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IL MOVIMENTO E LA POLITICA. LA POLITICA DEL MOVIMENTO.

Publie le giovedì 16 ottobre 2003 par Open-Publishing

Care/i, la delicata fase che sotto diversi aspetti attraversa il movimento
necessita dell’apertura di una grande, ampia e articolata discussione
politica
fra tutti i soggetti e gli individui che lo compongono. Vi invio un
contributo
che come ATTAC ITALIA abbiamo predisposto per la riflessione in corso.
Un abbraccio.
Marco Bersani

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IL MOVIMENTO E LA POLITICA.

LA POLITICA DEL MOVIMENTO.

I tempi ’facili’ in cui l’assenza della politica istituzionale sui temi
vitali sollevati dal movimento contro la globalizzazione neoliberista
lasciava
spazio all’iniziativa politica di base paiono finiti.

Sia lo scossone dato dal movimento a livello mondiale, sia i prossimi tre
anni ’elettorali’, hanno rimesso in campo il protagonismo della sfera
politica
tradizionale, istituzionale e partitica. Vari tentativi di trasformarla
radicalmente dal suo interno sono falliti e sembra si sia tornati al dilemma
per cui i movimenti o si ’autonomizzano’ nel sociale o si ’tranquillizzano’
in gruppi di pressione.

Questa è la trappola in cui rischiamo di cadere.

La prospettiva, apparentemente antitetica ma in realtà speculare, tra chi
pensa esclusivamente alla propria identità ’ribelle’, e confonde la
radicalità
del conflitto con la mimesi dell’avversario, e chi usa l’alibi degli
incappucciati
e delle vetrine rotte per tornare ad affidarsi agli incravattati di sempre
e alla loro ipotesi di una nuova ’terza via’ di governance del neoliberismo,
rischia di strangolare la vera autonomia del movimento, conquistata sul
campo del conflitto e dei contenuti alternativi.

Noi non ci stiamo.

Ci si sottovaluta da soli. Il movimento dei movimenti ha dimostrato in
questi
anni, in maniera inequivocabile, a livello mondiale, come a livello locale,
che è possibile coniugare la conquista del consenso sociale di larghissime
fasce della popolazione con la proposta concreta di una alternativa
complessiva
di società, con l’obiettivo politico praticabile della fuoriuscita dal
neoliberismo.

Lo ha dimostrato mobilitando milioni di persone proprio sull’alternativa,
senza affidarsi ad un quadro ideologico predeterminato, ma componendo le
molte diversità e il lavoro di migliaia di gruppi contro un nemico comune
e delineando i contenuti concreti di un altro mondo possibile. Torneremmo
a prima di Seattle se ci arrendessimo alla testimonianza, pur ’rumorosa’,
contro l’Impero, o al destino del lavoro solitario della Ong che questua
risorse da qualche organismo internazionale, chiudendo la politica
nell’etica,
l’etica nella morale, la morale nel proprio intervento.

Come movimento abbiamo già cambiato il mondo: Cancun ha dimostrato che
l’azione
di movimento e la sua autonomia politica possono mettere in crisi
irreversibile
la cosiddetta ’grande politica’ e aprire strade nuove oltre il ’realismo’
illusorio di chi - come le esperienze precedenti dei governi di
centrosinistra
 
ha cercato di governare la globalizzazione facendosi invece governare dal
pensiero unico del neoliberismo.

Bisogna quindi difendere con tutte le forze l’autonomia politica del
movimento.

Ma autonomia non significa estraneità dalla politica, ancor meno quando
questa, nella forma più tradizionale, torna all’attacco. Significa porre
i contenuti alla testa della politica e pretendere che a partire da questi,
con il coraggio della ragione, la stessa politica si trasformi da arte
dell’amministrazione
dell’esistente ad immaginazione concreta e collettiva di una alternativa
possibile.

Qui ed ora. Non si tratta di dividersi tra ’rivoluzionari’ e ’riformisti’,
ma di condividere un passo, per altro già scritto nella nostra storia quasi
decennale. Il passo del buon senso della radicalità.

Le nostre proposte pretendono un cambiamento radicale, ma solo questo
cambiamento
ha la ragionevolezza di chi vuole continuare a vivere, tutti insieme e in
pace, senza accettare, per illusoria necessità, il cinismo dei ’realisti’:
un cinismo che considera di fatto la metà dell’umanità come un rifiuto e
dà il compito all’apparato industriale-militare degli Stati Uniti di
compierne
lo smaltimento.

