto di procurarmela anche calpestando i diritti degli altri.
Il diritto alla felicita’ e’ una meta di basso livello che non e’ buona nemmeno per i bambini,
anche i bambini infatti, da subito, vengono convinti che non possono sempre soddisfare ogni loro
desiderio appena questo insorge perche’ ci sono valori che devono essere rispettati e che passano
davanti alle loro pulsioni, in quanto piu’ importanti, e perche’ le persone che vivono loro attorno
devono entrare nelle loro considerazioni; e’ cosi’ che si passa dalla sfera egoica e infantile a
quella sociale ed evoluta e può svilupparsi una consapevolezza piu’ matura che tiene conto anche
delle ragioni degli altri e dei valori generali del mondo.
Una societa’ basata su esseri desideranti mi sembrerebbe pochissimo evoluta e oltremodo infantile.
Io credo fermamente che la parola felicita’ si debba sostituire con la parola responsabilita’.
Ogni uomo ha diritto a diventare una persona responsabile, ha diritto percio’ a non avere
impedimenti per una vita giusta e armoniosa, a conoscere, ad avere una giusta e molteplice informazione,
a ricevere buoni esempi, a realizzare un’etica sociale, a partecipare alle scelte collettive, a
essere autonomo, a realizzare il bene pubblico, a partecipare alla vita comune...
L’uso della parola felicita’ e’ oltremodo disdicevole e ambiguo. Considera l’essere umano solo dal
punto di vista dei suoi desideri e postula una ragione politica ed economica in grado di manovrare
questi desideri facendoli diventare l’unico scopo del soggetto, che finisce col credere che solo
soddisfacendo i medesimi, puo’ raggiungere a buon diritto qualcosa che gli spetta. Una societa’
basata su esseri desideranti e’ preda di coloro che inventano o manipolano i desideri e dunque l’uomo
che vi e’ connesso. La societa’ dovrebbe essere fromata da esseri consapevoli che sanno modificare
i propri desideri per il bene comune.
L’uomo che ragiona solo con la parte desiderante e’ un uomo debole, facilmente abbindolabile e
dominabile, preda di suggestionatori diretti o occulti.
Dunque la cattiva politica puo’ essere esercitata proprio agitando dinanzi all’uomo la carota
della felicita’, e tenendo l’uomo in una fase immatura in cui gli e’ difficile valutare e capire e
diventa alla fine complice di chi vuole esercitare un cattivo potere, come fa il genitore che tenta
di comprarsi il figlio soddisfacendo tutti i suoi capricci mentre dovrebbe educarlo a diventare
adulto, non dipendente dalle proprie pulsioni, ma in grado di essere utile al mondo.
Se consideriamo grandi uomini, Gandhi, Luther King, Socrate.. e’ facile vedere che essi non
inseguirono la propria felicita’ ma si misero al servizio di valori che ne prescindevano e che erano
collettivi. Una morale edonistica difficilmente sara’ un’etica sociale ragionevole, piu’ spesso
creera’ equivoci e portera’ a cattivi comportamenti, dunque al male comune.
Viviana