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Nucleare: l’Italia rischia di scivolare sulla sicurezza, come a Fukushima
par Massimo Lauria
Publie le giovedì 13 febbraio 2014 par Massimo Lauria - Open-PublishingIl parlamento si spacca tra chi vuole garantire autonomia all’Autorità di controllo sulla sicurezza atomica e chi invece la preferisce addomesticata.
I dibattiti parlamentari finiscono spesso per essere una gara alla lottizzazione dei centri di potere, anche quando in ballo c’è la sicurezza della salute pubblica. Il nucleare non fa eccezione; anzi l’argomento in Italia stuzzica molte sensibilità. Ecco perché il recepimento di una semplice - si fa per dire - direttiva europea (la 2011/70/Euratom) sulla sicurezza atomica, suscita un dibattito al limite del paradossale.
L’Europa ci chiede di allinearci agli standard internazionali sulla gestione dei nostri impianti nucleari, compreso il loro smantellamento e lo smaltimento dei rifiuti atomici - circa 20 mila metri cubi, in crescita -. Gli altri paesi europei l’hanno già fatto. Il nostro è in ritardo e l’Europa ha aperto una procedura d’infrazione a novembre scorso. Ma non è solo questione di priorità nelle strategie politiche di governo.
L’esecutivo, infatti, si è arenato su un paio di aspetti apparentemente banali, che Strasburgo dà per acquisite: l’indipendenza dell’Autorità di vigilanza sulla sicurezza nucleare e la trasparenza nel dare informazioni, coinvolgendo i cittadini nelle decisioni da prendere. E proprio qui si è aperto uno scontro tra ministeri su chi deve avere l’ultima parola su nomine e strategie del futuro ente di controllo: l’Isin.
Il ministero dello Sviluppo economico, che già controlla la So.Gi.N - l’ente che dovrebbe smantellare gli impianti atomici e smaltirne i rifiuti - vorrebbe avere tutto sotto la sua gestione. Mentre il ministero dell’Ambiente, secondo la proposta del governo, farebbe da organo consultivo. Mentre l’Europa ci chiede che l’Isin sia totalmente svincolato dall’uno e dall’altro e con una propria autonomia finanziaria.
Il Giappone aveva il nostro stesso contesto normativo, fino all’incidente di Fukushima. Il ministero dell’Industria nipponico controllava le strategie e i sistemi di sicurezza. Dopo il disastro sono stati costretti a fare un passo indietro, separando l’Autorità di controllo dalle politiche industriali, per evitare il ripetersi di una catastrofe simile. Ad oggi la legislazione più debole, tra i paesi dell’Ocse, è proprio la nostra.
La commissione congiunta Industria-Ambiente del Senato ha dato i suoi pareri al governo. Da una parte M5s e Sel, che optano per le indicazioni di Strasburgo e dall’altra Pd, Fi ed Ncd, che fanno i capricci per non scontentare chi in questo paese il nucleare lo considera cosa propria. In realtà il Pd fa un piccolo passo avanti, riconoscendo il valore dell’indipendenza dell’Isin. Peccato che poi scivoli sull’antico vizietto delle nomine.
Il partito di Renzi, infatti, suggerisce che il prossimo direttore dell’Autorità sia nominato «con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del consiglio dei Ministri», ma solo dopo l’indicazione del ministero dell’Ambiente, che però prima ha sentito il parere di quello dello Sviluppo economico. Come in matematica, muta l’ordine dei soggetti ma il risultato resta invariato, tanto per non scontentare nessuno.
Siamo certi che l’Italia voglia davvero abbandonare qualsiasi velleità di rilancio del nucleare? Ancora una considerazione: più tardiamo a smantellare le centrali atomiche (decommissioning), più la bolletta elettrica è salata: gli oneri sono regolati dalla componente tariffaria A2, che ci costa circa 300 milioni l’anno. Dovevamo pagarla fino al 2020, ma siamo in ritardo. Ora ci dicono 2029, con un costo che alla fine toccherà i 6,7 miliardi di euro. Ma questa è un’altra storia.