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REFERENDUM DEL 15 GIUGNO 2003

Publie le martedì 10 giugno 2003 par Open-Publishing

Nell’approssimarsi del 15 giugno e nel sentire ragionamenti che mi
paiono
fuori luogo sul tema del referendum, mi e’ parso utile scrivere due
cosette
per farvi riflettere e per impedire a qualcuno di combinare guai nel
segreto dell’urna.
Cari saluti.
Mario

REFERENDUM DEL 15 GIUGNO 2003

Tante sono le buone ragioni per votare sì al referendum del 15 giugno, ma
ce n’e’ una fondamentale che e’ rimasta sinora troppo in ombra. Per
capirla e’ necessaria una premessa. Il diritto del lavoro, vale a dire non
una disciplina astratta, ma LA TUTELA DEI DIRITTI DEI LAVORATORI, e’ ad
una svolta e ad una svolta non secondaria, ma fondamentale.
Con la legge n.30/2003 che e’ stata recentemente approvata dal nostro
Parlamento (e con il disegno di legge delega 848-bis che e’ in via di
approvazione) l’intero diritto del lavoro viene stravolto: dalla tutela
del lavoro si passa alla istituzionalizzazione del precariato. Il rapporto
che era stato privilegiato dall’ordinamento, quello a tempo indeterminato,
diviene l’eccezione, mentre la regola e’ rappresentata dal lavoro precario
e privo di garanzie.
Il lavoro dell’uomo viene trattato alla stregua di una merce che si cede,
si affitta, si chiama volta per volta solo quando serve, si somministra.
Sono state cancellate norme fondamentali (L.1369/60, sul divieto di
intermediazione di mano d’opera) che imponevano principi elementari di
civiltà, introducendo come normale, e non più solo come temporaneo, il
ricorso all’affitto di persone.
Non bisogna dimenticare che i contenuti della legge delega n.30/03 si
accompagnano al D.Lgs.368/01, con il quale e’ stata abrogata le legge
230/62 sul contratto a termine, la cui disciplina e’ stata integralmente
modificata attraverso una liberalizzazione generalizzata di questo tipo di
contratto. Mentre fino all’entrata in vigore di questa legge, il rapporto
di lavoro a termine era comunque ancora soggetto a una serie di rigorose
condizioni, con l’art.1 del D.Lgs.368 si stabilisce che "e’ consentita
l’apposizione di un termine alla durata del contratto di lavoro
subordinato, a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo,
organizzativo o sostitutivo". E quindi, in una parola, senza limiti.

La legge 30/2003 contiene tante succose novità:
1. innanzitutto viene completata l’opera di smantellamento del sistema del
collocamento pubblico e viene affidata ogni attività di intermediazione
tra domanda e offerta di lavoro a soggetti privati, seguendo la logica che
se un istituto pubblico non funziona, non si cerca di porvi rimedio
facendolo funzionare, ma lo si affida ai privati.
2. viene abrogata la legge 1369/60 e viene sostituita con una disciplina
che riconosce e autorizza la somministrazione di mano d’opera. In sostanza
il lavoratore diviene una merce liberamente commerciabile (la
somministrazione e’ pensata nel codice civile per lo scambio di merci, non
di persone) e si riconosce la liceità del trarre profitto dal lavoro
altrui, attraverso una vera e propria attività di interposizione che
potrebbe anche essere permanente. Nasce così per via legislativa una nuova
professione: quella del commerciante in lavoro altrui.
3. viene poi modificato il regime del trasferimento d’azienda (art.2112
c.c.), stabilendo che il requisito dell’autonomia funzionale non deve più
essere preesistente al trasferimento, ma deve sussistere al momento del
trasferimento. Ciò significa che qualunque pezzo di un’azienda, sia o non
sia autonomo, può essere ceduto all’esterno -insieme con i relativi
dipendenti- senza possibilità di opporsi alla cessione: e’ sufficiente
creare 5 minuti prima del trasferimento un gruppo di persone e dare loro
una definizione organizzativa aziendale. Prima era necessario che il ramo
d’azienda ci fosse e ci fosse realmente e fosse anche autonomo
funzionalmente, molto prima della cessione: ora sarà facilissimo creare
"rami d’azienda" da cedere, creandoli appositamente, un attimo prima
della cessione.
4. Viene modificato il part time: la legge attuale prevede una serie ben
precisa di limiti alla richiesta di lavoro straordinario o supplementare.
La legge n.30/2003 prevede invece l’agevolazione del ricorso al lavoro
supplementare nel part time orizzontale e a forme flessibili ed elastiche
di lavoro a tempo parziale nel part time verticale e misto. Viene anche
prevista l’estensione delle forme flessibili ed elastiche ai contratti a
part time a tempo determinato.
5. Vengono poi introdotte nuove tipologie di lavoro; ad esempio il lavoro
a chiamata. Viene introdotta con questa nuova figura, che richiama il
caporalato, una nuova specie di lavoratore: quello discontinuo o
intermittente, a scelta non sua, ma del datore di lavoro. Il lavoratore
deve restare a disposizione per l’eventualita’ che il datore di lavoro
abbia bisogno di lui. Gli verrà pagato solo il lavoro effettivamente
prestato, mentre potrà percepire una modesta indennità di disponibilità
per il tempo in cui rimane a disposizione in attesa di essere chiamato.
6. Viene poi previsto che per coprire le quote obbligatorie di lavoratori
disabili si possa ricorrere al lavoro interinale e a tempo determinato.
7. Vengono introdotti i "buoni lavoro", ammettendo prestazioni di lavoro
occasionale e accessorio, attraverso la tecnica di buoni corrispondenti a
un certo ammontare di attività lavorativa.
8. I contratti di collaborazione coordinata e continuativa potranno essere
legati a uno o più progetti o fasi di essi, elimando cosi’ il problema
delle scadenze predefinite, come almeno avviene oggi.
9. Viene ancora introdotta la "Certificazione" del rapporto di lavoro.
Per evitare che un co.co.co chieda al giudice di accertare che il suo
rapporto di lavoro non era affatto autonomo, come dovrebbe essere un
cococo, ma era invece subordinato sotto ogni profilo (con il rischio di
dover regolarizzare la posizione, anche dal punto di vista contributivo),
si introducono speciali commissioni davanti alle quali il datore di lavoro
puo’ portare il lavoratore, prima di assumerlo, per fargli giurare, in una
sede pubblica, che il rapporto che si va ad instaurare e’ proprio di
lavoro autonomo e non subordinato. E questo con effetti determinanti sulla
possibilita’, alla fine del rapporto, di fare causa. Il lavoratore
naturalmente potrebbe rifiutarsi di andare a giurare ("certificare"), ma
semplicemente non verrebbe assunto e il datore ne troverebbe un altro che
va a fare il giuramento.

