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L’alternativa non è una sola

Publie le sabato 22 novembre 2003 par Open-Publishing

Da Il Manifesto di domenica 16/11/03

Il ruolo del Wto dopo Cancun e la lotta al neoliberismo secondo il
vicepresidente di Attac Francia

Abbiamo incontrato Susan George durante il suo ultimo viaggio in Italia alla fine di un incontro all’università Tor Vergata di Roma organizzato dagli studenti di economia e da Attac Italia per parlare di Wto, ma non solo.

* Pensa ci siano stati dei vincitori a Cancun?*

Gli Stati uniti sono sicuramente i vincitori. Avevano una posta in ballo decisamente inferiore agli europei e hanno detto chiaramente che continueranno a muoversi sulla base di accordi regionali e bilaterali dove sono ovviamente più forti che nei negoziati multilaterali. Resta da vedere se il cosiddetto G21 è un successo oppure no. Subito dopo Cancun ho scritto che questo gruppo ti fa pensare e sognare ad una sorta di resurrezione dei non-allineati, ad un nuovo ordine economico internazionale. Con il loro potere combinato potrebbero mettere in ginocchio organizzazioni come il Fmi in 20 minuti. Ma adesso, naturalmente, la pressione Usa si sta già facendo sentire: Costa Rica e Perù si sono ritirati, il Cile ci sta pensando. Vedremo. Resta comunque il dato politico di una vittoria sul campo del G21 insieme ai Pvs che per la prima volta hanno detto no. Sono degli sviluppi politici enormi e, comunque, se dobbiamo dire chi ha vinto sul piano commerciale dovremmo dire che hanno perso tutti. Ma il commercio è una categoria troppo ristretta per decidere se sia stato un fallimento.

*Nel G21 ci sono paesi che vanno dalla Cina al Botswana, come faranno a restare insieme?*

Il mediatore della Ue, Pascal Lamy, ha sperato sino all’ultimo in una spaccatura del fronte. La cosa importante che gli europei dovrebbero riconoscere è che le richieste del G21 partono dall’abbattimento dei sussidi alle esportazioni, i quali devono essere aboliti. Ma chiedono anche la rimozione di qualsiasi aiuto all’agricoltura, inclusi quelli che non incidono sul commercio. Questa è una richiesta pericolosa che minerebbe l’esistenza dei piccoli coltivatori europei. A mio avviso questa richiesta andrebbe rimpiazzata con il concetto di sovranità alimentare, applicabile a qualsiasi paese con una base agricola. Paesi come Brasile o Argentina esportano con le stesse multinazionali che tutti conosciamo. Questo non ha niente a che vedere con la sopravvivenza dei piccoli agricoltori brasiliani.

*La politica unilateralista Usa degli accordi regionali e bilaterali non rischia di portare il movimento a dover difendere il Wto quando, sino a ieri, ne chiedeva la chiusura?*

No, ma quello che dobbiamo dire è che vogliamo delle regole. Non vogliamo la legge della giungla e un sistema multilaterale è un quadro di riferimento migliore per ottenere delle regole che vadano bene per tutti. Vogliamo, almeno io, un Wto che sia soggetto alle leggi internazionali sui diritti umani, sull’ambiente, alle convenzioni dell’Ilo sul lavoro, e non soltanto alla propria giurisprudenza. Non vogliamo che dentro ci siano i servizi pubblici, i brevetti sulla vita e tutta un’altra serie di cose che non dovrebbero diventare parte del mercato. Il vero dibattito non è, quindi, sull’organizzazione o sulle regole, ma su cosa sta dentro il mercato e cosa no. I governi e i parlamenti non si sono mai confrontati su queste tematiche ed è tempo che lo facciano.

