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Pinto: "...Troppe chiamate così usai il mio telefono"
Publie le venerdì 21 novembre 2003 par Open-PublishingLe chiamate
Telefonate fatte dal Dirigente della DIGOS Spartaco Mortola e giunte al cellulare privato del PM
Francesco Pinto
ore 00,33 attraverso il centralino della questura - durata 1 min. e 53 sec.
ore 00,42 da un cellulare in uso a Mortola - durata 5 min. e 41 sec.
ore 00,58 da un cellulare in uso a Mortola - durata 2 min. e 56 sec.
ore 01,54 dall’ufficio del Dirigente della DIGOS in Questura - durata 5 min. e 11 sec.
ore 02,52 dall’ufficio del Dirigente della DIGOS in Questura - durata 9 min. e 45 sec.
Telefonate partite dal cellulare privato del PM Francesco Pinto e dirette al Vicedirigente della
DIGOS Alessandro Perugini
ore 00,18 - durata 1 min. e 7 sec.
ore 00,36 - durata 21 sec.
ore 01,16 - durata 1 min. e 41 sec.
ore 01,37 - durata 59 sec.
ore 01,51 - durata 59 sec.
l’intervista
Pinto: "Era tardi per dirigermi alla Diaz Troppe chiamate così usai il mio telefono"
Dottor Pinto, la notte della scuola Diaz ci furono insistenti telefonate tra lei e la polizia. Fu
una semplice comunicazione sommaria?
«Non ho mai detto che ci fu una sola telefonata. Meglio: intendevo che ci fu un solo colloquio
davvero significativo. Tutte le altre furono comunicazioni in cui si parlava di altri aspetti della
vicenda Diaz».
Che cosa intende dire?
«Intendo che, quando un giornalista e un avvocato mi avvertirono che alla scuola Diaz stava
avvenendo una "mattanza", mi misi in comunicazione con Alessandro Perugini, vicedirigente della Digos,
l’unico che rispondeva al cellulare.
Lui
era a Bolzaneto, riuscì a farmi parlare con Spartaco Mortola. Ma non furono comunicazioni sugli
arresti e sull’esito della perquisizione».
E di cosa avete parlato?
«Io ero preoccupato per i feriti. Giungevano notizie di ambulanze dirette in tutti gli ospedali
della città. Mi avevano informato di un poliziotto accoltellato e io temevo per la sua sorte. Di
quello mi interessavo in quei minuti, non dell’operazione di polizia giudiziaria che era sicuramente
meno impellente della salute delle persone».
Una curiosità: come mai lei, magistrato di turno, non ritenne di raggiungere personalmente la
scuola Diaz per verificare cosa stava succedendo?
«Perché quando la cosa si è palesata nelle sue dimensioni, era ormai tardi. Ho calcolato che avrei
impiegato troppo tempo a raggiungere quel posto. Ho così preferito continuare a chiamare e a
informarmi sulla sorte dei feriti».
Non si sarebbe potuto muovere più tardi, comunque?
«A blitz concluso, non avrei saputo dove andare».
Altro dettaglio oscuro: il cellulare di servizio del pm di turno non ha ne fatto ne ricevuto
telefonate. Ma che fine aveva fatto?
«Io sono un funzionario dello Stato e sono anche attento a non gravare sulle spese dello Stato.
C’erano tantissime telefonate da fare e ho responsabilmente deciso di farle con il mio telefonino
privato».
E quello di servizio?
«Mah, era lì, da qualche parte, non mi ricordo».
Poi chiamò Perugini...
«Fui io a chiamare, a cercare ripetutamente di mettermi in contatto con qualcuno, perché volevo
spiegazioni su quello che stava accadendo e nessuno me le dava».
Però le comunicazioni sono state moltissime».
«Il problema non è il numero delle telefonate intercorse tra me e il dottor Mortola, ma il loro
contenuto e la loro sostanza. Nessun poliziotto, sentito in sede di commissione parlamentare, ha mai
parlato di contatti rilevanti con il sottoscritto. Non si capisce perché solo ora venga sollevata
la questione».
Perché l’indagato, Mortola, è stato anche redarguito in sede di interrogatorio dal suo collega
Enrico Zucca, proprio perché aveva parlato di molti contatti...
«Se ho parlato solo di una o due telefonate intercorse tra me e Mortola è perche ho avuto da lui
solo la mattina dopo la telefonata esaustiva in cui ho conosciuto l’operazione nei suoi dettagli.
Durante la notte le informative erano state scarse e sommarie. E poi c’è un’ulteriore
considerazione...».
Quale?
«Non ci sono vie di mezzo. O si crede a quel che dico, o si deve presupporre che io abbia qualche
modo collaborato alla stesura dei falsi, che sia la mente occulta del blitz alla Diaz, che abbia
cercato di aggiustare un’operazione "storta" della polizia. Questo non cozza solo con la logica, ma
con fatti concreti».
Ad esempio?
«Io ero contrario a chiedere la convalida di quei 93 arresti. Lo dissi subito ai miei capi e usai
anche espressioni forti. Lo ribadii a due giornalisti incontrati il giorno dopo. Loro riportarono
le mie dichiarazioni: tanti arresti per associazione a
delinquere in una circostanza del genere erano quantomeno inusuali».
Cosa avvenne poi?
«L’alllora capo della procura, Francesco Meloni affidò il compito di chiedere la convalida a
Francesco Lalla. Mi spiegò che quegli articoli di giornale apparivano come un’anticipazione di giudizio
e non poteva lasciarmi quel fascicolo».
Marco Menduni