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Gridò «buffone» a Berlusconi: la procura chiede l’archiviazione della denuncia

Publie le lunedì 12 gennaio 2004 par Open-Publishing
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http://www.unita.it/index.asp?SEZIONE_COD=HP&TOPIC_TIPO=&TOPIC_ID=32005

Aveva gridato «buffone» (o «puffone» secondo qualcuno) a Berlusconi al
termine dell’interrogatorio del premier al tribunale di Milano, il 5 maggio
dello scorso anno. La polizia, su ordine dello stesso Berlusconi, lo aveva
denunciato per ingiuria. Adesso, la procura milanese ha chiesto al giudice
di pace l’archiviazione del procedimento. Insomma, gridare «buffone» al
presidente del Consiglio rientra nell’ambito del diritto di critica, per
quanto colorita, e non dell’ingiuria.

«Avrei preferito affrontare un pubblico dibattimento per guardare in faccia
gli avvocati di Berlusconi che mi hanno denunciato per quella contestazione.
Mi sembra comunque che dalla decisione presa dalla Procura, che ha chiesto
al Giudice di pace di archiviare il procedimento, sia prevalso il buon senso
oltre che la scienza giuridica» commenta adesso Piero Ricca, il giovane
simpatizzante girotondino diventato eroe per un giorno per la rumorosoa
contestazione al premier.

«Buffone, rispetta la legge, fatti processare» aveva urlato Piero Ricca,
avvicinandosi al premier che si stava allontanando dall’aula. Berlusconi
aveva chiamato un ufficiale dei carabinieri intimandogli: «Prendete le
generalità di quell’uomo». Ricca era stato subito accompagnato negli uffici
della polizia giudiziaria e nei suoi confronti era stata aperta un’inchiesta
con l’accusa di ingiuria.

«Mi sembra - ha detto Ricca - che sia prevalso il buon senso. C’è insomma il
diritto di critica, anche colorita, se il criticato è un uomo di potere come
il Presidente Berlusconi. Lui ha potere, denaro e controlla numerosi organi
di informazione, io ho solo la mia voce per esprimere il dissenso». Ricca ha
quindi spiegato che se ci fosse l’occasione ripeterebbe quella
contestazione: «Non solo la rifarei, ma invito tutti coloro che non sono
d’accordo con questo governo a farla. Ricordo solo un titolo di Newsweek,
“L’Europa è sgomenta”, non perché Berlusconi ha vinto le elezioni ma perch
gli italiani non reagiscono».

Messaggi

  • Fa restare sgomenti anche il fatto che i carabinieri abbiano eseguito gli ordini di Berlusconi,imputato,di prendere le generalità di un cittadino incensurato,appunto Piero Ricca.Patrizia

    • WWW.CENTOMOVIMENTI.COM - 1 FEBBRAIO 2005

      Un tranquillo sabato di regime

      PIERO RICCA

      In Italia è riconosciuto solo il diritto all’applauso. Non mi riferisco a censura e manipolazione dell’informazione. C’è di più: la repressione preventiva di ogni possibile dissenso individuale. Ne ho avuto conferma alle ore 15 di sabato 29 gennaio, quando sono stato trascinato in un’auto da diverse persone qualificatesi come agenti di polizia, e portato a forza in un commissariato del centro di Milano, da cui mi hanno liberato oltre due ore e mezza dopo.

      Mi trovavo davanti al palazzo delle Stelline in corso Magenta, dove stavo per entrare per assistere a un convegno organizzato dalla Fondazione Craxi, con il patrocinio anche delle Presidenze di Camera e Senato.

      L’occasione era di tipo celebrativo: si magnificava l’azione di politica estera dell’ex segretario del Partito Socialista Italiano, cittadino – se ricordarlo non è blasfemo – pluricondannato dalla giustizia italiana.

      Molti i convenuti illustri: il sindaco di Milano Albertini, il presidente della provincia Penati, il “presidente di tutti” Formigoni. E ambasciatori, statisti in pensione, ex ministri, storici, l’ex sindaco Tognoli, già condannato a tre e passa, che oggi presiede il Policlinico, Fedele Confalonieri in veste di amico di Famiglia, l’avvocato sardo-milanese Giannino Guiso, un tizio che assomiglia a De Michelis, ci sono pure i liberalsocialisti bellocci Carlo Ripa di Meana, con cravatta fru fru e vestito di panno verde, e Margherita Boniver, stretta nel suo grugno. In trasferta da Cogne il garantista a 24 carati, l’on. Avv. Prof. Carlo Taormina. Insonorizzato dalle cuffie per la traduzione, siede assopito in prima fila l’elettricista-premio Nobel Lech Walesa.

