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Ha ragione Marco Pannella: concedere grazia è una delle prerogative del presidente della
repubblica fra quelle elencate nell’art. 87 della Costituzione, che sono di assai diversa natura e
importanza. La controfirma di un ministro, indicata dall’art. 89, è ovviamente d’obbligo per gli atti del
governo che al presidente tocca promulgare. Ma per gli atti suoi? Forse che un ministro
controfirma le sue esternazioni? Stupisce che alle camere si straparli del testo costituzionale, che è
chiaro e semplice, da mezzo secolo chiaramente commentato, e che ogni deputato o senatore dovrebbe
sapere a memoria. Anzi recitarlo davanti al notaio al momento di candidarsi. I dubitosi obiettano: ma
è stata finora prassi che la domanda di grazia fosse presentata dal ministro guardasigilli (come
avviene, ci dicono i commenti, in gran copia «anche per ovviare alle disfunzioni
dell’amministrazione», Stato della costituzione, a cura di G. Neppi Modona, Milano, 2001). E va bene: la legge Boato
ne può essere il mezzo.
Non ha senso osservare che sarebbe fatta su misura per Sofri, se libererà
qualcuno sarà prima di tutto il capo dello stato, dai sofismi oggi sollevati. In nessun caso per
modificare una prassi occorre una riforma costituzionale come vanno strillando quelli della Lega.
Per parte nostra, e col dovuto rispetto, confessiamo di non comprendere perché Carlo Azeglio Ciampi
non metta questa benedetta firma e lasci che sia Castelli a vedersela con se stesso se firmare o
no, o far firmare a Berlusconi scomparendo dall’orizzonte per breve tempo. Se non lo dovesse fare
la repubblica prenderà atto con dispiacere del suo disappunto. Ma non sarà un caso istituzionale.
C’è da chiedersi perché se ne fa tanto chiasso. Neanche il peggior nemico di Sofri pensa che la sua
rimessa in libertà possa costituire un pericolo sociale. E che da una decina d’anni a questa parte
– maggioranza di centro sinistra inclusa - non c’è proposta neanche se avanzata dal Pontefice, di
alleviamento delle pene o di clemenza che non sia sulle prime elogiata e poi fermata da cento
ostacoli. Si direbbe che gli eletti del popolo temano che la propria base elettorale sia più forcaiola
di loro e non glielo perdonerebbe mai. Per di più stavolta della grazia fruirebbe un uomo che
neppure Di Pietro più giurare senza ombra di dubbio che sia colpevole. La condanna è risultata da quel
che si chiama «libero convincimento del giudice», nella credibilità di un sedicente pentito,
perché di prove non ce n’è neanche una. Il libero convincimento va rispettato, ma non è la Rilevazione.
Forse bisogna conoscere Sofri per sapere che egli non può aver commissionato l’uccisione di
Calabresi, ma basta conoscere il processo - non sono vagoni e vagoni di carte - per sapere che la sua
colpa non è stata provata. Forse per questo la fertile mente della destra coltiva l’idea che la
grazia sia sottoposta a una confessione - ché tale suonerebbe la domanda firmata dal condannato. Per
questo Sofri non la può avanzare. Quale sollievo se ammettesse che è colpevole! E se non lo ammette
resti dentro. E taccia. Anzi parli. Ma parli umilmente, battendosi il petto, guardandosi bene dal
rivendicare la sua innocenza.
Cova nei recessi del paese, nel suo corpo legislativo e in quella stampa che dovrebbe essere la
punta di diamante delle garanzie, una attrazione fatale per i metodi dell’Inquisizione. Dobbiamo
averne respirato l’aria da piccoli, sui banchi di scuola, nelle sacrestie. Anche per questo sarebbe
bello che dal quirinale venisse una voce diversa, laica e illuminata. E da una legge, se proprio ha
da esserci, l’affidamento del modesto potere di grazia a tutti i futuri presidenti. Nulla di grave
se qualche presidente pessimo lo userà male - s’è detto di Priebke. I guai che ci darebbe un
cattivo presidente sarebbero altri. Per quanto riguarda le galere, meglio che un vecchio mascalzone ne
venga fuori piuttosto che una persona per bene rimanga dentro. E buon 2004.