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GUERRA DEL GAS E INSURREZIONE

Publie le martedì 28 ottobre 2003 par Open-Publishing

GUERRA DEL GAS E INSURREZIONE IN BOLIVIA

José Rostier (da Quito, Equador),

Qando i contadini indios (aimara) hanno lanciato, in settembre, la campagna del blocco delle
strade degli Altipiani, essi mettevano l’intero paese di fronte a un interrogativo di fondo: a chi
spetta il controllo delle risorse naturali? La Bolivia infatti, che è il paese più povero dell’America
Latina, possiede i principali giacimenti di gas del Sudamerica, dopo il Venezuela.
Per il loro sfruttamento, il presidente Sanchez de Lozada si stava apprestando ad affidarne
l’esportazione a un consorzio di multinazionali comprendente la spagnola Repsol, la British Gaz e
l’American Energy, un consorzio che si riservava l’82% degli introiti attesi...
Come fare uscire il paese dalla miseria svendendone le risorse? Perché non trasformarle in loco?
Perché non utilizzarle per attrezzare gli alloggi, le aziende? A tali domande, avanzate dal
sindacato all’origine della rivolta, la Confederación sindical unica del los trabajadores campesinos de
Bolívia (Confederazione sindacale unica dei lavoratori contadini brasiliani - Csutcb), il governo
ha risposto con la militarizzazione delle zone dello scontro.
Il 20 settembre, l’esercito spara sulla folla, uccidendo 5 persone.

Una lotta per il controllo delle risorse naturali

La reazione del movimento sociale è immediata. La Central obrera de Bolivia (Centrale operaia
boliviana - Cob) fa appello allo sciopero. Le parole d’ordine si allargano, esprimendo l’ampiezza
della contrapposizione tra un governo asservito agli interessi del Fondo monetario internazionale
(Fmi) e delle organizzazioni in lotta, particolarmente combattive. Dimissioni del presidente Sanchez
de Lozada, assemblea costituente, blocco di tutte le politiche economiche liberiste: quella che si
tratta di imporre è una repubblica sociale.
Mentre lo sciopero paralizza la capitale, i contadini degli Altipiani si dichiarano in
"insurrezione armata". Avviene quell’insperata saldatura tra settori urbani e settori rurali invano auspicata
da Che Guevara e indispensabile per l’effettiva vittoria popolare.
Pallottole contro pietre, armamenti pesanti contro dinamite, le manifestazioni sono di grande
violenza. Di fronte a un popolo disposto ad andare fino in fondo, la repressione militare è feroce e
causa 80 morti.
Il 16 ottobre, oltre 50.000 persone affrontano il centro di La Paz. Lo stesso esercito non sembra
troppo sicuro e vengono ritirati dal fronte alcuni soldati indigeni che minacciano di ribellarsi.
I ceti medi, sconvolti dai massacri, passano al fianco dei manifestanti. Il governo esplode.
Sanchez de Lozada perde il controllo del paese, ed è costretto a dare le dimissioni e fuggire.
Non si riesce a capire la forza dell’insurrezione se non ci si sofferma sulla prolungata
esperienza di lotta del paese. La Bolivia ha già conosciuto un’esperienza rivoluzionaria nel 1952, allorché
 sotto la direzione della Cob - il paese ha vissuto una situazione di dualismo di poteri, tra i
minatori organizzati nel loro sindacato, da un lato, e il governo di allora, dall’altro.
D’altra parte, cinque secoli di resistenza indigena ai colonizzatori hanno permesso quella
strutturazione e quella consapevolezza politica dei settori rurali che avevano alimentato le
mobilitazioni sociali nel corso della crisi del movimento operaio tradizionale degli anni Settanta e Ottanta.
In quei decenni, la borghesia, incoraggiata dal Fmi e dagli Stati Uniti, ha imposto uno Stato
neoliberista: nel 1985, si è posto fine per decreto al carattere misto dell’economia nazionale. Le
successive riforme hanno precipitato nella disoccupazione 200.000 minatori e smantellato i servizi
pubblici: il prezzo dell’acqua è aumentato di sei volte...
Nell’aprile del 2000, però, un nuovo ciclo di lotte si è aperto con una vittoria. A Cochabamba, la
popolazione respingeva un progetto di privatizzazione dell’acqua. Il Coordinamento in difesa
dell’acqua, che centralizzava l’iniziativa dei vari soggetti della lotta, si trasformava poi in
Coordinamento nazionale in difesa del gas, che svolge un importante ruolo nell’attuale mobilitazione. Da
allora in poi, ogni movimento sociale è stato più determinato, ma anche più duramente represso.
L’ultimo in ordine di tempo, nello scorso febbraio, ha comportato 33 morti, a seguito di
combattimenti in piena regola tra la polizia in sciopero e l’esercito.

