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Questo sciopero è dei lavoratori, non dei sindacati
Publie le mercoledì 24 dicembre 2003 par Open-PublishingCronistoria di alcune giornate di sciopero dei lavoratori ATM e alcune riflessioni a margine.
Un compagno smontato dal turno di notte sabato mattina, tornando a casa, aveva notato un certo
movimento nel depostito di via Palmanova, la gente affollare le stazioni del metro di Loreto e pochi,
quasi nessun, autobus e tram in giro a quell’ora, aveva deciso di andare a fare un giro in viale
Sarca…
Nessuno o quasi era partito, più di un centinaio di lavoratori affollavano il deposito, le
trattative non si erano concluse, i lavoratori scioperavano e alcuni compagni incominciavano ad affluire,
intanto le notizie sulle altre città si accavallavano per tutta la giornata tra radio e cellulari
e alcuni andavano a controllare la situazione negli altri depositi.
Sabato e domenica erano state giornate di festa, di discussione, di solidarietà di altri
lavoratori venuti ai picchetti, i giornalisti venuti a sbirciare erano stati allontanati vista la quasi
unanime campagna di diffamazione a mezzo stampa e televisione, i sindacalisti che premevano per far
smobilitare i picchetti ed andare sotto la direzione ATM erano stati ignorati, i macchinisti dei
treni passanti rallentavano salutandoci, alcuni a pugno chiuso.
Giunta la notizia della conclusione delle trattative e dell’accordo bidone firmato, una assemblea
con una votazione seduta stante aveva respinto l’accordo e votato, anche se questa era solo una
pura formalità, per continuare lo sciopero: poco più di ottanta euro di aumento e meno di mille come
una tantum, parametrati su di un livello alto e quindi che in realtà, per la maggioranza dei
lavoratori andavano dimezzati, contro i 106 Euro mensili previsti e i 2900 di arretrati.
I sindacalisti, che hanno le stesse facce di gomma per ogni categoria quando vogliono farti
ingoiare i magoni peggiori, vengono contestati: c’è quello che dice che “se i soldi che ci hanno dato
sono pochi e allora chiediamo una integrazione all’ATM”, cioè apriamo alla territorializzazione del
contratto e frantumiamo la categoria infischiandoci degli altri colleghi che lottano con noi in
tutta Italia; quello che vorrebbe fare “una votazione con tutti i lavoratori del deposito”, e non
solo con chi è fisicamente a lottare e a presidiare il proprio posto di lavoro, cioè prima
smobilitiamo, torniamo al lavoro, e poi con comodo facciamo una assemblea farsa, dopo avere magari
intimidito per telefono i più a non votare contro l’accordo e a presentare il piatto di merda fumante
offerto da governo, padroni e sindacati confederali come una succulente pietanza per i palati più
fini; quelli che facevano circolare notizie false sugli altri depositi e le altre città, dicendo che
svariate corse erano riprese, che la mobilitazione era finita e così via, tanto per intorpidire le
acque, creare incertezze e rompere il fronte di lotta.
In guerra questi loschi figuri verrebbero
considerati spie al soldo del nemico e trattati in quanto tali, gli operai non dimenticano…
Giovani operai in CFL, lavoratori più anziani che prima di lavorare in ATM erano stati operai in
grandi concentramenti industriali, compagni e semplici curiosi discutevano e scherzavano attorno al
fuoco acceso: Era diventata un po’ la lotta di tutti i presenti alla faccia di chi dall’inizio ha
contrapposto gli interessi dei “cittadini”, categoria ambigua e reazionaria, a quelli dei
lavoratori dell’ATM.
La lotta continuava, pensando a cosa sarebbe successo il lunedì, i lavoratori venivano precettati
dalle 6.
Alle 2.00 siamo lì, ci dicono che il primo autobus che dovrebbe uscire è quello delle 4.00 circa,
sostitutivo della metro. Torniamo quindi alle 4.00. Il clima che si respira è teso ma anche
determinato, il ricatto della precettazione pesa ma pesa ancor di più quello della precarietà selvaggia
introdotta con una miriade di nuovi contratti. Una volante della polizia è ferma nel parcheggio
già da alcune ore e loschi individui, DIGOS e funzionari dell’ATM, si aggirano nel deposito con
quell’inconfondibile aria di avvoltoi.
