Home > IL MOVIMENTO FUORI DAL QUADRO
I movimenti, si sa, non sono né partiti, né sindacati o associazioni. Nel momento in cui lo diventassero, o ne subissero pesantemente i condizionamenti, non avrebbero più ragion d’essere. È un’affermazione banale, quasi ovvia. Ma come spesso accade l’ovvio si presenta come l’aspetto più complicato da comprendere e analizzare. È utile partire da qui per cercare di capire in che cosa consiste la crisi, o la difficoltà, che attraversa il movimento antiliberista e contro la guerra in Italia. Una fase si è chiusa. Lo ’spirito’ di Genova si sta disperdendo. E’ venuta meno quella sintonia che si concretizzava in uno spazio pubblico comune, in cui si dava la possibilità di riconoscimento alla partecipazione politica spontanea, all’opposizione sociale contro la guerra, agli attivisti no-global, a lavoratori investiti dalle trasformazioni del lavoro contemporaneo, a giovani e meno giovani segnati dalla precarietà della loro collocazione. Quello ’spazio pubblico’ aveva fortemente alluso alla possibilità di nuovo inizio, su altri piani e con altri tempi, della partecipazione politica di nuovi strati della società.
Quindi il movimento è in crisi? Sì, se si guarda all’ipnosi che l’ha colpito a causa del condizionamento tutto istituzionale della Politica, il cui quadro di compatibilità è perseguito anche al suo interno da alcune reti e organizzazioni. Senza usare il termine di unità nazionale - i contesti sono profondamente diversi - non si può tuttavia sottacere che il clima è cambiato. Facendo leva da una parte sulla ricerca dell’unità, a prescindere dalle forme e dai contenuti, per battere Berlusconi - aspirazione legittima e condivisibile ma non sufficiente - e dall’altra sulla ’necessaria’ separazione dell’obiettivo centrale per fermare la guerra permanente, cioè il ritiro delle truppe, dalla sua declinazione concreta anche in situazioni molto drammatiche, si è nei fatti favorita una situazione di stallo. Sottolineiamo favorita e non provocata.
In realtà nell’ultimo anno e mezzo i problemi si erano già manifestati nell’estrema difficoltà a connettere i grandi temi delle mobilitazioni nazionali contro la guerra e il neoliberismo con l’individuazione di campagne e di iniziative contro le basi militari, la produzione e il commercio di armi, la precarietà del lavoro, i Centri di Permanenza Temporanei, le privatizzazioni dei servizi pubblici ecc. Molti degli interlocutori che si ritrovavano nelle piazze di Roma, si sono sottratti - e in non pochi casi si sono contrapposti - quando si è tentato di essere conseguenti nelle città e nei territori. Insomma un movimento che non riesce ad articolare concretamente le grandi battaglie e al tempo stesso fa un’enorme fatica a generalizzare la conflittualità che si sviluppa nei luoghi della produzione sociale. L’azione, più o meno inconscia, di separare gli ambiti dicendo: il movimento per la pace è costituito essenzialmente da un’opinione pubblica a cui si parla attraverso le classiche sedi politiche e istituzionali e il movimento no-global è una sorta di avanguardia iperpoliticizzata, ha fatto il resto.
Sarebbe però altrettanto fuorviante interpretare la crisi del movimento esclusivamente come riflesso dell’aggiustamento istituzionale di alcune sue componenti. Si deve anche registrare che il movimento nel suo complesso non sempre è riuscito a dare una risposta politica ai soggetti che pure l’hanno attraversato, intravedendovi la possibilità di modalità di espressione politica innovative. Non si può nascondere che già la breve stagione del cofferatismo ha trovato il movimento spiazzato di fronte alla momentanea promessa di tornare a rappresentare le ragioni del lavoro. E ancora oggi è grande la difficoltà di affrontare le contraddizioni su questo terreno e il movimento si dibatte tra la descrizione della predominanza oggettiva delle condizioni di precarietà lavorativa ed esistenziale e la difficoltà di individuare forme e percorsi politici all’altezza di questa composizione del lavoro.
Tutto ciò ha avuto dei riflessi sulle modalità di rappresentanza delle varie istanze di movimento. Il gruppo di continuità del Forum Sociale Europeo, erede storico del Genoa Social Forum e portatore dell’orizzonte altermondialista in collegamento con il movimento internazionale, sembra non essere più in grado di ritrovare un proprio specifico spazio politico e, per ciò che riguarda la guerra, delega l’iniziativa al Comitato Fermiamo la Guerra in quanto luogo di incontro e mediazione delle grandi reti e organizzazioni nazionali. In sostanza manca lo spazio della costruzione politica del conflitto. La possibilità per i social forum locali, i coordinamenti tematici, i comitati contro la guerra e per le ancora tantissime forme di aggregazione presenti sui territori, di influire sulle scelte e di essere parte in modo effettivo nella costruzione delle politiche, stante l’attuale connotazione e stile di lavoro del Gruppo di Continuità, è molto limitata. L’autonomia del movimento dal quadro politico e dalle sedi istituzionali si regge anche sul riconoscimento della legittimità democratica dei propri luoghi decisionali e sulla capacità di essere un vero laboratorio del conflitto che intercetta la radicalità dei nuovi e vecchi bisogni.
Tuttavia non è del tutto vero che il movimento è in fase di stallo. Continuano ad esserci luoghi di formazione di una soggettività critica, che eccedono il movimento stesso (ad esempio le lotte nell’ultimo anno al sud ma non solo). Il filo che lega la necessità di resistere allo stato di cose esistenti, l’elaborazione delle alternative e l’utopia di un altro mondo, costituisce ancora la trama delle iniziative e della conflittualità che si dispiegano in varie forme. Gli elementi costitutivi che hanno generato le giornate di Genova sono ancora vivi e fondati su contraddizioni non riassorbibili. L’odierna composizione sociale, le motivazioni all’agire e la ricerca di inedite forme di relazione e di organizzazione sono in gran parte non compatibili con le attuali strutture e gerarchie dei partiti del centrosinistra, della sinistra e delle organizzazioni sindacali. In sintesi, è una parte della società che è andata fuori quadro rispetto alla politica così come la conosciamo e viene praticata. Ed è per questo che bisogna aver particolare cura verso i luoghi e le forme dell’agire e del decidere. Troviamo luoghi comuni e condivisi per continuarla e finalizzarla ad un cambio di passo del movimento: ad esempio si potrebbe avviare la costruzione di coordinamenti di lotta sul territorio. Perché la ricchezza dei movimenti consiste nel diffondere quelle contraddizioni sociali che mettono in crisi i margini della mediazione politica ponendo all’ordine del giorno la trasformazione del presente.
Nella Ginatempo del Tavolo Bastaguerra
Felice Mometti del Brescia Social Forum
Valerio Monteventi del Bologna Social Forum
Maurizio Ricciardi del Tavolo Migranti
dal Manifesto 30 sett.2004