Un sasso nello stivale imperialista

Il rafforzarsi della mobilitazione sociale ha creato ripercussioni istituzionali. Nelle elezioni
presidenziali del 2002, Evo Morales, dirigente del Movimiento al socialismo (Movimento per il
socialismo - Mas), è risultato per suffragio universale alla pari con Sanchez de Lozada. C’è stato
bisogno di un voto in un parlamento sottoposto alla pressione degli Stati Uniti per lo spareggio,
logicamente favorevole al candidato neoliberista.
Sanchez de Lozada si è ormai rifugiato negli Stati Uniti. Il suo crollo, però, è solo una mezza
vittoria. "Abbiamo vinto una battaglia, non la guerra". Riunitisi subito in assemblea straordinaria,
i militanti della Cob sono stati d’accordo su questo. La mobilitazione, di massa e combattiva, è
andata ampiamente al di là delle attese di tutte le organizzazioni. Pur avendo il Coordinamento in
difesa del gas svolto una funzione unificante all’inizio della lotta, il Mas, la Cob e la Csutcb
non sono tuttavia riusciti poi a coordinarsi, a imprimere al movimento un ritmo e obiettivi
abbastanza ambiziosi. In breve, è mancata una direzione rivoluzionaria.
I giochi, però, non sono ancora finiti. Pur restando in piedi l’esercito e il parlamento, malgrado
i loro crimini, essi sono comunque sottoposti a una formidabile pressione popolare. Organizzare un
referendum sul gas, rompere con l’ortodossia neoliberista, convocare un’assemblea costituente e
nuove elezioni, sono queste le promesse che Carlos Mesa, il nuovo presidente, è stato costretto a
fare per placare la contestazione. Oggi, la sua principale preoccupazione è come fare per non
mantenerle, talmente è chiaro che egli non è migliore del suo predecessore...
Ad ogni modo, è improbabile che egli riesca a fare in modo che la classe dirigente ristabilizzi la
situazione. Se Evo Morales fa appello alla pacificazione per "consentire una pausa d’attesa" al
nuovo governo, le altre organizzazioni sindacali si mostrano più all’offensiva. Mantenere le
mobilitazioni, predisporre una piattaforma di lotta unitaria, costruire il quadro di iniziativa comune
che sono mancati in questo mese: sono questi gli obiettivi immediati preannunciati dalla Cob. Felipe
Quispe, dirigente della Csutcb ha fatto presente, da parte sua, che l’obiettivo a breve termine è
ormai "la presa del potere" (v. l’intervista che segue).
L’insieme dell’America Latina ha seguito da vicino l’insurrezione boliviana. Il suo successo
effettivamente infila un sasso nello stivale degli Stati Uniti, che cercano di imporre al continente
l’Accordo di libero scambio delle Americhe (l’Alca) (v. Scheda che segue). Non per sbaglio la Casa
Bianca ha incondizionatamente appoggiato la repressione, che in parte ha diretto.
Dopo il fallimento del vertice dell’Omc a Cancun, e di fronte alle resistenze in Argentina, in
Brasile o in Venezuela, la scomparsa del fido Sanchez de Lozada è un altro duro colpo per gli Stati
Uniti. Per non considerare i pericoli di contagio nell’America andina: in particolare, il vicino
Equador sta vivendo una situazione sociale tesa, in cui le risorse petrolifere potrebbero ben
giocare il ruolo del gas boliviano.

* * * * *

Brani tratti dall’intervista rilasciata da Felipe Quispe al giornale brasiliano Folha all’indomani
delle dimissioni di Sanchez de Lozada.

[Felipe Quispe è stato eletto deputato (con il 7% dei voti, nelle elezioni del 2002) per il Mip
(Movimento indigeno pachacuti); ha 61 anni ed è presidente della Csutcb. Fondatore della guerriglia
TupacKatari nell’Altopiano (smantellata nel 1992) è stato imprigionato insieme ai principali
dirigenti e, rilasciato cinque anni dopo, ha dato vita al Mip nel 2001.

E ADESSO, CHE FARE?