Un delegato CISL comincia a diffondere notizie false, vorrebbe
far credere che dagli altri depositi sono usciti i mezzi ma è prontamente smentito da alcuni
lavoratori di ritorno dai depositi e insultato, “questo è lo sciopero dei lavoratori, non dei
sindacati”. Il suo è veramente il mestiere più sporco.
Verso le 5.30, qualcuno vorrebbe uscire, ci si mette intorno all’autobus per convincerlo che la
precarietà riguarda tutti, che questa lotta ha un’importanza che oramai va oltre l’obiettivo
rivendicativo immediato perché parla ai metalmeccanici in lotta, ai giovani precari, a tutti gli altri
lavoratori, che nessuno resterà solo davanti alla repressione dello Stato. Nel frattempo i due
poliziotti scendono dalla volante e si mettono a spingere, ma un nutrito gruppo di persone gli va
incontro e gli intima di non alzare le mani.
Ma nonostante questo, tra gli applausi, uno dopo l’altro
quelli in procinto di uscire girano la chiave e scendono, la tensione non gli consente più di
lavorare, malattia.
Alle 6.00, soltanto 3 autobus sono usciti, una sempre maggiore condivisione si respira nel
piazzale, sembrava di avercela fatta. E’ solo allora, dopo averle tentate tutte, i sindacalisti di Stato,
esausti da tanto vano lavoro, cedono il testimone ai loro colleghi. Giungono una ventina di
celerini, casco e bastone in pugno, qualche funzionario della DIGOS, in pochi minuti liberano il
piazzale antistante i cancelli, caricando e spingendo tutti. Sordi davanti alle richieste di dialogo dei
dipendenti ATM che li esortavano a riflettere sulla comune condizione di lavoratori sfruttati, si
dispongono, tra i fischi, di fronte ai lavoratori e ai compagni, così da permettere il transito
degli autobus.
Il livello di intimidazione è forte, la determinazione vacilla. Per i funzionari
dell’ATM, all’interno del deposito, adesso è più facile svolgere il compito per cui sono pagati. Gli
autobus cominciano ad uscire aiutati fin sulla strada dalla polizia che ferma il traffico per
snellire tutta l’operazione.
I lavoratori si riuniscono subito in un’assemblea spontanea, decidono di rispettare alla lettera
il codice della strada, così da rallentare il più possibile lo svolgimento del servizio e di non
mollare, lo sciopero deve andare avanti.
Di questi tempi, una qualsiasi lotta rivendicativa che metta in campo strumenti efficaci per la
sua riuscita tende a porre nell’immediato una questione oggettiva di potere, quantomeno di chi lo
esercita e di chi è costretto a subirlo. Che si tratti di una banale questione pecuniaria, di una
ostentata volontà di non retrocedere sul campo delle garanzie acquisite a livello contrattuale,
della necessità di avere una qualche ingerenza nella gestione dell’organizzazione del lavoro, nel
processo di produzione, nelle relazioni politico-sindacali, il blocco dominante non può e non intende
trattare i margini che si sono assottigliati durante questi anni di pace sociale blindata e che
ora sono completamente annullati.
La crisi economica crea una forbice che tende ad allargarsi sempre più tra la necessità di
valorizzazione capitalistica e le esigenze di riproduzione sociale del proletariato, tra la volontà di
mantenere i propri margini di potere politico sulla classe della borghesia e le istanze autonome dei
lavoratori.
I CC nelle fabbriche metalmeccaniche in lotta per i pre-contratti e i reparti mobili della polizia
nei depositi degli autobus, come fuori dagli aeroporti, sono solo un anticipo.
Se da un lato questo fa presumere scenari nefasti di una accelerata svolta autoritaria sul fronte
interno, rosica anche la possibilità di accettazione dei dettami capitalistici, produce un vuoto
pesante nella macchina di consenso e una sorta di esautorazione delle articolazioni statali nel e
del movimento operaio tradizionale: dalla precarizzazione sociale può scaturire una accelerazione
della polarizzazione politica tra le classi.
Se il conflitto si intensifica e si estende e parla un linguaggio comprensibile a tutti gli
sfruttati e si pone come esempio positivo per la possibilità di lottare e vincere va affrontato
frontalmente con l’uso della forza bruta, comunque i lavoratori più attivi vanno filmati, schedati,
pedinati, e magari perquisiti, puniti e messi alla gogna dai pennivendoli dell’industria
dell’informazione.
Alcuni compagni presenti ai picchetti