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Ma la religione resta un "tranquillante"

Publie le giovedì 8 gennaio 2004 par Open-Publishing

E’ bizzarro che nel breve spazio delle lettere del quotidiano si vadano negli ultimi tempi
affrontando - per forza di cose sommariamente - complesse questioni teoriche e/o strategiche, che
meritano certamente di essere sviluppate e confrontate, ma a fondo e in sedi più adeguate: seminari,
convegni o... congressi. Ma sorprende ancor più che una compagna della finezza della Gagliardi abbia
ceduto alla tentazione di entrare con tanta leggerezza nel "dibattito" su un problema della
complessità di quello religioso, prestandosi a fare l’altra sponda di una sterile sfida tra chi rimane
rigidamente fedele alla formula dell’oppio dei popoli e chi invece pretende di superarne
"modernamente" l’obsolescenza, rischiando di liquidare al tempo stesso l’approccio materialistico
dell’analisi marxiana della questione (ben più importante della sintetica definizione, che si può
legittimamente considerare "datata").

La compagna Gagliardi, partendo con una dotta precisazione sul fatto che la frase è da Marx
ripresa da Feuerbach, senza citarlo, mescola parecchie carte in tavola. La frase è effettivamente
ripresa da Feuerbach, ma anche da molti altri socialisti e democratici del tempo senza che ne dovessero
citare l’origine, tanto faceva parte del senso comune di tutti i rivoluzionari.
Ma che c’entra questa precisazione? Non è solo perché non è farina del solo sacco di Marx che
dobbiamo evitare di "eternizzarla come una verità assoluta, senza tempo e senza contesto". Un marxista
non può avere mai dogmi basati sull’ipse dixit, e deve sottoporre ogni sua precedente convinzione
a una verifica.

Comunque non è questo il punto. Mi sembra assurdo dire che "oggi" la situazione sarebbe cambiata
perché la religione (cristiana, islamica, ecc.) sarebbe diventata "l’unica grande forza dinamica
capace di muovere grandi masse". Lo era già da tempo. Né Marx né Gramsci (per fare un solo nome, ma
molto significativo, e a cui devo molto della mia formazione storico religiosa) lo ignoravano. Non
è una scoperta che le religioni, pur se legate alle classi dominanti, influenzano grandi masse, e
che queste in certi momenti si muovono con un ottica diversa da quella di coloro che hanno
"assunto il potere" nelle chiese. Non penso solo alle grandi eresie nel cristianesimo dei primi secoli e
poi del medioevo, ma a come l’islam delle origini, dilagato in mezzo Mediterraneo proprio grazie
all’appoggio degli strati più umili, ha dato origine successivamente a molte varianti quasi tutte
reazionarie, anche se con momenti di rinnovamento, con forte appoggio popolare, ma non per questo
positivi

D’accordo, dunque. Le religioni sono ben radicate tra le masse più povere. Ma le aiutano a capire
il mondo? E aiutano a cambiarlo in meglio? E a risolverne i problemi serve la "carità",
l’elemosina, l’aiuto a vedove ed orfani? Con nomi diversi fanno le stesse cose le chiese cristiane e gli
ayatollah o i mullah: vi si potrebbe ritornare per spiegare la base del consenso di massa all’Islam
radicale in Iran, o in Palestina, o in Algeria, sempre di fronte al fallimento delle organizzazioni
politiche laiche.
Non si tratta dunque di distinguere tra religiosità popolare e le chiese strutturate e
autoritarie, cosa che è facile e scontata, ma di rispondere alla domanda che facevo prima: la religione in
quanto tale aiuta a capire e cambiare il mondo?
E dato che siamo in Italia, quale è il ruolo della Chiesa cattolica? Non raccontiamoci le favole
sulla teologia della liberazione, che c’è stata e c’è, come fenomeno interessante anche se ovunque
minoritario, ma che non a caso è stata esclusa e punita. Non attribuiamo alla chiesa nel suo
complesso i meriti indiscussi di mons. Nogaro, o di Tonino Bello o, prima e meglio di tutti loro, di
don Lorenzo Milani.

