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La vera sfida al Cavaliere

Publie le martedì 2 dicembre 2003 par Open-Publishing

Gianfranco studia da "dopo-Silvio"

di MASSIMO GIANNINI

DA FIUGGI a Gerusalemme. Al raduno della Destra sociale all’Hotel Hilton, mercoledì prossimo, si
capirà meglio se la "lunga marcia" di Gianfranco Fini traghetterà An verso una nuova "Casa dei
moderati". Oppure se la sua "svolta antifascista" condurrà il partito a sbattere contro il muro di una
scissione vecchio stile. Nella testa del leader c’è il primo obiettivo. Nel cuore di molti suoi
elettori c’è il secondo. La ragion politica pende a favore di Fini. Intanto, dalla proposta del voto
agli immigrati fino alla visita al Museo della Shoah, ha riportato Alleanza nazionale al centro
della scena. È già un gran risultato, dopo due anni e mezzo di oscuro gregariato in un Polo
comandato da Berlusconi e Bossi. Ma soprattutto, con la sua svolta, Fini ha terremotato l’intero
centrodestra. E, sia pure senza dirlo, ha ufficialmente aperto la battaglia per la leadership con il
Cavaliere.

Passerà attraverso tre tappe di breve, medio e lungo periodo: il rimpasto di gennaio, le elezioni
europee del giugno 2004, le politiche del 2006. Per capirlo, è utile partire da una domanda. A chi
parla la nuova "pedagogia democratica" di Fini, come la chiama Piero Ignazi? Agli elettori di
Alleanza Nazionale, certo.

Una destra più populista e radicale sta già saldamente sul mercato: è la Lega di Bossi, rifugio di
tutti i tradizionalismi e i campanilismi della "piccola patria" del Nord. Spazio per una "terza
forza", tra queste ali estreme e An, non se ne vede. Se ci saranno fuoriusciti da Alleanza
nazionale, si redistribuiranno dove e come possono. A Fini non dispiacerà. È convinto che saranno in pochi,
perché tra i suoi funziona sempre quello che Marco Tarchi chiama "il complesso di Mosè": li ha
salvati dal ghetto politico, è difficile che ora decidano di ritornarci. E comunque, ormai, non vuole
e non può più permettersi una base orgogliosa della camicia nera e del saluto romano.

Ma la mossa di Fini non parla solo alla sua gente. Parla anche, e forse soprattutto, agli elettori
moderati del centrodestra. Gli propone un’alternativa spendibile, e pienamente
costituzionalizzata, rispetto al berlusconismo esasperato di questi due anni e mezzo.

Il messaggio è ancora confuso, e non sistematizzato in un disegno organico. Ma in prospettiva,
l’offerta politica di Fini incrocia fatalmente il bacino potenziale del voto moderato, deluso e
disincantato. E qui sta il rischio esplicito di una strategia che non si conclude allo Yed Vashem, con
l’abiura finale delle leggi razziali, di Salò e del fascismo come male assoluto.

Per questo, nel medio periodo, le prossime elezioni europee sono un test ad alto rischio. Il
proporzionale tende ad esaltare le differenze valoriali tra i diversi partiti dei due schieramenti. Una
lista unitaria del centrodestra nasconderebbe le reciproche debolezze, ma allo stato attuale è uno
sbocco impensabile.

Ognuno si presenterà col suo simbolo. E se quello di An arriverà al voto di giugno 2004
"destabilizzato" dalle svolte del suo leader e offuscato dalle polemiche tra i suoi colonnelli, il partito
potrebbe uscire male dalle urne.

L’appuntamento è il rimpasto del prossimo gennaio. Fini, sul piano della legittimazione personale
e della credibilità internazionale, ci arriva in una posizione di forza. Il leader di An ha già di
per sé un profilo da ministro degli Esteri. Molto più di quanto non sia riuscito a darselo
Frattini. Logica vorrebbe che, in un braccio di ferro con Berlusconi, nel rimpasto Fini associasse al suo
ruolo di vicepremier anche la Farnesina. Lui ci tiene, ma il Cavaliere non è d’accordo, nel metodo
e nel merito. Per questo il capo di Alleanza nazionale ha già pronta una subordinata: chiederà per
sé la Difesa. Quel ministero gli offre diversi vantaggi. Gli permette di consolidare un asse
elettorale tradizionalmente strategico per An, quello con le forze armate. Infine, gli offre
l’opportunità di far digerire alla sua base la svolta "antifascista", dimostrandogli un visibile
rafforzamento di An negli equilibri di governo e di maggioranza.

Piaccia o no, nel lungo periodo il movimentismo di Fini porta An a diventare non più una sbiadita
corrente di Forza Italia, ma una formazione moderata e aggregante che converge decisamente con
l’Udc di Casini e Follini, e che si profila come altra rispetto al partito personale del Cavaliere e
alla lobby padana del Senatur.

E piaccia o no, nel lungo periodo il protagonismo di Fini porta il leader a diventare non più
un’inconsistente controfigura di Berlusconi, ma il suo vero antagonista nella guida futura del
centrodestra. Questa è la grande partita del 2006. Se il Cavaliere avrà la forza di candidarsi alla
presidenza della Repubblica, Fini si presenterà con le carte in regola per ereditare la guida del
centrodestra nella prossima legislatura. Se al Cavaliere non riuscirà la forzatura sul Quirinale, e se
la sua esperienza di governo si concluderà senza i "miracoli" che aveva promesso, Fini avrà pieno
titolo per aprire la guerra di successione. E con l’aiuto di Casini, sempre più innamorato delle
suggestioni del Colle, potrebbe avere buone probabilità di vincerla.