Home > La "ragione sociale" di Rifondazione
Cara Rina, l’intervento di Sullo, apparso ieri, evoca - pur nella sua brevità - una serie di grandi questioni e solo con alcune, per ragioni di spazio, ci si può qui confrontare: sul tema della "ragione sociale" del Prc (chiaramente sollevato da Sullo); sul tema della necessità di una "nuova radicalità" dei comunisti; su quello del "potere diffuso" come alternativa al "potere rivoluzionario" e sul tema della violenza.
Sulla ragione sociale del Prc: Sullo sembra chiaramente dire che il problema non è più quello dei "simboli" o della parola "comunista", ma che «la domanda di fondo, quella che secondo me muove Bertinotti, sia la stessa che sta nella ragione sociale del partito, nel suo stesso nome: rifondazione». E’ già un primo momento forte di discussione: in verità se la ragione sociale del nostro partito stesse solo nel termine "rifondazione" saremmo di fronte ad una ragione sociale amputata e, anzi, geneticamente mutata rispetto ai nostri obiettivi originali e attuali e rispetto al volere dei nostri iscritti, dei nostri militanti e dei nostri elettori. In verità sono le due parole, rifondazione comunista, che esprimono, insieme e non separate, la nostra ragione sociale, la nostra storia, le nostre lotte, i nostri obiettivi. Le compagne e i compagni che, in coraggiosa controtendenza rispetto ai tempi, alle sconfitte e alle abiure, scelsero di dar vita ad un nuovo partito comunista in Italia dopo la sciagurata liquidazione di Occhetto, non saprebbero certo che cosa rifondare se non un partito comunista che, senza disinvolti liquidazionismi o sorde nostalgie e tenendo conto della grande storia comunista, delle sue vittorie planetarie e delle sue degenerazioni, provi ad attrezzarsi ed essere all’altezza dei tempi e dell’odierno scontro di classe. E’ il comunismo, caro compagno Sullo, che non vogliamo cancellare e dunque anche la parola per dirlo.
Seconda questione: l’esigenza, dice Sullo, di una nuova radicalità dei comunisti. Giusto, forse per diverse ragioni ma concordiamo. Poiché quando Sullo prosegue affermando che i comunisti di oggi dovrebbero essere radicali quanto lo furono quelli «attorno alla fine della prima guerra mondiale e l’inizio degli anni 20 del ‘900, che ruppero con una tradizione, quella della Seconda Internazionale», ricordiamo che i leninisti ruppero perché i socialisti della Seconda Internazionale stavano abbandonando ogni progetto rivoluzionario, stavano imboccando la strada del gradualismo positivista, che non ha mai ritenuto centrale la rottura rivoluzionaria: «tanto il socialismo viene da solo, senza strappi».
E’, dunque, il potere, la terza questione posta da Sullo. Citando gli zapatisti (che comunque entrarono a San Cristobal con le armi e con esse si difesero dai padroni delle terre), Sullo assume come questione centrale per la rifondazione (non necessariamente comunista) la categoria del "potere diffuso", che escluda a priori il problema del potere rivoluzionario (per una rifondazione, appunto, non comunista?). Qui vorremmo solo citare Gramsci, ricordando che il contropotere diffuso era parte centrale del suo pensiero (i consigli di fabbrica, la conquista delle casematte) ma era, appunto, contropotere diffuso poiché non rinunciava al potere rivoluzionario. Ultima questione, la violenza. Ho già avuto modo di dire che, dal mio punto di vista, quello sulla violenza è un terreno di discussione inaccettabile, poiché solo i padroni, i fascisti e gli spiriti animali possono difendere la violenza. Altra cosa è la forza. Il compagno Ingrao, nell’intervista che tu stessa gli hai fatto, Rina, si chiedeva come i popoli possono resistere, senza forza, senza armi, al tallone di ferro dell’imperialismo.
Stiamo attenti a non guardare il mondo dal lato del nostro salotto buono: se condanniamo la forza per sempre e in ogni dove, come potranno, oggi, liberarsi i palestinesi, gli iracheni, i colombiani? La Cia, Pinochet, non soppressero con la violenza Allende? Se si poteva, come si doveva rispondere? Bush non vuol farlo oggi con Cuba, con Chavez, con Lula, con lo stesso presidente argentino Kirchner ("Liberazione" di ieri, pagina 13)? Se questi popoli condannassero a priori l’uso della forza, come resisterebbero? Riassumiamo in pieno Gandhi e Aldo Capitini, si dice. Giusto: i valori del pacifismo sono i valori dei comunisti. Senza dimenticare però, come giustamente vuole Sullo, la svolta radicale dei leninisti dopo la prima guerra mondiale, ma anche senza dimenticare che era lo stesso Capitini, negli anni ’30, a scrivere che l’unica risposta alla libertà d’impresa è quella del «massimo di socialismo nelle istanze economiche» e «la socializzazione dei mezzi di produzione».