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Politica antisociale in Brasile
La paura trionfa sulla speranza
Dove è la riforma agraria?
È passato circa un anno dalla vittoria di Lula alle elezioni presidenziali del 2002. Una
maggioranza schiacciante della popolazione considera tuttora l’attuale governo come il proprio governo, ma
considera sempre meno come propria la politica che questo attua.
Già nel corso della campagna presidenziale del 2002, in una "Lettera a tutti i brasiliani", Lula
aveva assunto una serie di impegni tesi a rassicurare i mercati, il Fondo Monetario Internazionale
(FMI) e gli Stati uniti. Al momento della formazione del governo, tali impegni sono stati
confermati con la nomina a capo della Banca centrale dell’ex direttore della Banca di Boston e con la
nomina di una squadra più liberista che sociale al Ministero dell’Economia e delle Finanze. Il
discorso ufficiale è chiaro: prima mettere sotto controllo l’inflazione e rassicurare i mercati, e
soltanto dopo, secondo una formula involontariamente umoristica del presidente Lula «sarebbe
cominciato lo spettacolo della crescita».
In assenza dello spettacolo annunciato, l’economia brasiliana è in stato di asfissia. La
"transizione" annunciata è rimandata alle calende greche. Il sociologo Chico de Oliveira, rovesciando lo
slogan della campagna elettorale, valuta già che «la paura trionfa sulla speranza». Al fine di
attirare i capitali stranieri, il governo si è impegnato a pagare sull’unghia il servizio del
debito.
Ha fissato tassi di interesse astronomici (superiori al 26%). Ha mantenuto l’obiettivo
irragionevole di un attivo di bilancio del 4,5% a detrimento dei servizi e degli investimenti pubblici e
anche degli investimenti privati. Di conseguenza, le spese per investimenti sono cadute del 12% nel
corso del solo primo semestre. La disoccupazione è in aumento e la situazione dell’occupazione
nella regione di Saõ Paulo è la peggiore dal 1995.
La riforma delle pensioni, adottata in agosto dal Parlamento con il pretesto di una lotta contro
i privilegi, si iscrive docilmente nello schema imposto dalla Banca Mondiale e nel modello di
riforme in corso in molti paesi del mondo. La riforma allunga di sette anni la durata dei contributi
richiesti ai funzionari pubblici, il che significa una diminuzione importante delle pensioni per
la maggioranza dei salariati, in particolare per le donne, a causa delle interruzioni di carriera.
Apre anche la porta ai fondi pensione "pubblici" la cui gestione sarà affidata alle banche
private. Sono altresì allo studio privatizzazioni parziali dei servizi pubblici.
«Good bye mister da Silva! Lula, ritorna!»
Le prime conseguenze visibili di questo corso disastroso sono duplici.
Da un lato, le riforme annunciate sono "spettacolarmente" bloccate. La campagna "fame zero"
avrebbe dovuto fare parte di un progetto sociale complessivo comprendente riforma fiscale, politica
dell’occupazione, sviluppo dei servizi pubblici, ma per mancanza di mezzi si riduce a una carità
pubblica con risultati scadenti. Allo stesso modo, i crediti destinati alla riforma agraria, sempre
annunciata come una priorità del governo, sono miserevoli (vedi oltre).
Dall’altro lato, si moltiplicano i segni di delusione e di malcontento nei movimenti sociali. In
primo luogo tra i funzionari, vittime della riforma delle pensioni, che si sono mobilitati
massicciamente in luglio e agosto e la cui manifestazione ha invaso il Parlamento in occasione del
dibattito sulle riforme. Si tratta di una componente importante dell’elettorato del PT nelle grandi
città, e le elezioni municipali della fine del 2004 potrebbero tradursi in un voto di punizione per
il governo, qualora questo persistesse nell’orientamento attuale.
Il 1° maggio, diverse personalità (tra le quali l’ex vescovo di Saõ Paulo, esponenti della
teologia della liberazione o il cantante Chico Buarque), hanno rivolto una lettera aperta al governo per
interpellarlo sulla questione della zona di libero scambio delle Americhe (Alca in spagnolo) che
crea un grande mercato latino/americano dipendente dagli Stati uniti. Il 30 maggio, trenta
deputati, sui novanta che conta il gruppo parlamentare del PT, hanno firmato un testo di critica della
politica monetarista della Banca centrale. Il 10 giugno è apparso un manifesto di allarme firmato
da molti prestigiosi intellettuali, in maggioranza membri o simpatizzanti del PT. Il 12 giugno,
centinaia di noti economisti pubblicavano una critica della politica economica e finanziaria
seguita dal governo. All’inizio di giugno, il congresso della Centrale unica dei lavoratori (CUT), di
cui l’80% dei 2700 delegati apparteneva al PT o a partiti della coalizione governativa), traduceva
il malessere di numerosi responsabili sindacali. La direzione della CUT opponeva al progetto di
riforma delle pensioni tre emendamenti che non sono stati integrati. Anche il congresso della Unione
nazionale degli studenti testimoniava un progresso delle correnti della sinistra critica. Le
occupazioni di terre sono triplicate dall’inizio dell’anno e di giorno in giorno si moltiplicano gli
scontri tra i senza terra (MST) e le milizie "ruraliste". (1)
Le critiche contro il governo sono sempre più numerose, ma l’indice di popolarità di Lula resta
allo zenit nei sondaggi sfiorando l’80% di opinioni favorevoli. Una grande parte della popolazione
lavoratrice considera il governo come il proprio governo. Alcuni cartelli apparsi nelle
manifestazioni dei funzionari lo riassumono bene: «Good bye mister Da Silva! Lula, ritorna!» La politica
economica e sociale del governo è il risultato di una scelta di fondo. Non ci sarà dunque un
significativo riorientamento senza crisi e rotture nel PT e all’interno del governo.
