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Quando "...l’immagine del potere si specchia nella mediocrità dei suoi servi...
Publie le martedì 20 gennaio 2004 par Open-PublishingRagazzi, che vergogna
Dieci anni fa era in forza alla redazione romana di Vita. Oggi è una delle
Iene di Italia Uno. Un percorso con un filo conduttore: l’amore alla
notizia. E l’odio per il cinismo.
Credetemi, il tesserino non basta. Quando mi chiedono: "Che lavoro fai?" ci
metto sempre un po’ a rispondere "il giornalista". Non è timidezza, non è
modestia. È qualcosa di meno e insieme di più.
La verità è che io mi vergogno. Come un bimbo sulla sedia di fronte ai
parenti obbligato, prima del cenone, a dire la poesia, io mi vergogno. Come
una prostituta pubblicamente svergognata a una cena di gala, io mi vergogno.
Come un ingegnere di fronte alle macerie della casa da lui progettata, io mi
vergogno.
Per cominciare, io mi vergogno quando leggendo i giornali, anche quelli per
cui collaboro, capisco che sono incomprensibili alla maggioranza degli
italiani. E mi vergogno quando scrivo un pezzo perché so che verrà
impaginato in un modo tale che del mio pezzo si leggeranno i titoli, le
didascalie, le tabelle, i box, ma non il mio pezzo che dunque poteva essere
semplicemente scritto diversamente dal momento che tutti, l’editore, il
direttore, il caporedattore, il caposervizio e perfino io sappiamo che di un
giornale la gente ha tempo di leggere un articolo e basta, se va bene, e per
il resto si guardano le figure.
La realtà? Da evitare
Per cui mi vergogno a pensare che quando il premier Berlusconi giudica
obsoleti i giornali un po’ ha ragione, e mi vergogno di sapere quanto noi
giornalisti abbiamo contribuito a dargli ragione inseguendo la televisione
invece che la realtà, tanto più che la televisione schifa la realtà come il
diavolo l’acquasanta al punto da inventarsela pur di evitarla, e che dunque
di realtà ce ne sarebbe un bel po’.
E quando mi trovo in mezzo ai giornalisti che su quei giornali scrivono, mi
sento sempre un po’ inadeguato, come se il cinismo mi facesse difetto, come
se il loro fosse un gioco da grandi e io non avessi imparato a esserlo.
Dunque mi vergogno di fronte a questo cinismo e vorrei essere cinico come
loro e sapere giocare a questo gioco da grandi. Ma quando poi lavoro su una
notizia e capisco che della realtà non mi interessa altro che il suo servire
alla mia notizia, che la complessità delle cose è dannosa alla mia notizia e
che, se approfondissi davvero, la mia notizia si dissolverebbe in mille
punti di vista e che al fine di salvare la mia notizia devo rimanere
abbarbicato al mio punto di vista, e che in definitiva sono un cinico, ecco
che mi vergogno.
E quando lavorando in una televisione di Silvio Berlusconi, parlando male
della politica di Silvio Berlusconi, metà degli italiani pensa che io sputo
sul piatto dove mangio, io sì che mi vergogno! E mi vergogno anche perché
l’altra metà degli italiani pensa che il mio parlar male della politica di
Berlusconi sulle reti di Berlusconi è possibile solo perché il parlare male
di Berlusconi è utile a Berlusconi medesimo per cui è vero che io sputo sul
piatto dove mangio, ma in questo sputacchiare consiste esattamente la mia
funzione di "giornalista" della quale, sia chiaro, mi vergogno.
E quando oggigiorno censurano qualche giornalista e lo cacciano via, io mi
vergogno perché capisco che i potenti non sopportando le critiche e avendo
la facoltà di scegliere chi c’è in video a fare loro domande, finiranno
sempre di più per scegliere, tra i giornalisti, i più servi che ci sono,
dunque i peggiori. E scegliendo i peggiori tra i giornalisti giocoforza
finiranno per essere rappresentati da costoro in modo deformato e comico, e
questa deformazione dell’immagine del potere che si specchia nella
mediocrità dei suoi servi, per me che faccio il loro stesso lavoro, è
ragione di vergogna.
Serio o non serio
Ma mi vergogno anche per tutti quelli che non vengono cacciati poiché dal
momento in cui qualcuno viene cacciato per aver detto qualcosa,
immediatamente tutti gli altri che non vengono cacciati cominciano ad aver
paura di dire proprio quella "cosa pericolosa" e col cavolo che la dicono,
ma mi vergogno ancora di più perché so che se anche i "giornalisti non
cacciati" dicessero quella "cosa pericolosa" che ha fatto cacciare gli altri
nessuno crederà loro, visto che ciascuno, a ragione, penserà che se quel
giornalista non viene cacciato come quell’altro è perché non dice quella
"cosa pericolosa", e che dunque la cosa che sta dicendo non è la "cosa
veramente pericolosa", altrimenti sì che verrebbe cacciato.
E siccome vergognandomi di parlare sul serio, ma vergognandomi allo stesso
tempo di non essere preso sul serio, sono finito a fare il giornalista
satirico (il quale secondo me è per l’appunto colui che si vergogna allo
stesso tempo di essere serio e di non esserlo), mi vergogno quando la gente
mi dice che solo il nostro (quello delle Iene, o di Striscia) è vero
giornalismo che sta dalla parte dei cittadini, e mi vergogno perché so che
non è vero, visto che ad esempio c’è. ecco mi vergogno di faticare a trovare
chi c’è, ad esempio, oltre le Iene e Striscia e ovviamente, il settimanale
che mi ospita e in cui ho cominciato, che fa, in qualche modo, giornalismo
dalla parte dei cittadini.
E mi vergogno del fatto che quando qualcuno mi chiede cosa bisogna fare per
fare i giornalisti io non so mai che dire. Dirò: c’è sempre un padrone del
piatto, c’è sempre il bisogno di mangiare, c’è sempre il dovere di sputare.
Sentenze, notizie, battute. Che vergogna!