Home > Gli Usa vogliono islamizzare l’Iraq
Intervista al sociologo iracheno Subhi Toma
«Gli Usa vogliono islamizzare l’Iraq»
«Ogni volta che partecipo ad un dibattito sono costretto a mostrare il passaporto e a specificare la mia lunga storia d’opposizione al regime di Saddam Hussein». Il sociologo iracheno Subhi Toma, da anni esiliato in Francia, vuole sfatare lo stereotipo che trasforma ogni cittadino dell’Iraq in un partigiano dell’ex regime. A Roma per partecipare ad un incontro su movimento pacifista e guerra organizzato dal Prc, racconta a Liberazione tutta la frustrazione di un democratico che ha visto il suo Paese passare dalla dittatura baahsista all’odiosa spirale occupazione-terrorismo.
Come è stata vissuta dagli iracheni la cattura di Saddam?
Gli effetti sulla popolazione, anche su chi, negli anni della dittatura, ha subito la repressione del regime, sono effimeri e dureranno appena qualche settimana nell’immaginario collettivo. Nella prassi il colpo mediatico di Bush riuscirà soltanto a radicalizzare le forze della guerriglia, e ad eccitare ancora di più il fondamentalismo islamico.
Perchè parla di colpo mediatico, dubita della trasparenza dell’arresto?
Sono delle ipotesi, ma è evidente che Saddam sia stato preso al momento giusto per gli Stati Uniti, il Presidente Bush è in campagna elettorale, i marines al fronte sono in evidente difficoltà. Non so se Saddam fosse già prigioniero, ma non è un mistero il ruolo di primo piano svolto dai servizi segreti iraniani, che ora chiedono l’espulsione dall’Iraq dei Mujaheddin del popolo. Un altro elemento riguarda gli alleati occidentali, non è un caso che, subito dopo la cattura c’è stato un riavvicinamento di Francia e Germania alle quali Washington ha aperto la porta degli appalti della ricostruzione.
Che giudizio dà del Consiglio provvisorio iracheno?
I membri del Consiglio hanno interpretato un ruolo decisivo per legittimare a posteriori l’intervento militare. Da Washington dicono che oggi l’Iraq è governato da un gruppo che rappresenta la nostra società. Non è vero, i membri del governo provvisorio sono stati scelti secondo criteri etnico-religiosi, dall’Alto Consiglio della Rivoluzione formatosi in Iran ad Al Dawa, un partito che, fino al 1995, era considerato terrorista dal Dipartimento di Stato Usa. Anche i comunisti, sono entrati a farne parte, ma come formazione sciita laica e a condizione di abbandonare la fraseologia socialista, il che ha causato un’autentica esplosione del movimnento comunista. Poi ci sono alcuni sunniti, i curdi di Talabani e Barzani, un cristiano, un turcomanno. In ogni caso si tratta di personalità insignificanti e per nulla rappresentative. Provate a chiedere alle persone ordinarie, non dico ai militanti dell’opposizione, cosa pensino del governo provvisorio e vi risponderanno tutti la stessa cosa: sono dei traditori. Aggiungo che è un esecutivo fantoccio, messo in piedi per avallare decisioni stabilite altrove.
Ad esempio
Penso alla "legge 39", una serie di provvedimenti che punta alla privatizzazione totale dell’economia irachena. Tra le varie misure c’è il rientro in Iraq dei capitali senza alcuna tassazione e la svendita delle nostre risorse ad un pugno di imprese occidentali. E’ una strategia coerente, che punta a distruggere l’opposizione sociale alla liberalizzazione. E chi non si adegua paga. Pensi che al leader del sindacato dei disoccupati hanno proposto di trasformare la sua organizzazione in un’agenzia di lavoro interinale. Lui si è rifiutato e ora è in galera.
Cosa pensa della resistenza armata contro l’occupazione?
E’ un discorso complesso. Vorrei ricordare che la Carta dell’Onu sancisce il diritto alla resistenza dei popoli alle occupazioni militari, e aggiungo che 95% degli iracheni si oppone alla presenza delle truppe.
Ma le bombe contro la Croce Rossa sono resistenza o terrorismo?
Sono contrario a questo tipo di azioni, gli attentati contro i civili non fanno parte della resistenza patriottica. E poi sono dei metodi sospetti, gli stessi impiegati dai gruppi vicini ad Amhed Chalbi, che già negli anni ’90 pianificavano attentati con le autobombe. Secondo me molti attacchi sono delle montature, penso alla bomba contro la scuola di Falluja: si diceva che era opera di un kamikaze, poi si è scoperto che il conducente era già morto prima dell’esplosione. E’ un modo per far passare l’idea che l’Iraq è ostaggio del terrorismo islamico e giustificare l’ingerenza statunitense. Un paradosso, visto che è proprio la presenza degli americani ad alimentare il fondamentalismo.
Invece un recente sondaggio emerge che gli iracheni sono in gran parte favorevoli ad un governo laico e democratico
La nostra tradizione è incompatibile con i movimenti oscurantisti. Nel 1930 abbiamo avuto la prima donna magistrato, nel ’58 le prime ministre, cosa che non accadeva neanche nei Paesi occidentali. E’ impensabile un’Iraq guidato da un governo religioso, purtroppo gli Usa ci stanno riuscendo, ponendo il Paese di fronte ad una micidiale alternativa: da una parte le truppe d’occupazione, dall’altra il fondamentalismo islamico, due fenomeni speculari.
E la società civile come reagisce?
Nei miei frequenti viaggi in Iraq sono rimasto sorpreso nel vedere, malgrado decenni di dittatura, l’alto livello di istruzione, di cultura diffusa, di consapevolezza civile del Paese. Gli iracheni non sono degli ingenui e non abboccano alle false promesse americane, né vogliono abbracciare i loro modelli, come è accaduto con i kuwaitiani, che credono che essere liberi significhi avere in casa una domestica filippina. In tal senso si tratta di una società matura e cosciente.
Cosa chiedete alla cosiddetta comunità internazionale?
Abbiamo un disperato bisogno di legalità per uscire da questa dinamica coloniale. Le Nazioni unite devono intervenire per ristabilirla. Noi, invece, dobbiamo ricomporre le forze politiche irachene in una Conferenza regionale aperta ai Paesi confinanti, che ci conduca ad elezioni democratiche.
Mi perdoni ma le Nazioni Unite non sembrano in grado di fare quel che dice
Certo, l’Onu è stata fatta a pezzi dalla forza dell’amministrazione Usa ed oggi è una parodia diplomatica. Tuttavia non abbiamo scelta. E’ questo il compito dei movimenti pacifisti, dell’Europa e di tutti coloro che si battono per la democrazia in Medioriente. Siamo stanchi, in 25 anni abbiamo avuto tre guerre, un embargo, un’occupazione e oggi siamo sull’orlo di un devastante conflitto civile. Senza contare che siamo stati il laboratorio di sperimentazione della prima guerra preventiva della storia. Mi pare che basti.
Daniele Zaccaria