Home > L’Argentina nazionalizza il petrolio
Ha giocato al gatto e alla volpe per settimane Cristina Kirchner, ma alla fine ha dato l’annuncio che tutti, da una parte e dall’altra dell’Oceano Atlantico si aspettavano; la compagnia petrolifera Ypf, di proprietà degli spagnoli della Repsol, passa sotto il controllo dello Stato argentino.
Il progetto di legge parla di «recupero della sovranità nazionale degli idrocarburi», in pratica si tratta di una manovra di esproprio e nazionalizzazione molto simile a quella già praticata in Venezuela da Hugo Chavez. Una mossa che colpisce al cuore una delle compagnie più potenti in Spagna, creando panico negli ambienti finanziari e politici iberici già impegnati ad affrontare la difficile crisi economica. La Ypf, sigla per yacimentos petroliferos forense, venne venduta a Repsol negli anni Novanta, l’epoca delle privatizzazioni selvagge volute da Carlos Menem. Per vent’anni Repsol ha potuto estrarre il greggio in centinaia di pozzi dalla Patagonia alla regione andina, fissando a suo piacimento il prezzo del carburante e senza rendere conto allo Stato argentino. Un affare d’oro; gli attivi della filiale argentina hanno fatto crescere la società a livello globale. Ieri le azioni di Repsol alla borsa di New York sono crollate, mentre pochi minuti dopo l’annuncio della Kirchner un gruppo di ufficiali giudiziari occupavano la sede della società nel centro di Buenos Aires per mettere in pratica un decreto presidenziale, promulgato assieme all’annuncio, per assicurarsi immediatamente il controllo dei libri contabili e delle operazioni.
Secondo il progetto di legge, che verrà rapidamente approvato dal parlamento, dove il governo può contare su un’amplia maggioranza, il 51% delle azioni di Ypf saranno controllare e amministrate dallo Stato, mentre il restante 49% saranno gestite daunfondocompostodaazionisti privati di minoranza e i rappresentanti delle nove provincie petrolifere.
«Deve essere chiaro a tutti ha spiegato Cristina Kirchner - che non stiamo nazionalizzando ma recuperando lo strumento fondamentale per sostenere il nostro sviluppo». Nel suo discorso alla Casa Rosada, sullo sfondo una gigantografia di Evita Peron, la Kirchner ha spiegato le ragioni della decisione, accusando la gestione spagnola di aver svuotato i pozzi più importanti, di non aver investito nella ricerca di nuovi giacimenti e nella modernizzazione degli impianti, al punto da costringere il paese a importare gas e petrolio per la prima volta nella sua storia. «Rischiamo di trovarci paralizzati per colpa della mancanza di risorse - ha detto Kirchner -. Nel 2011, anno in cui abbiamo dovuto importare combustibile, Ypf ha registrato il maggior guadagno della sua storia, oltre dodici miliardi di dollari».
È il trionfo della linea nazionalista, che punta a un maggior controllo dello Stato nei settori strategici. La stessa che ha portato al recupero della compagnia di bandiera Areolineas Argentinas dal gruppo spagnolo Marsans e che sostiene la politica ferrea di controllo delle importazioni e del mercato dei cambi, che ha causato l’abbandono di decine di imprese straniere. Una linea nacionalpopular, simile al peronismo del secondo dopoguerra e che porta Buenos Aires a scontrarsi con partner commerciali di lunga data, non solo la Spagna ma anche i vicini Brasile e Uruguay.
Durissime le reazioni in Spagna, dove la si accusa di populismo e metodi semi-dittatoriali. «Non rispondo a minacce e accuse di basso livello - ha risposto Kirchner - non scendo al loro livello». La Kirchner ha spiegato che si è ispirata alla brasiliana Petrobras, controllata al 51% dallo Stato e oggi una delle maggiori compagnie petrolifere mondiali. «Dobbiamo essere autosufficienti dal punto di vista energetico». Linea condivisa anche dai social media, dove una delle vignette più condivise è stata quella di Pagina 12 , quotidiano vicino all’esecutivo: «La stampa spagnola ci accusa di volergli rubare il nostro petrolio!».