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ESPRESSO on-line 17-10
Quel gioco truccato di riscrivere la storia
Giorgio Bocca
Ogni tanto, secondo gli opportunismi della politica, riprende il gioco sui morti, un gioco
truccato perché i morti non possono parlare e li si può usare come si vuole.
Fanno parte del gioco dei morti le continue provocazioni dei vivi, neo o post fascisti, di abolire
la festa del 25 aprile per sostituirla con una che metta sullo stesso piano partigiani e
sostenitori di Salò e, a Venezia come a Trieste, ogni settimana c’è chi chiede di celebrare le vittime
della ferocia titina. Senza distinzione alcuna fra chi era per la libertà e la democrazia e chi per
difendere fino all’ultimo il totalitarismo.
Il tutto senza ricordare e considerare minimamente il contesto storico che vale anche per i morti,
che i morti non possono ricordare, ma la storia sì. Mi scrive da Udine la storica Alessandra
Kersevan: "Non so se ha mai sentito parlare del campo di concentramento fascista di Gonars: fu il più
grande campo di concentramento per internati civili jugoslavi al di qua del vecchio confine gestito
dal Regio esercito. Al di là c’era il campo di Arbe Rab ancora più grande e tragico. Dalla
primavera del 1942 al settembre del ’43 vi furono internati in condizioni indicibili 6 mila persone,
uomini donne, vecchi e bambini. Vi morirono in 500, la gran parte nell’inverno 1942-43 per la fame, il
freddo, le malattie".
L’argomento dei campi di concentramento fascisti è pochissimo conosciuto a livello di opinione
pubblica ed è per questa scarsa conoscenza che personaggi come il primo ministro Silvio Berlusconi
possono dire che Benito Mussolini mandava i suoi oppositori in vacanza. Il gioco dei morti è
francamente inaccettabile quando risponde a un opportunismo politico come quello attualissimo dei neo
fascisti, nipotini di Salò, e allievi di Giorgio Almirante, attualmente al governo della Repubblica
democratica.
Nel caso italiano non si tratta di recuperare la storia dei vinti e di correggere quella dei
vincitori, ma di ricordare che se si fossero scambiati i ruoli noi non saremmo qui a parlarne, saremmo
finiti in massa in qualche lager o in qualche camera a gas e per il lungo futuro del Terzo Reich
noi e i nostri figli e nipoti saremmo vissuti, ove non eliminati, in una società barbarica. Altro
che vaghe e passeggere distinzioni fra diverse bandiere, diverse idee, diverse utopie: la scelta
era fra la schiavitù razzista e la libertà civile, fra la fedeltà cieca alla tirannia e i diritti
umani.