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Fiducia

Publie le lunedì 27 ottobre 2003 par Open-Publishing

VALENTINO PARLATO

Il grande sciopero della giornata di ieri ci ha detto innanzitutto che il nostro paese non è
ancora così deteriorato come talvolta abbiamo pensato nell’attuale regime berlusconiano. E ci ha detto
ancora che gli operai non sono affatto residuali e isolati dal resto del vasto e variegato mondo
del lavoro come in molti, e non solo a destra, ci vogliono far credere. Ne avremo una conferma il 7
novembre quando sciopereranno e torneranno in piazza i metalmeccanici della Fiom. Ieri è stato uno
sciopero di popolo e, va sottolineato, politico: perché mai i lavoratori e i loro sindacati non
debbono aver voce in politica? Sciopero di popolo perché insieme agli operai, e forse più
vistosamente, hanno scioperato e sono scesi in piazza i lavoratori della scuola, quelli dei trasporti, delle
trasformate Poste, quelli del pubblico impiego, che a Roma sono stati dominanti. Tutti lavoratori
dipendenti (eterodiretti dice Giorgio Lunghini), con una condizione non proprio proletaria, ma
intermedia e quindi più esposta alle serenate di Berlusconi. E non si deve affatto ignorare che i
lavoratori della scuola, gli insegnanti, hanno il carico della formazione dei nostri figli e nipoti:
il loro sciopero dovrebbe valere come insegnamento politico anche per noi che le scuole abbiamo
abbandonato da troppo tempo.

Questo sciopero è stato contro l’imbroglio sulle pensioni (il governo deve ritirare la delega), ma
anche contro tutto il resto: contro il declino economico, politico e sociale di questo nostro
paese, che pure ha dato i voti a Berlusconi, che non è affatto un marziano o un epifenomeno, ma un
prodotto delle frustrazioni e degli egoismi del nostro popolo. Ieri l’appeal di Berlusconi, già
piuttosto appannato, ha subito un colpo: il popolo comincia a non bere il populismo. Il Patto per
l’Italia, con il quale il cavaliere era riuscito a infrangere l’unità sindacale è stato definito una
truffa e (almeno per quel che ho visto nella stracolma piazza Navona) i lavoratori con le bandiere
della Cisl apparivano liberati e, oserei dire, felici di essere di nuovo in piazza con tutti gli
altri.

Ieri è stata una giornata positiva, che ha dato fiducia: la partita è aperta e si può ancora
vincere, ma pensare di aver già vinto, sarebbe un errore suicida. I problemi restano e il terreno è
disseminato di trappole. I problemi sono fondamentalmente connessi al declino economico: in regime
capitalistico, quale quello nel quale noi viviamo, quando l’economia va male a pagare sono
soprattutto le parti deboli: i lavoratori colpiti nel salario reale e minacciati nel posto di lavoro, ma
anche i cosiddetti ceti medi che, storicamente, vengono tosati, impoveriti e marginalizzati. I
giovani vedono restringersi le possibilità di lavoro e di reddito e di realizzare le loro sacrosante
aspirazioni. E poi, a cascata, c’è la riduzione delle imposte per i ricchi e il taglio del welfare
per chi non può pagarsi la clinica privata. Le crisi indeboliscono la democrazia e favoriscono le
soluzioni autoritarie.

E poi le trappole che, a mio parere, vengono generate dal decadimento della politica: quando la
politica rinunzia all’obiettivo di cambiare, anche di poco, gradualmente, lo stato di cose esistente
e punta soprattutto, o solo, a occupare il posto di governo dell’antagonista. Se la politica si
riduce a concorrenza, molte possono essere le trappole, con il rischio che i concorrenti finiscano
per rassomigliarsi.

Ma la giornata di ieri dovrebbe darci abbastanza fiducia per affrontare problemi ed evitare i
trabocchetti.