Il "gruppo dei trenta" deputati critici del partito si è diviso al momento del voto parlamentare
sulle pensioni. Ventiquattro si sono rassegnati a votare a favore "per disciplina", pur criticando
il progetto di legge. Sette si sono astenuti nella votazione finale dichiarando che non volevano
votare né contro il loro partito né contro la loro coscienza. Quattro - tra cui il nostro compagno
Walter Pinheiro, deputato di Bahia - hanno votato contro. Tre di loro, per i quali è in corso un
processo di espulsione, progettano di aderire al PSTU per creare un nuovo partito. Anche la nostra
compagna, la senatrice Heloisa Helena, è sottoposto alla procedura di espulsione (vedi il
riquadro).
Un PT blairista in versione bossanova
Il senso di questa offensiva disciplinare, a detrimento del pluralismo che costituisce la
ricchezza del PT, è chiaro: il partito deve scegliere tra il suo ruolo di portavoce politico dei movimenti
sociali e quello di cinghia di trasmissione delle misure governative nella società. In gioco è
l’avvenire di un partito "classista", riflesso di una radicalizzazione massiccia delle lotte sociali
dalla fine degli anni 1970. La sua trasformazione in "nuovo PT", specie di "terza via" blairista
in versione bossanova, non si farà nei prossimi mesi senza forti resistenze del PT storico, tanto
più che la politica governativa costituisce la maggiore rottura della disciplina rispetto alle
risoluzioni dell’ultimo congresso del partito tenuto nel dicembre 2001.
La questione brasiliana avrà dunque un postò centrale nei dibattiti della sinistra. In primo
luogo in America latina: se nel paese più potente del subcontinente, un governo di sinistra non può
fare di meglio che sottomettersi alle imposizioni del FMI e della Banca mondiale, quali conclusioni
ne dovrebbero trarre i movimenti popolari in Ecuador, in Bolivia, in Uruguay ecc.? È tuttavia
possibile opporre ai creditori internazionali e ai progetti dell’Alca un fronte dei paesi debitori con
l’Argentina e il Venezuela.
In seguito su scala internazionale: La socialdemocrazia priva di progetto si appropria
l’esperienza lulista per farne la sua bandiera, opponendo la saggezza a passo di lumaca e le alleanze larghe
del "modello brasiliano" alla "fuga in avanti" della Unidad Popular cilena che avrebbe facilitato
(se non provocato!) il colpo di stato di Pinochet. Senza un cambiamento di rotta rapido e radicale
in Brasile, la delusione sarà brutale.
Daniel Bensaid
(1) Un coordinamento formato lo scorso agosto da diversi movimenti (Marcia mondiale delle donne,
MSP, CUT, Movimento studentesco, associazioni di disoccupati e senza casa, diversi sindacati e
movimenti cattolici, artisti e intellettuali) ha lavorato a proposte alternative alle tre riforme
annunciate dal governo: sicurezza sociale, fiscalità e istruzione. Già impegnato in una campagna
contro l’Alca, questo coordinamento ha deciso una iniziativa nazionale contro la disoccupazione e per
il diritto al lavoro.
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A che punto è la riforma agraria?
In un paese in cui il 10% dei proprietari si accaparra l’80% delle terre, la questione della
riforma agraria è una delle più urgenti, e non può ridursi alla sola ridistribuzione delle terre.
Infatti, delle 500.000 famiglie che hanno ricevuto la terra tra il 1995 e il 2002, il 90% non ha
accesso all’acqua, l’80% non ha ancora né l’elettricità né collegamenti stradali, il 57% non ha
accesso a crediti per la casa, e oltre la metà non riceve alcun aiuto tecnico.
Dopo la sua entrata in funzione, il ministero dello sviluppo rurale e della riforma agraria ha
raddoppiato le risorse destinate all’agricoltura contadina, rinegoziato i debiti di molti
agricoltori, istituito un’assicurazione per i piccoli coltivatori vittime di catastrofi naturali, sviluppato
linee di credito specifiche per le donne, i giovani, l’agroecologia, e creato un programma di
acquisti federali che garantiscono il prezzo di vendita dei prodotti.
Per passare a una seconda fase della riforma, centrata sulla distribuzione delle terre, diventa
decisiva la questione del bilancio. Il numero delle famiglie che aspirano alla distribuzione delle
terre è stimato intorno ai quattro milioni, ma la disponibilità di cassa è a malapena sufficiente
a sistemare una decina di migliaia di famiglie. L’ora della verità suonerà con l’adozione del
bilancio per il 2004. Tanto più che la tensione sale e si moltiplicano gli scontri violenti tra i
senza terra e le milizie "ruraliste" organizzate dai grandi proprietari. Molte decine di militanti
e di senza terra sono detenuti su iniziativa del potere giudiziario in diversi Stati, mentre la
destra conduce una campagna incessante contro il ministro Miguel Rossetto, denunciato come ministro
dei fuori legge.