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Riforme: «Fermare la destra con il referendum»
di Simone Collini
Di questa riforma «confusa, contraddittoria, sbagliata e pericolosa», scandisce Romano Prodi, «sarà il popolo l’unico giudice». Di fatto, è cominciata la battaglia per il referendum contro il disegno di legge con cui governo e maggioranza puntano a riscrivere in un colpo solo 48 articoli della Costituzione. Mai come ieri è stato detto in modo chiaro che se la Casa delle libertà approverà questo testo nato dalla «bozza di Lorenzago», il centrosinistra si schiererà tutto e in modo compatto per il no al referendum confermativo. E mai come ieri si è visto che contro questa riforma istituzionale si è creato uno schieramento che va ben oltre i confini dell’opposizione parlamentare. Perché a rispondere all’appello lanciato dalle associazioni “Libertà e Giustizia” e “Astrid” e a riunirsi al Gran Teatro di Roma per denunciare le gravi conseguenze che deriverebbero dall’approvazione del testo targato Cdl sono stati non solo tutti i leader di quella che ormai viene già definita la Grande alleanza democratica, Prodi in testa, ma anche Oscar Luigi Scalfaro, costituzionalisti come il presidente emerito della Consulta Leopoldo Elia ed economisti come Giovanni Sartori e Paolo Sylos Labini. Ma non solo.
Anche i segretari di Cgil, Cisl e Uil hanno espresso «forti preoccupazioni» per una devolution «inaccettabile secondo quel modello di federalismo cooperativo e solidale in cui crediamo» e che «per i dipendenti pubblici di settori quali sanità, scuola, sicurezza, enti locali, comporta il rischio che venga meno il complesso di garanzie e tutele determinato dall’unitarietà, sull’intero territorio del Paese, del contratto nazionale collettivo di lavoro». Parole che Epifani, Pezzotta e Angeletti hanno messo nero su bianco in una lettera inviata ai presidenti di Camera e Senato. Ma ancora non è tutto. Perché nelle stesse ore in cui si veniva a sapere che i tre leader sindacali saranno ricevuti lunedì da Casini per discutere della questione, il governatore della Banca d’Italia Antonio Fazio lanciava da Roma un invito a fare attenzione affinché il decentramento «non accresca costi e non segmenti impropriamente funzioni», e contemporaneamente, da Capri, Luca Montezemolo ammoniva: «Dobbiamo evitare di infilarci in qualche tunnel che ci conduca ad avere maggiori spese e minore efficienza». Il presidente di Confindustria ha sottolineato che l’Italia ha bisogno di un «adeguamento istituzionale», ma anche che questo va fatto «con la partecipazione convinta di tutti, senza veti precostituiti e senza prevaricazioni arroganti».
È ancora l’invito al dialogo che, dopo Ciampi e Casini, continua ad arrivare al Parlamento da più parti. Il centrosinistra, ad esempio con Massimo D’Alema, ha fatto notare che «c’è un unico modo di accogliere l’invito del capo dello Stato a fare le riforme insieme, e questo modo è ritirare quel papocchio che è all’esame del Parlamento». Ma se la maggioranza andrà avanti, come sembra evidente dalle dichiarazioni che continuano a provenire dal centrodestra, l’opposizione imboccherà la strada del referendum.
Lo ha detto chiaro e tondo Prodi, sotto il tendone del Gran Teatro di Roma: «Ci opporremo alla prepotenza e alla violenza delle riforme della maggioranza con tutte le armi a nostra disposizione, appellandoci al popolo italiano e chiamando tutti i cittadini a esprimere con il loro voto il loro no a tanta irresponsabile arroganza». Arroganza ancora più ingiustificata, ha denunciato il Professore, se si considera che questo «assalto alla Costituzione» viene utilizzato «cinicamente» da governo e maggioranza al solo fine di «continuare a stare insieme, comunque e a qualunque costo», compreso quello di «mettere a rischio il funzionamento delle nostre istituzioni e di bloccare il paese». Prodi ha detto di aver apprezzato l’appello al dialogo di Ciampi e ha insistito sul fatto che il centrosinistra le riforme le vuole fare: «Noi vogliamo riforme serie, noi vogliamo promuovere e partecipare solo a riforme vere». Quelle in discussione oggi a Montecitorio, ha sottolineato Prodi, non lo sono, ma rispondono ad interessi particolari: si vuol creare «un premier che, se userà il suo premierato assoluto, sarà inevitabilmente per perseguire tentazioni autoritarie o plebiscitarie», mentre «non c’è alcuna significativa garanzia per le opposizioni» e «il capo dello Stato viene privato di ogni autonomo potere di intervento arbitrale nel conflitto politico-istituzionale: il suo ruolo viene irriso attraverso il conferimento di una funzione meramente formale di garante della Costituzione».
E per lasciandosi alle spalle le divisioni sul voto dell’articolo 1 della riforma, tutto il centrosinistra è stato unito nel sostenere la stessa posizione su questo «vestito di Arlecchino che nessuno saprà far indossare all’Italia» (Fassino), che «colpisce non solo i valori, che per noi sono importanti, ma anche gli aspetti materiali della vita dei cittadini» (Cofferati) e che finisce per far diventare la Costituzione «una coperta che si tira da una parte o dall’altra» (Veltroni). E se per Rutelli «non c’è la possibilità di nessun accordo con chi pretende di stracciare la Costituzione e farne una nuova a colpi di maggioranza, è una pazzia», questa pazzia per Bertinotti «ha alla base una ratio: rendere impermeabili le istituzioni alla società civile e scardinare l’uguaglianza dei cittadini».
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