Questo, per sommarissimi capi, e’ quello che e’ successo con la legge
n.30/2003. Ma dietro l’angolo c’e’ anche il disegno di legge delega 848 -
bis che contiene la sospensione dell’efficacia dell’art.18 per una serie
di categorie, e l’arbitrato in materia di lavoro (cioe’ non piu’ i Giudici
dello Stato, ma giudici privati, che devono decidere le cause di lavoro e
quindi valutare, tra le altre cose, i licenziamenti, applicando non piu’
la legge, ma l’equita’).

Per finire bisogna aggiungere che in questi anni la maggior parte delle
imprese ha attuato le cosi’ dette esternalizzazioni, mantenendo all’interno
solo quello che viene chiamato core business e spostando all’esterno tutto
il resto. Tutto cio’ e’ avvenuto in larga misura creando piccole imprese,
solo apparentemente autonome, che fanno , ciascuna, solo una piccola parte
del processo produttivo e organizzativo, che prima si faceva all’interno.
Queste nuove piccole aziende hanno quasi sempre meno di 15 dipendenti, per
consentire il massimo di flessibilita’ in un panorama che gia’ piu’
flessibile di cosi’ e’ difficile immaginare. Ecco allora la necessita’ di
intervenire per ridurre almeno gli effetti di questi scorpori fittizi.
L’introduzione dell’art.18 nelle piccole imprese paralizzerebbe o
quantomeno ridurrebbe questo fenomeno odioso.

Questa e’ dunque la situazione del diritto del lavoro oggi, cosi’ come lo
ha stravolto e flessibilizzato il governo di centro destra. Ed ecco allora
l’importanza fortemente simbolica dell’art.18. Lo scorso anno la battaglia
sull’art.18 era anche allora solo una battaglia di carattere simbolico,
scarsamente rilevante sul destino dei lavoratori dipendenti: se il lavoro
dipendente diviene precario per effetto delle nuove disposizioni contenute
nella legge delega, l’applicazione dell’art.18 diventa solo residuale. Non
c’e’ piu’ bisogno di licenziare. Basta lasciar scadere il contratto e non
rinnovarlo. E’ sufficiente porre termine al contratto di lavoro
interinale. Basta fare uno scorporo di ramo aziendale. Basta non rinnovare
il contratto di cococo. Etc.etc. Insomma, nel panorama attuale i sistemi
per liberarsi dei lavoratori che non piacciono o non vanno bene o non si
sono sufficientemente integrati o non sono disposti a subire di tutto,
sono moltissimi e semplicissimi: non c’e’ alcun bisogno di ricorrere a un
licenziamento che puo’ portare alla sua impugnazione giudiziale.
Questa cosa era ben chiara l’anno scorso a Cofferati, che aveva compreso
perfettamente che la vera minaccia era la legge delega, non tanto la
sospensione dell’art.18. Tuttavia serviva un simbolo semplice, efficace e
diretto, immediatamente comprensibile dalla gente, e la battaglia e’ stata
cosi’ condotta sull’art.18.
Oggi la situazione non e’ cambiata.
Sarebbero sicuramente necessari interventi per dare garanzie ai lavoratori
c.d."atipici"; sarebbe urgente trovare forme di tutela per tutto
l’esercito dei lavoratori con partita IVA, e per tutti i tipi di
precariato. Non condivido affatto l’idea che sia meglio ridurre un
pochino le garanzie di chi e’ gia’ protetto per darne un po’ a chi non ne
ha affatto, perche’ penso che si finisca solo per allargare l’esercito dei
non protetti, ma capisco il senso dell’affermazione. Ma il problema e’ che
non e’ questo in discussione oggi: non siamo chiamati il 15 giugno a dire
se vogliamo maggiori garanzie per i cococo e meno per i garantiti
dall’art.18. Non e’ di questo che si parla.
Siamo invece chiamati a dare un segnale forte e chiaro a questo governo su
quella che e’ la sua politica di diritto del lavoro: un’affermazione del
No o il mancato raggiungimento del quorum rappresenterebbe una sostanziale
accettazione di quanto e’ stato fatto in questa materia. Solo, invece, una
vittoria del SI’ rappresenterebbe un’aperta sconfessione dell’operato del
governo e un tentativo di arrestarlo nella sua corsa sfrenata alla
flessibilita’ selvaggia. Il valore simbolico dell’art.18 c’e’ ancora per
intero e immutato. Non si puo’ farselo scappare.