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La rifondazione non riguarda solo il comunismo

Publie le domenica 18 gennaio 2004 par Open-Publishing

Caro Sandro, cara Rina, vorrei dare anch’io il mio contributo al dibattito sui contenuti della rifondazione comunista. Il filosofo francese Paul Ricoeur afferma che la nostra è un’epoca di ri-fondazioni più che di fondazioni e che rifondare un’idea, un movimento, una corrente storica significa «mantenere le promesse non mantenute del passato». L’esigenza di rifondare non riguarda solo il movimento comunista, ma molte altre cose essenziali: per esempio il senso dell’agire politico, la pratica della democrazia, la cultura della trasformazione, l’essere di sinistra ecc.: tutte cose che oggi sembrano perse e che sono da riconquistare. "Rifondare", inoltre, comporta un rapporto col tempo, con le generazioni passate e con quelle future, un rapporto di grande rispetto verso chi in passato ha lottato, ha creduto, ha sperato, ma anche di grande sollecitudine verso chi si appresta a vivere nuove esperienze e deve poter riuscire ad evitare errori e fallimenti del passato.

Senza queste premesse anche il dibattito su comunismo, nonviolenza, cultura della pace rischia di essere falsato: non stiamo parlando di ideologie astratte, ma di esperienze storiche. Sappiamo bene che la storia finora è stata impastata di violenza, che la guerra ha segnato le vicende dell’umanità, che in certe situazioni si è imposta la necessità di resistere all’oppressione con guerre di resistenza e di liberazione. Proprio perché sappiamo tutto questo, ci possiamo oggi interrogare se l’umanità nel suo complesso non sia giunta oggi a un tornante della sua storia in cui si pone da una parte la minaccia di una guerra infinita, distruttiva delle stesse possibilità di vita nel pianeta, dall’altra la prospettiva di relegare la guerra, attraverso la pratica della nonviolenza attiva e la lotta per la costruzione di un nuovo ordine mondiale, fra gli arnesi del passato, passando, per parafrasare Marx, dalla preistoria alla storia, o, in altri termini, conquistando un più alto livello di civiltà.

Battersi per questa prospettiva, perché di lotta pur sempre si tratta, significa per noi scegliere di fondare la possibilità di un comunismo a venire sull’orizzonte della pace, riprendendo tra l’altro un’aspirazione profonda di cui si possono cogliere le tracce nel movimento socialista e comunista del passato (la parola d’ordine "guerra alla guerra", il grande leader della sinistra socialista francese Jaurès che cade vittima di un fanatico militarista, prima dell’immane macello della prima guerra mondiale, Rosa Luxenburg e Karl Liebknecht in carcere per la loro opposizione al conflitto, ecc.).

Nell’esperienza concreta del socialismo e del comunismo novecentesco si è trattato di tracce, di aperture che per ragioni diverse non si sono concretizzate e la cui realizzazione è stata rinviata ad una umanità futura, sempre più remota, mentre nei regimi del socialismo cosiddetto reale (e anche, in forme diversa, nelle socialdemocrazie) si affermava una realtà tutta opposta. Quello che oggi invece s’impone è proprio la coerenza fra mezzi e fini, l’impossibilità di rinviare a un futuro radioso quello che non si riesce in nessun modo a prefigurare nella pratica del presente: questa impossibilità è stata espressa dal filosofo marxista André Tosel con la formula "comunismo della finitudine", che significa appunto un’idea di comunismo che sia pensata sulla misura dell’esistenza concreta degli essere umani, dei soggetti in carne e ossa.

Per questo vedo un nesso strategico fra comunismo futuro e lotta pacifista e nonviolenta oggi: anzi propongo (con un lavoro che richiede certamente grande spessore e molteplici contributi) di rileggere la parola "comunismo", accentuando il motivo della "comune umanità" che ci lega a tutti gli altri esseri umani (umanità che viene alienata nella logica capitalistica), in un mondo e in una società dove i beni essenziali siano "comuni" e sottratti alla logica della mercificazione. Questa prospettiva umanistica ed etica non solo non sminuisce ma anzi potenzia la critica al modo di produzione capitalistico e la lotta per un suo superamento, passando per il conflitto sociale e le lotte e per una capacità di gestire in modo pacifico e nonviolento il conflitto e le lotte.

Un altro punto su cui si è concentrato il dibattito su "Liberazione" è la questione della religione e della sua critica da parte di Marx. Anche qui l’esperienza storica del movimento operaio è tutt’altro che univoca. Come saltare quasi due secoli di esperienza storica che hanno visto, soprattutto nell’ultimo cinquantennio, un’imponente partecipazione di compagni credenti alle lotte di liberazione in tutto il mondo? Per chi proviene da questa esperienza, peraltro, la critica marxiana della religione è stata assunta come una sfida in positivo, come la necessità di dimostrare in concreto che la fede è non una fuga in un altro mondo ma un modo di atteggiarsi e una proposta di vita in questo mondo. Non credo che una forza politica possa chiedere di più ai propri aderenti. Il resto appartiene alle discussioni filosofiche e alle convinzioni personali.