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I cocci dell’Iraq

Publie le venerdì 28 maggio 2004 par Open-Publishing

ROSSANA ROSSANDA

Che Bush cerchi di uscire dal sanguinoso pantano in Iraq salvando faccia e petrolio, è evidente.
Che punti a una copertura anche retroattiva dell’Onu è altrettanto chiaro, ma che la bozza
presentata all’Onu da Usa e Gran Bretagna possa essere rimandata ai mittenti senza discuterne, mi pare
difficile.

E non solo perché essa ha un suono un po’ diverso dal discorso del presidente americano
che l’ha accompagnata, ma perché essa segnala anche difficoltà reali della situazione in cui è stato
cacciato quel disgraziato paese. Si può dire a Bush: chi rompe paga e i cocci sono suoi? Non tutti
i cocci sono permutabili in denaro e irreparabili, ma soprattutto i cocci dell’Iraq se li terrebbe
volentieri e sarebbe ancora in grado di farlo sia pure rischiando un alto prezzo, e possono
diventare ancora più gravi.

Bisogna rifletterci. La mozione a nostro avviso va discussa a fondo. In
primo luogo perché non c’è, né materialmente né politicamente una forza dell’Onu in grado di intimare
agli Stati uniti e alla Gran Bretagna di ritirarsi subito, sostituendola con una forza propria di
interposizione, della quale non facciano parte gli eserciti occupanti. Sarebbe in assoluto il
meglio, ma non ce ne sono le condizioni. Il consiglio di sicurezza è in grado invece di trattare con
posizioni e comando delle forze in Iraq, controbattendo la volontà americana di non farsi dirigere
e limitare da nessuno.

In secondo luogo una fase di transizione appare necessaria, perché fra Saddam, la guerra con
l’Iran per conto degli Usa, l’embargo e infine l’aggressione del 2003, quel paese, già diviso fra etnie
e confessioni religiose è stato capace di resistenza ma non ha una piattaforma coesa per il
domani. Diciamo deliberatamente resistenza: piaccia o non piaccia questo è stata la reazione inattesa al
più potente esercito del mondo anche se vi hanno agito molteplici spinte fra le quali un
terrorismo del quale non sappiamo quasi nulla, salvo che si tratta di un metodo tremendo usato non da un
solo soggetto, ma da più d’uno e con fini e motivazioni.

Si tratta dunque di dar vita a un governo interinario, che non sia la copia del governo fantoccio
già tentato; non è facile per Lakhdar Brahimi indicare chi può essere accettato da una grande
maggioranza del paese come almeno transitoriamente credibile. E non lo sarà se non avrà il potere di
opporsi alle azioni militari non di interposizione e di fissare una data per il ritiro degli
occupanti.

In terzo luogo si tratta di restituire agli iracheni il petrolio che dalle mani di Saddam è
passato in quelle americane, bottino che da un pezzo è negli interessi privati di Dick Cheney. Non
dubitiamo che sarà uno dei punti più difficili da ottenere. Ma deve essere condizione sine qua non per
una qualsiasi cauzione delle Nazioni unite. Tutto questo è meno di un ritiro americano
incondizionato come fu quello dal Vietnam. Ma allora le condizioni di forza su scala mondiale erano diverse,
il Vietnam non era l’Iraq e aveva alle spalle l’Urss e la Cina. E non di meno quella pace è stata
vinta meno della guerra.

Oggi gli Stati uniti sono la sola superpotenza nel mondo, in difficoltà
all’interno per le perdite subite e internazionalmente per avere sperimentato come l’unilateralismo
sia più facile da dichiarare che da praticare. Non siamo più nel 2001/2002. Quando - ha ragione
Asor Rosa sull’Unità di martedì - non occorreva essere grandi profeti per capire quel che si stava
preparando. La responsabilità dell’occidente, Europa inclusa, è di aver finto di ignorare la
dottrina della New strategy che dichiarava gli Stati uniti svincolati da ogni legge e diritto
internazionale e di averli accompagnati con fanfare nell’impresa afghana, non meno ingloriosa e anch’essa
irrisolta. E perciò non riuscendo a impedire quella irachena.

La complicità e le omissioni dell’Occidente sono state grandi. E non soltanto da ieri. Sarà anche
un loro frutto se le elezioni del 2005 porteranno a una repubblica islamica, prodotto di due tesi
delittuosamente stupide, quella di Huntington sull’inevitabile scontro di civiltà e quella sulle
«esportazioni» della democrazia con le armi. Davanti al Medio oriente non possiamo che coprirci il
volto con vergogna anche per quel che lo abbiamo indotto a diventare. La sinistra, dal blando
Kerry ai nostri riformisti, non ha certo peccato di troppo coraggio. Cerchi di non perdere anche
questa, se non entusiasmante, seria occasione.