      Una cosa senza pretese: tra storiografia domestica e apologia di reato.

      Ero già stato in mattinata a quel convegno e – tranne qualche noiosa domanda di alcuni zelanti agenti della Digos – avevo potuto partecipare tranquillamente e prendere appunti per un articolo che avevo in mente di scrivere per una testata on line. Lo può confermare anche la mia amica Maria Vittoria Pillitteri.

      Qualche gemma rimasta sul taccuino.

      Lagorio: “La politica estera era il suo (di Craxi, ndr) interesse prioritario”.

      Badini: “Ha avuto sempre in mente la crescita morale del Paese”.

      Ruggiero: “Va ricordato come uno dei padri dell’Europa Unita”.

      Craveri 1: “Era troppo in anticipo sui tempi, tutto ricomincia con Craxi”.

      Craveri 2: “La cruna dell’ago è un libro da leggere per capire quegli anni”.

      Guiso (in corridoio): “Siamo qui per contribuire a una parola di verità”.

      Alle 13.30 tutti a pranzo. "Di pomeriggio ci sarà il saluto del presidente del Consiglio", annuncia lo speaker.

      Torno per la sessione pomeridiana, e trovo nell’atrio un ampio schieramento di forze dell’ordine. Un agente all’ingresso mi chiede il documento; glielo dò. “Perché solo a me?”, chiedo. “Li stiamo controllando a tutti”, rispondono. Non è vero. Mi chiedono di uscire in strada. Esco. Dopo dieci minuti di attesa mi dicono che devo “seguirli in commissariato per accertamenti relativi alla mia identità”. Alla mia richiesta di chiarimento, aggiungono che “un dirigente vuole parlarmi”. Intanto trattengono il mio documento. Io: “Da qui non me ne vado, perché non ho fatto nulla di male e sono un libero cittadino incensurato; fate pure i vostri controlli e poi ridatemi il documento”.

      Sono circondato da agenti, ribadiscono che devo seguirli.

      Alla storia del dirigente che vuole parlarmi se ne sovrappone un’altra, meno lusinghiera: “Bisogna verificare meglio il suo documento”. Mi appunto i nomi di alcuni di loro. Uno si qualifica come “Focaccia Piero”. Ha l’espressione irridente, di quelli che non dovrebbero mai rivestire alcuna autorità. Esisterà un “Focaccia Piero” nella polizia di Milano? Poi arriva un ordine: “Caricatelo in auto, dai!”. Oppongo resistenza passiva. In cinque – stipendiati dai contribuenti italiani – mi trascinano con la forza in un’auto. C’è anche una donna, “l’agente Bonamico”. Assistono alla scena varie persone, tra le quali alcuni giornalisti. Un fotografo scatta. Nessuno parla. Urlo: “Questo è un abuso, siete fuori legge! Mi toccherà denunciarvi!”

      Mi portano al commissariato di San Sepolcro, nella piazza in cui si affaccia il balcone milanese di Mussolini. Rimango in un ufficio, in compagnia di “Massimo Benedetti”, un poliziotto romano da trent’anni in servizio a Milano, che si dice costernato. Ci siamo già visti in varie manifestazioni e convegni degli ultimi anni. Prendo nota di ogni dettaglio. Non c’è nessun dirigente che vuole parlarmi, tanto meno il capo di quel commissariato che mi viene indicato nella figura del “dott. Vincenzo D’Agnano”. Chiedo di poter fare una telefonata. “Per ora non è possibile”, mi viene risposto. Rispondo alle chiamate di un paio di amici, uno dei quali pubblica in tempo reale una cronaca sulla testata centomovimenti.com, e mi informa dei flash di agenzia, tra le altre l’Asca, che dice che io non avrei dato il documento alla polizia e che avrei offeso alcuni agenti: l’esatto opposto della verità.

      Chiedo ancora spiegazioni. “Sono in corso accertamenti sulla sua identità”, mi si dice. Benedetti riceve qualche telefonata, verosimilmente da un superiore, al quale racconta l’accaduto. A domanda risponde: “No, non ci ha offesi”.