Folha - Cosa farete adesso che è cambiato il presidente?
Felipe Quispe - La prima tappa è stata imporre le dimissioni dell’assassino. Benissimo. Vedremo
ora che cosa succederà in parlamento. Adesso che Mesa è presidente cercheremo di trattare. Se non
soddisfa le nostre 72 rivendicazioni, continueremo le nostre manifestazioni e le nostre
mobilitazioni. Se le nostre richieste non saranno accolte, allora cercheremo di prendere il potere.

Folha - Dunque, se non ci sarà un’intesa, l’obiettivo sarebbe prendere il governo con la forza?
F. Q. - Lo strumento per arrivare al potere è la rivoluzione. Non ci basta controllare il governo
per essere padroni dei nostri destini. Per vie istituzionali non conquisteremmo il potere, al
massimo il governo. Per controllare quel che è nostro dovremo smantellare tutto: l’esercito asservito
agli interessi degli Stati Uniti, la polizia e il potere economico. Un giorno la rivoluzione
verrà.

Folha - Come mai non ci sono indios nel governo? C’è razzismo?
F. Q. - Sì, c’è razzismo nelle élites dominanti. Noi rappresentiamo il 90% della popolazione [tra
indios e meticci] e non abbiamo il potere. Come è possibile? Si fa di tutto perché non possiamo
arrivarci. La via d’uscita per una situazione del genere è la rivoluzione, per noi e per gli
indigeni del Guatemala, dell’Equador, del Messico e del Perù. Pacificamente, gli indigeni non arrivano al
potere. E’ ora che prendiamo le nostre sorti nelle nostre mani.

* * * * *

Scheda - IL MOVIMENTO INDIGENO DI FRONTE ALL’ALCA
José Rostier

L’insurrezione boliviana rappresenta un importante punto d’appoggio per le lotte contro l’Alca
(l’Accordo di libero scambio delle Americhe). Previsto perché entri in vigore nel 2005, questo
accordo multilaterale comprenderebbe tutte le Americhe, dall’Alaska alla Terra del Fuoco. Estendendo il
Nafta (l’Accordo di libero scambio nordamericano, comprendente il Canada, gli Stati Uniti e il
Messico, dal 1994), si spaccia l’Alca per maggiormente globale. I suoi punti base sono: apertura dei
confini ai flussi finanziari, privatizzazione dei servizi pubblici, totale brevettabilità del
vivente, predominio del diritto delle multinazionali rispetto a quello degli Stati. L’Alca esige
inoltre il rigoroso rispetto dei piani di "aggiustamento strutturale" imposti dal Fondo monetario
internazionale e dalla Banca mondiale... Una vera e propria condanna a morte per le economie nazionali
dei paesi poveri. L’esperienza del Nafta sta a dimostrare il pericolo insito nella sua estensione
al resto del continente. Dalla sua entrata in vigore, infatti, il Messico ha perso 200.000 posti
di lavoro, mentre il salario minimo è diminuito del 25%.
Prioritaria per i movimenti sociali latinoamericani, la lotta all’Alca è dunque connessa a tutte
le mobilitazioni antiliberiste. In Bolivia, a portarla avanti nel modo più deciso sono le nazioni
indigene, quechua e aimara. Il ruolo centrale delle nazioni indigene in questa lotta lo ritroviamo
in Equador oppure in Chiapas, con l’insurrezione zapatista del 1° gennaio del 1994, il giorno
dell’entrata in vigore del Nafta.
Per le popolazioni indigene, il concetto di proprietà collettiva del territorio è essenziale.
Gestita spesso in comune, considerata un ambito vivente il cui equilibrio biologico va rispettato, la
terra non può essere una merce da mettere in vendita. Vivendo spesso di un’agricoltura scarsamente
produttiva, gli indigeni sono fra le prime vittime della liberalizzazione dei commerci agricoli.
Questa acuta consapevolezza spiega la massiccia mobilitazione dei contadini aimara degli Altipiani
contro l’esportazione del gas naturale boliviano. Essa rappresenta anche un modello esemplare:
quello della costruzione di convergenze tra i movimenti sociali dei paesi dipendenti con le lotte per
un altro mondo possibile, ancora troppo limitate ai paesi più ricchi.

[Tratto dal settimanale della Lcr, Rouge, n. 20036, 23 ottobre 2003]

Segnaliamo inoltre sullo stesso tema l’intervista a Jean Ziegler a cura di Sabina Morandi apparsa
domenica 26 ottobre su "Liberazione".