Ho scritto più volte che alcuni preti (e monache) sono più interessanti e
senz’altro più radicali della maggior parte dei nostri dirigenti locali, ma sono loro che rappresentano
"la religione cattolica"? O è il vescovo Ruppi, grande amico della Poli Bortone, e coinvolto in
tanti scandali sulla gestione dei CPT?
Quando incontro dei religiosi impegnati contro la guerra, ne sono lieto, come del fatto che ancor
oggi su molte parrocchie sventola la bandiera della pace, che tanti compagni moderati hanno tolto
prestissimo. Benissimo.
Ma la questione posta con quell’inserto di "Liberazione" era un’altra: prima di tutto c’era la
scelta, più che discutibile, di far presentare e sponsorizzare i "libri sacri" a esponenti delle tre
grandi religioni monoteiste, ovviamente portati a esaltarli acriticamente, a prescindere dalle
persone interpellate. E dietro al dibattito che si è aperto c’è il sospetto non infondato che ci sia
una rivalutazione del ruolo della chiesa cattolica, compreso quello di questo papa di cui non si
osa dire che è esponente di una concezione retrograda e fondamentalista del cattolicesimo, in primo
luogo per quanto riguarda i diritti delle donne, e che anche il suo tanto decantato "impegno per
la pace" è spesso caratterizzato da ambiguità diplomatiche, e da una sostanziale equidistanza tra
boia e vittime, che si manifesta soprattutto quando parla del conflitto israelo-palestinese, ecc.

Naturalmente, sul piano della tattica politica per battere gli oltranzisti guerrafondai, si può
anche accentuare il giudizio positivo su alcune sue prese di posizione, come abbiamo fatto ogni
volta che è stato possibile (ed era più facile nel 1991 e in questa ultima guerra, mentre era
impossibile nei conflitti nella ex Jugoslavia, in cui non era solo ambiguo, ma complice dei boia croati.
Non a caso ha poi beatificato anche il vescovo amico degli ustascia Aloisio Stepinac...).
Ogni volta che settori cattolici, anche della gerarchia, si schierano contro una guerra, anche
oggi, mi va benissimo, ma non posso dimenticare che nei confronti di altre guerre tacciono. E
comunque sono "settori cattolici", da seguire e magari esaltare, ma da non confondere con l’intera Chiesa
cattolica e con la funzione complessiva della religione nel mondo di oggi. Quando li incontriamo
non dobbiamo sbandierare l’ateismo, ma non possiamo rinunciare a un’analisi critica materialistica
del fenomeno religioso, creando equivoci sulla sua natura di fondo.

Rina Gagliardi ad esempio, per dimostrare che non si può più parlare di "oppio dei popoli" oggi,
ha fatto un’apologia di Paolo di Tarso, "uno dei più grandi organizzatori della storia umana".
Vero, ma organizzatore di che?
È stato il creatore di una religione diversa da quella delle origini, che traspare ancora qua e là
dagli Atti degli Apostoli, da qualche passo degli stessi vangeli canonici e dell’Apocalisse (ma
ovviamente ancor più da quelli che sono stati espunti dal Canone e dichiarati "vangeli apocrifi"), e
che era una religione di speranza di liberazione per gli oppressi. Invece Paolo dice degli schiavi
"che siano soggetti ai loro padroni in tutto, compiacenti, non abbiano lo spirito di contraddire"
(La sacra Bibbia a cura di p. Ricciotti, Salani, Firenze, 1954, p 1698). In un’altra lettera Paolo
scrive che "quanti sono sotto il giogo schiavi, d’ogni onore stimino degni i propri padroni.