      “Si stanno prendendo paura”, mi confida. “E pensare che ero alle Stelline soltanto a portare un documento, hanno scelto me perché sanno che sono un tipo calmo. Ma ora dovrò scrivere una relazione”.

      Passo il tempo a guardare la collezione di stampe appese in corridoio e la vasca con minuscoli pescetti blu. Nella stanza accanto un agente scribacchia qualcosa. “Ce l’ha un avvocato?”, mi chiede. “Forse servirà ai vostri capi”, gli rispondo. Ne entra un altro. Protesto anche con lui. “Non aggravi la sua posizione. Lei ha fatto resistenza a pubblico ufficiale”, mi dice. Gli rido in faccia. Chiedo al poliziotto romano: “Ma è vero che un questore, dopo una contestazione a Fini, è stato licenziato?”. Mi risponde pronto: “Sì, è successo a Trento”.

      A un certo punto si appalesa una dirigente di polizia qualificatasi come “dottoressa Pagani”, giovane capelli neri occhialetti, che mi offre questa spiegazione: “Abbiamo sviluppato il suo nominativo, per sapere chi è lei, se è un terrorista…”. La interrompo: “Non si giustifichi, per me è tutto chiaro”. “Vengo al dunque. Lei ora può andare, ma la diffido dal ritornare di nuovo al palazzo delle Stelline”. “Perché?” “Lei ha precedenti di ordine pubblico". “Sa che cosa vuol dire questa espressione vero?”, le chiedo mentre mi appunto il suo nome. “Questa decisione è stata presa dall’autorità di polizia e non certo da me personalmente”.

      L’autorità è impersonale: alibi vecchio come il cucco.

      Mi viene restituito il documento ed esco. Sono passate le 17.30. Scoprirò che, mentre contemplavo i pesciolini blu, Sua Eccellenza Capelluta Prescritta e Liftata, al convegno delle Stelline, davanti a un folto pubblico di plauditori e diversi pregiudicati, proclamava: “La nostra è la casa di chi ama la libertà”.
      Fendendo la folla del sabato pomeriggio, vado a un internet point a scrivere un comunicato. Mi torna in mente il detto: “Libero fischio in libero Stato”, del socialista Sandro Pertini, uno che la galera se l’è fatta e non per corruzione. Ora i fischietti li usano per espellere e neutralizzare, nel silenzio degli astanti, i cittadini liberi e incensurati, che ancora vedono lo scandalo. Come nei giorni gloriosi del ventennio.

      Morale? Nell’Italia del 2005 solo il consenso è garantito. I cittadini che non rinunciano alla libertà di espressione vengono identificati, trascinati via, sequestrati e diffidati, senza alcun ragionevole motivo, in evidente violazione delle leggi, quando il capo di turno, padrone di casa dei “liberali”, si esibisce in pubblico, magari per commemorare un ex latitante.

      Sotto il governo dei prescritti il dissenso viene preventivamente impedito dalle forze dell’ordine, i cui dirigenti forse ritengono più grave il rischio di un intralcio alla propria carriera che la lesione ai diritti di libertà sanciti da quella Costituzione alla quale hanno giurato fedeltà.

      Questo desideravo far sapere. Ora cercherò un parlamentare di opposizione che intenda promuovere al riguardo un’iniziativa istituzionale. Ho deciso inoltre di presentare un esposto alla Procura della Repubblica di Milano. Cosa che decisi di non fare – e ora me ne pento – per un motivo analogo, nel giugno 2004, quando ricevetti il medesimo trattamento davanti al seggio dove era atteso per il voto il signor Berlusconi (era la volta successiva al famoso e illegale “comizio” a urne aperte). Ero lì – annunciata la mia presenza alla stampa – per “vigilare” sulle regole. Mettevo in pericolo l’ordine pubblico, dunque.