*Il sistema economico non è solo commercio, ma un insieme di organizzazioni diverse che controllano l’economia neoliberista*

Certo, il sistema neoliberista si basa su quelle che chiamo la trinità delle libertà: di circolazione dei capitali, di investimento e di
commercio. Ognuna di queste ha un ente preposto al mantenimento delle regole necessarie a garantire l’espansione di queste libertà a favore dei ricchi, dei mercati finanziari e delle multinazionali. Dal Fondo monetario alla Banca Mondiale al Wto, tutte e tre lavorano sulla base dello stesso paradigma, (anche se odio questa parola è utile), e sono tutte e tre legate al Tesoro Usa e a quello che viene chiamato il «Washington consensus».

*E come è possibile rompere questo paradigma, quali sono le alternative?*

Ci sono molte alternative e non una soltanto. Bisogna lavorare sulla democratizzazione del sistema internazionale e insieme ai tanti che combattono contro l’accordo sui servizi o per far fallire Cancun, insieme a chi chiede da 50 anni la chiusura della Bm e del Fondo. Sono tutti pezzi della soluzione. Facendo un passo indietro dobbiamo accorgerci che questo sistema internazionale non è mai stato chiesto nè dibattuto da nessuno, ma è stato imposto in modo totalmente antidemocratico. Ci troviamo poi nella difficoltà di contrastare delle istituzioni senza disporre di mezzi allo stesso livello. Si possono organizzare i contro-vertici, ma dopo tre giorni è tutto come prima. Si può agire a livello Ue, ma anche in quel caso l’impatto è minimo. Siamo bloccati a livello statale ed è per questo che con Attac in Francia ci stiamo muovendo con gli enti locali per la firma di una moratoria sull’accordo dei Gats e contro il Wto. Se non possiamo raggiungere il livello internazionale, possiamo almeno fare qualcosa a livello governativo.

*Ma tutti questi pezzi hanno in comune l’accettazione dell’esistenza di un sistema capitalista come quello odierno, pensano a riformarlo...*

Non è quello che penso di aver detto. Quello che sto dicendo è che non credo, se mai ci ho creduto, che ci possa essere l’evento che rimpiazzerà il capitalismo domani mattina. Non sono contro i sogni, ma questo penso lo sia. Non c’è nessun palazzo d’inverno. Anche se butti giù le torri gemelle, Wall street dopo tre giorni avrà ricominciato a marciare. Non credo in una forza agente nel senso marxista e non credo nel proletariato internazionale. Mi dispiace, forse dovrei, ma non vedo niente che gli assomigli. Allora qual è l’agente? É necessario agire con gradualità e dopo molte lotte e, spero, molte vittorie saremo sulla strada giusta per rimpiazzare il capitalismo con qualcos’altro. Qualcosa che non riesco oggi ancora a definire, ma che sarà delineato dalle persone coinvolte e non sarà necessariamente uguale in ogni dove. Le vecchie regole e classificazioni ormai non funzionano più. Dobbiamo, invece, essere più audaci e coraggiosi nella ricerca di soluzioni che potranno anche essere teoricamente meno belle, ma che saranno frutto di lotte e di scelte pragmatiche ed empiriche più di quanto non sia stato fatto in passato. Mettiamo anche che domani crollino gli Stati uniti e che ci sia un’enorme svalutazione del dollaro e che non siano in grado di ripagare i propri debiti etc. Penso che ne seguirebbe immediatamente un regime fascista e non mi interessa. Forse sto diventando vecchia, forse c’è ancora chi crede nella «grand soir», come la chiamano in Francia, ma io non più.

*Cosa dovrebbe fare invece l’Europa?*

L’Europa, malgrado l’imperversare del neoliberismo, dei berlusconi, degli aznar e dei blair, ha ancora qualcosa che ci distingue dagli Usa. L’Ue, è un azzardo, dovrebbe coscientemente e insistentemente proporre il proprio modello in opposizione a quello americano. Se dovessimo fallire ci attende un futuro quasi-fascista, che sia un fascismo cinese o americano non fa alcuna differenza. Io comunque sarò morta e siete voi a dovervi preoccupare.