Home > Quell’alibi ridicolo

Quell’alibi ridicolo

Publie le venerdì 17 ottobre 2003 par Open-Publishing

Berlusconi dice di non poter mantenere le promesse per colpa del debito pubblico. Ma due anni fa,
quando le promesse le faceva, non c’era lo stesso debito?

Massimo Riva

Con l’aria di chi ha fatto una scoperta eccezionale Silvio Berlusconi e alcuni suoi ministri
stanno rivelando al paese che esiste un serio impedimento a una gestione più allegra dei conti
pubblici. Questo ostacolo - udite, udite - è rappresentato da un debito pubblico gigantesco, che pesa
come un macigno sulla via del Bengodi fiscale promesso dai partiti della Casa delle libertà. Il primo
a disvelare questa straordinaria verità è stato il ministro Umberto Bossi spiegando che, in
assenza di un intervento sulle pensioni, l?Italia avrebbe sicuramente subìto un insostenibile rincaro
dei tassi sui titoli emessi a fronte del debito suddetto. Poi è arrivato Giulio Tremonti, con la sua
sapienza tecnica, a confermare l?annuncio del ministro leghista. Da ultimo, ha posto il suggello
ufficiale sulla rivelazione il presidente del Consiglio, il quale ha detto in sostanza: non
possiamo fare di meglio, neppure tagliare le tasse come vorremmo, perché l’enorme debito pubblico
ereditato dal passato ce lo impedisce.

Di fronte a questa indecorosa mascherata non si sa se sia meglio ridere o piangere. Ma in quale
paese hanno vissuto negli ultimi vent’anni i signori Bossi, Tremonti e Berlusconi? Dov’erano nei
ruggenti anni Ottanta, quando "la barca va" di craxiana memoria faceva crescere i debiti dello Stato
a vista d’occhio? E, soprattutto, dov’erano costoro nei ben più seri anni Novanta, quando Carlo
Azeglio Ciampi e Romano Prodi facevano i salti mortali per avviare, riuscendovi, la riduzione di un
debito che stava portando il paese alla bancarotta? Insomma: quale Italia hanno pensato di
governare negli ultimi due anni se soltanto oggi si sono accorti che quello del debito pubblico è il
principale problema della finanza statale?

Naturalmente, sarebbe bello poter accantonare questa serie di interrogativi concludendo che, in
ogni caso, è meglio tardi che mai: ora, finalmente, Berlusconi e i suoi ministri mostrano di aver
preso coscienza di quale sia il nodo cruciale dei conti pubblici. Purtroppo, però, la verità è
un’altra: il tema del debito non viene sollevato per annunciare una congrua cura di risanamento del
medesimo, ma soltanto per usarlo come alibi giustificatorio dei tanti, troppi impegni non mantenuti
rispetto al generoso e allettante programma elettorale della coalizione berlusconiana. Al primo
inganno, quello di aver sollecitato il consenso del paese promettendogli una gestione dei conti che
ignorava l?esistenza del debito, così si tenta di aggiungerne un secondo: quello di far credere
che, guarda un po’, solo adesso ci si è resi conto del problema.

Evidentemente, piuttosto che ammettere di aver imbrogliato il paese, Berlusconi e soci
preferiscono passare per stupidi, nella speranza che gli elettori prendano per buona la scusa che il debito,
in fondo, è un?eredità dei governi precedenti. Ma ciò significa voler prendere per scemi anche gli
italiani. I quali sanno che, fra il 1996 e il 2001, il rapporto fra debito e Pil fu fatto calare
da Prodi & C. di circa 15 punti, da oltre il 124 al 110 per cento. Quindi, da Berlusconi hanno
diritto di aspettarsi che riesca a fare almeno altrettanto, senza accampare alibi ridicoli e
impudenti.