      Se anche per voi la libertà non ha una casa, inviate questo articolo ai vostri amici.

      http://www.centomovimenti.com/2005/febbraio/01_ricca.htm


      www.edoneo.org

    • Caro Piero,
      Nel 2001, dopo i fatti di Genova, cominciai a pensare di andarmene. Ebbi una chiara intuizione, in quei giorni: il fascismo in Italia non emai finito. Forse avrei dovuto rimanere e lottare come fate voi. Ma poi, mia figlia e nata e ho cominciato a pensare a lei, al suo futuro in un paese non libero. Io non mi sono mai sentito libero in Italia, senza democrazia, dove si deve essere perennemente "identificati". Mi viene in mente un film di Luigi Magni, ambientato nella Roma papalina. Due gendarmi scendono una scalinata e cantano "cacatevi addosso, tremate lo stesso" (pure se non avete fatto niente, ndr).
      Cosi un bel giorno ce ne siamo andati in un paese democratico.
      Guido

    • Caro Guido, dici che sei andato via dall’Italia per l’incapacitò di sopportare quanto sta avvenendo, immagino e spero che i motivi siano anche altri, ma ti capisco e la situazione in Italia va sempre peggio, la cosa piu’ grave e’ che ormai i partiti ci sono dentro tutti; la nostra disperazione, dopo il governo D’Alema, è aggravata dal vedere che nessuno dei partiti parlamentari è indenne da colpe e tutti hanno collaborato per la loro parte a facilitare l’avvento di un regime e, a tutt’oggi, le mire personalistiche di un Mastella o di un Rutelli o di un D’Alema rendono difficile perfino la speranza di una reazione collaborativa comune. Il compito di Prodi è ai limiti dell’impossibile con questa marmaglia spensierata e egocentrica. swe si pensa che deve trattare gentilmente e diplomaticamente con quelle stesse forze che lo hanno segato nel primo governo e sono prontissime a rifarlo, veramente c’e’ da levarsi di cappello. Nel primo dopoguerra tutte le forze democratiche misero da parte le piccole rivalse personali e i piccoli particolarismi per realizzare la ricostruzione democratica del paese. Oggi di fronte a un pericolo che diventa ogni giorno più vizioso e senza remore, questo miracoloso equilibrio d’intenti e’ completamente mancato e questa è una gravissima colpa storica, lo dico ai Rutelli che pure sono stati rieletti a maggioranza ma che si rilevao meschini di fronte al loro compito. La colpa ovviamente non e’ solo dei D’Alema o dei Rutelli o dei Fassino di turno, ciechi e presupponenti, paghi della loro fettina di non potere e desidero di non cederla a nesusn altro, ma dei loro elettori, chiusi in piccole enclave di ignoranza, incapaci di superare le specifiche appartenenze e di realizzare quanto sia grave il pericolo che minaccia ormai gravemente le sorti della democrazia. E’ su queste piccole brave e ignoranti persone l’immane responsabilità storica di una dittatura ormai prossima ventura. E’ la pochezza incosciente non solo dei politici ma dei loro elettori a precipitare le sorti di questo paese, dove nessun partito e’ immune da colpe e dove quasi tutti sono incorsi nel peccato gravissimo della collusione e della piccola manfrina, la corruzione di piccolo cabotaggio. A partire dalla famigerata bicamerale e’ stato tutto un susseguirsi di piccoli patti scorretti a danno dei cittadini, di piccoli e grandi ricatti. Sono queste le armi su cui si esercita il potere parlamentare ed è sui soldoni che si contano le schiere degli Adornati, dei Grillo, dei Ferrara, dei Bondi, tuttio provenienti dalla sinistra o da quella che al tempo era l’opposizione. Tutto è mercato, tutti prima o poi sono in vendita e c’è chi approfitta biecamente di questo. La democrazia sta preciptando nel mercato dei voti e nella spartizione del potere che rende la Lega ebbra come un astemio che si ubriaca per la prima volta e supera tutti gli altri bevitori abituali e compra tutti gli pseudo valori degli pseudo cattolici. Come diceva Leone: "Comandare è meglio che fottere". E questa democrazia si è trasformata in una grande fornicazione collettiva del denaro e del potere. Si salvano poche nobili figure, insufficienti a condurre masse forti di elettorato. Non ci sarà mai democrazia in Italia se prima non ci saranno Italiani in grado di capire i valori della democrazia. E questo berlusconismo, questa Lega, questi partiti del centro mezzi di qua e mezzi di la’, ma anche questi partiti della sinistra non vogliono (quasi tutti) né educare alla democrazia né esercitarla essi stessi. Ti auguro di vivere bene ovunque sei. Ma piange il cuore che per essere italiani si debba vivere fuori Italia
      viviana