Cosa significa questo nella nostra situazione attuale in Italia’

Berlusconi è una anomalia e rappresenta senz’altro un’emergenza democratica.
Ma questo perché -governi precedenti in primis- non si è stati capaci di
togliergli il terreno sotto i piedi. Anzi si è preparato il terreno per
l’affermarsi di questa anomalia ed emergenza. Non si possono tessere le
lodi della competizione, della liberalizzazione, della privatizzazione,
dell’aziendalismo, denigrare il pubblico, promuovere presidenzialismi e
sistemi maggioritari, prostrarsi di fronte alla potenza Usa, e poi, vista
la nostra storia particolare, stupirsi che tutto questo venga raccolto da
un Boss brianzolo, senz’altro meno elegante (e più pericoloso, forse) di
un anglosassone pseudolaburista.

Rimuovere questa anomalia e far fronte all’emergenza democratica è
senz’altro
un dovere di tutti, ma pensare di farlo ripetendo ciò che ha generato
l’anomalia
e l’emergenza è come suicidarsi due volte.

Il movimento italiano può avere un ruolo importante in questa battaglia.
Ma lo avrà solo se prende l’iniziativa politica. Con i contenuti che ha
maturato nel suo lavoro di massa e che ha espresso nel Forum Sociale Europeo
di Firenze sostenuto dalle mobilitazioni contro la guerra e il neoliberismo
di centinaia di migliaia di persone. Possiamo proporre questo lavoro in
un programma fondamentale di cinque punti dirimenti, con lo sguardo
all’Europa
che è il nostro terreno politico dell’alternativa più ravvicinato:

1) Pace, che significa contrapposizione alla politica della guerra
infinita del governo Usa e affermazione del ripudio della guerra in ogni
scenario di conflitto; ritiro delle truppe di occupazione da tutti i teatri
di conflitto armato, ruolo diplomatico e politico non militare di una Europa
democratica in solidarietà con la volontà di autodeterminazione dei popoli,
alleanze mondiali improntate al multilateralismo e alla democrazia,
costruzione
di un nuovo diritto internazionale dei popoli e di nuovi organismi
internazionali
veramente rappresentativi. Drastica riduzione delle spese militari a livello
italiano, europeo ed internazionale.

2) Lavoro, che significa lotta alla precarizzazione e alla flessibilità,
diritti estesi a tutti i lavoratori non considerati come risorse umane,
una politica del reddito che sotto varie forme assicuri dignità, piena
occupazione
e alti livelli di istruzione e formazione per tutti non finalizzati alle
esigenze del mercato, riduzione dell’orario. Abolizione della Legge 30.

3) Migranti, che significa diritto di circolazione e di cittadinanza
europea per tutti quelli che vi risiedono, chiusura dei Cpt, veri lager
di Stato, diritti sociali e politici per tutti, piena integrazione
conviviale,
abolizione della legge razzista Bossi-Fini.

4) Economia pubblica partecipata e lotta alle privatizzazioni, che
significa abbandono delle politiche neoliberiste di liberalizzazione,
abbandono
dei vincoli del Trattato di Maastricht e del Patto di Stabilità,
ripresa qualificata della spesa sociale a partire dalla non mercificazione
dei beni comuni, dal diritto all’acqua, all’istruzione, alla salute, alla
previdenza e in generale a servizi pubblici a livello europeo, tassazioni
globali e locali per limitare il potere del capitale, in particolare di
quello finanziario, a partire dall’istituzione della Tobin Tax (in proposito
della quale è in discussione in Parlamento una proposta di legge di
iniziativa
popolare che ha raccolto oltre 200.000 firme). Una politica ambientale degna
di questo nome, con al centro non la sostenibilità della
distruzione/sviluppo,
ma una critica della crescita puramente economica e un nuovo obiettivo di
qualità della vita per tutti. Una fiscalità generale diretta ed indiretta
che restituisca al sistema tributario il criterio costituzionale della
progressività.

5) Democrazia, che significa processo costituente europeo democratico
a partire dai popoli e quindi rifiuto dell’attuale processo neoliberista
di una Europa dei potenti e dei governi, rifiuto dei sistemi autoritari
maggioritari e presidenzialisti, pluralismo vero nell’informazione e una
giustizia indipendente ed uguale per tutti, democratizzazione e
smilitarizzazione
degli apparati repressivi dello Stato, democrazia partecipativa locale
vincolante
che favorisca la partecipazione dei cittadini.

Proponiamo che a partire da questi punti il movimento italiano, nella forma
rappresentativa che saprà darsi, di un forum sociale comune o di un
coordinamento
di reti e gruppi, a partire dal social forum locali, inizi una discussione
in grado di costruire una iniziativa politica autonoma e pubblica di
interlocuzione
rivolta a tutte quelle forze politiche e sociali che si pongono il problema
di una azione comune per battere Berlusconi e il suo governo, per una Europa
sociale dei popoli, per porre le basi ad una alternativa di società, per
dare al nostro paese un futuro realmente diverso e migliore.

’L’acqua ch’io prendo già mai non si corse’

(Dante, Paradiso, 2° canto).

Attac-Italia