E
quelli che hanno i padroni credenti, non li disprezzino, per il motivo che son fratelli, ma piuttosto
li servano bene appunto perché son fedeli" (Ivi, p. 1686).
Anche l’autorità politica secondo Paolo va rispettata perché viene da Dio: "Ogni persona sia
sottoposta alle autorità superiori; perché non v’è podestà se non da Dio, e quelle che sono, son da Dio
ordinate. Sicché chi si oppone all’autorità, fa contro l’ordine di Dio, e quelli che così
resistono si tireranno addosso la condanna" E poi aggiunge che "il magistrato non porta la spada
inutilmente, essendo ministro di Dio" (Ivi p.1596). E questo un paio di secoli prima del riconoscimento di
Costantino e dell’inizio del connubio diretto tra chiesa e impero!
Quanto alle donne, ci sono nelle lettere di Paolo (parte integrante del Nuovo Testamento, si
ricordi) decine di passi in cui si sottolinea che "la moglie non è padrona del proprio corpo, ma lo è
il marito", e che "le donne nelle assemblee tacciano, poiché non è loro permesso di parlare, ma
stiano sottoposte, come anche dice la legge" (Ivi, pp. 1608 e 1616). Semplice segno dei tempi?

Non
direi, c’è un attacco diretto alle libertà di fatto delle donne in quel tempo.
Ma lasciamo Paolo di Tarso, e veniamo al nodo fondamentale sotteso alla lettera della Gagliardi.
Qui riaffiorano le questioni del dialogo con i cattolici, in realtà con i vertici della Chiesa, e
con la Dc, (come già fu per l’inserimento del Concordato nell’articolo 7 della Costituzione,
presentato da Togliatti come gesto verso il mondo cattolico, mentre era anche il riconoscimento del
potere assoluto della Chiesa contro i preti dissidenti). Un dialogo esaltato senza distinguere i
riflessi di fenomeni che avevano condizionato le aperture di papa Giovanni (ripresa dei movimenti di
liberazione nel mondo coloniale, ecc...) dalla funzione - permanente - dell’istituzione
ecclesiastica, pur sempre rivolta in modo nostalgico e conservatore alla concezione teocratica, dell’assoluta
superiorità della sfera del divino, che sposta nell’aldilà la "reale" liberazione, rinviando
"altrove" la soluzione concreta di problemi, pur denunciati, a volte anche coraggiosamente...

Se ne può discutere senza ricorrere a una schematica identificazione della Chiesa con il sistema
vigente. La Chiesa ha saputo collaborare infatti con la società schiavistica, con quella feudale,
con quella borghese, e in molti casi, anche con i regimi burocratici, sempre mantenendo la propria
autonomia, anzi con la pretesa di porsi appena possibile al di sopra del potere politico.
La ripresa del fenomeno religioso è un problema importante del nostro tempo, e già lo è stato
almeno per la seconda metà del Novecento: ne scrissi già nel 1965 nell’introduzione a Rivolta
religiosa nelle campagne (un libro scritto insieme a Maria Novella Pierini), a proposito del proliferare
delle sette cristiane in URSS durante lo stalinismo, osservando che era prima di tutto il sintomo
di un cattivo stato di salute degli altri strumenti delegati a fornire risposte concrete...

L’affermazione fece scandalo, e si aprì perfino un dibattito sull’Unità... Sono dunque l’ultima persona
nel partito che può negare questo fenomeno, su cui ho scritto a proposito della Polonia,
dell’Afghanistan, dell’Iran, ma non per questo penso si possa considerare in sé positivo. Continuo a
ritenere che, in ultima analisi, nella sostanza, e in forme diverse (storicamente, geograficamente,
socialmente, culturalmente, ecc.), la religione resta un "tranquillante", rispetto a tutto ciò a cui
non si sa o non si vuole dare risposta con gli strumenti a disposizione: fenomeni e forze della
natura, assetti sociali e condizioni di vita, finalità dell’esistenza, destini dell’umanità...