Home > Lo schema segreto del leader sdoganato di An
Eugenio Scalfari
La domanda - se ti viene in mente Gianfranco Fini - è di capire che cosa farà da grande.
Generalmente, debbo confessarlo, Fini non mi viene in mente però me lo fanno venire i titoli dei giornali
che da qualche giorno sparano il suo nome in testata di prima pagina sulla sua ragionevole
proposta di dare il voto nelle elezioni amministrative agli extracomunitari che risiedono in Italia da
alcuni anni con regolare permesso di soggiorno e libretto di lavoro. E allora, Fini qui Fini là, che
cosa si propone, spaccherà la maggioranza, metterà allo scoperto i traditori all’interno del suo
partito (ce ne sono, ce ne sono), preparerà la sua carriera per il dopo Berlusconi. Insomma, un
florilegio di supposizioni che restano tali configurando un quiz senza premi e senza soluzioni,
almeno per ora.
Vogliamo anche noi partecipare al gioco, ma per farlo con un minimo di serietà bisogna anzitutto
capire chi è veramente Fini e come si trova nel governo di cui è vicepresidente e nella Casa delle
Libertà che ne costituisce la base parlamentare. Fatta quest’indagine senza pretese esaustive,
penso che i suoi obiettivi emergeranno senza particolari difficoltà.
Dunque e anzitutto: chi è Fini? Un uomo politico nato e cresciuto nell’Msi di Almirante, poi suo
successore, poi ’sdoganato’ da Berlusconi che durante la campagna per le elezioni al Comune di Roma
nel 1993 dichiarò che se fosse stato cittadino romano avrebbe scelto lui invece di Rutelli. Con
quella scelta virtuale il patron di Mediaset (allora altro non era che questo) gettò le basi per la
carriera politica del segretario dell’Msi e per la loro futura alleanza che dura ormai da dieci
anni tondi tondi. All’ombra di quella scelta cominciò la scalata di Fini al potere nella scia del
Cavaliere.
Va detto per completezza che, a differenza di Berlusconi il quale continua ad atteggiarsi ad
anti-politico e anzi su questa autodefinizione aveva costruito fino a ieri la sua presa su quella vasta
parte del ceto medio organicamente anti-politica, anti-partitica e anti-parlamentare, Fini ha
sempre rivendicato la sua formazione di partito. Gli sarebbe del resto stato difficile negarlo
sostituendola magari con qualche altra ’specializzazione’: non ha esperienze imprenditoriali né
professionali, non ha coltivato specifiche passioni culturali, sa quel poco che un politico può sapere di
economia, di finanza, di amministrazione. Il suo unico professionalismo gli deriva dalla militanza
nell’Msi e da quel tanto di cultura generale che si apprende nei licei. In compenso conosce l’arte
del botta e risposta, ha l’abilità di posizionarsi, di praticare giochi di sponda, di apparigliare
e sparigliare, requisisti indispensabili - come diceva Ugo La Malfa - per far politica con
cognizione di causa.
Come si può trovare un siffatto personaggio, dotato di notevoli ambizioni, dentro la Casa delle
Libertà e in un governo guidato da Berlusconi? La risposta è: stretto. Da un certo momento in poi
Gianfranco Fini, nonostante ed anzi addirittura a causa della sua carica di vicepresidente del
Consiglio, si è sentito stretto.
Un vicepresidente in realtà conta assai poco. Consiglia, suggerisce, le poche volte che gli arriva
la palla la deve passare al compagno perché non spetta a lui insaccarla in rete. Ma nel governo
che vicepresiede c’è già qualcun altro che svolge questi compiti di centrocampista ed è Gianni
Letta, che gode l’indiscussa fiducia del premier ed esercita quelle funzioni con grande abilità. Fini,
di fatto, è un disoccupato e lo sarà in permanenza fino a che l’assetto attuale del potere durerà.
Tanto più lo sarà se e quando sarà varata la riforma istituzionale da lui stesso approvata, che di
fatto pone fine al regime parlamentare conferendo al premier il potere di revocare e sostituire i
membri del governo e di sciogliere le Camere senza dover passare per l’autonomo potere del capo
dello Stato.
A quel punto Fini, che conta ora poco più di zero, conterà meno di zero. Lui lo sa e se ne
tormenta, tanto più che nel frattempo ha visto parecchi dei suoi colonnelli montare sul carro del suo
amico-rivale e ispirarsi ai suoi desideri e alle sue direttive anche contro le tradizionali credenze
di Alleanza nazionale. Insomma anche il potere di Fini dentro An rischia di sfarinarsi.
Questo è lo stato delle cose, reso ancor più indigesto dal fatto che il nucleo duro della Casa
delle Libertà è un pentagramma formato da Berlusconi-Dell’Utri-Previti-Tremonti-Bossi. Come può star
contento in queste condizioni un vicepresidente del Consiglio disoccupato nel presente e in
prospettiva futura?
Di qui le sue recenti sortite. Ha scelto un tema volutamente marginale, quello del voto agli
immigrati, che non trova neppure consistenti opposizioni nell’opinione pubblica disponibile ad una
siffatta proposta ’senza spese’. Un tema tuttavia che, ai suoi occhi, ha il pregio di mantenere in
fibrillazione la Lega costringendo Berlusconi a prender posizione allo scoperto. Ma al di là di
questa sortita quali sono i reali obiettivi del leader di Alleanza nazionale?
Ci sono due contesti da tener presente: che il centrodestra si presenti con un’unica lista alle
elezioni europee o in liste separate sulla base del sistema proporzionale. Finora Fini si era
dichiarato favorevole alla prima ipotesi, ma adesso sta considerando seriamente la seconda: ciascuno
prenderà i suoi voti, contarsi per contare, secondo un vecchio motto sempre valido quando tra alleati
i rapporti si arroventano.
Se le europee, nonostante tutto, andassero discretamente per il centrosinistra; se An mantenesse i
suoi voti che sono più del triplo di quelli della Lega, la pressione di Fini acquisterebbe
notevole vigore. Ancor più l’acquisterebbe se le europee registrassero un vantaggio per il
centrosinistra. In questa eventualità si potrebbe addirittura porre il problema di elezioni politiche
anticipate, sebbene sia una scelta alla disperata se presa dopo una sconfitta. A quel punto tuttavia il tema
d’un cambiamento di leadership nel Polo diventerebbe di stretta attualità.
Lo schema segreto, ma non poi tanto poiché è desumibile dall’analisi dei fatti, è il seguente:
Fini punta sul premierato così come Casini punta al Quirinale quando il mandato di Ciampi sarà
scaduto.
Se poi vincesse il centrosinistra, sarebbe Fini il candidato a guidare l’esercito sconfitto con
una linea di opposizione dialogante, senza più l’ostacolo del berlusconismo, del conflitto
d’interessi, della concentrazione mediatica, della rissa contro le toghe rosse e contro il fantasma
comunista sempre evocato a beneficio delle varie curve sud e nord.
Questa è la tastiera che Fini vagheggia di poter suonare. Quanto sia realistica la canzone lo
sapremo nei prossimi mesi.