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Restituzione tavolo di genere svoltosi a Milano il 10/01 nell’ambito del
seminario dei fori sociali
(a cura di Barbara Ferusso)
Nella nostra discussione, sono stati affrontati 2 punti:
a) valutazioni sulla giornata di Bobigny, la giornata di genere che il
12/11/2003 ha preceduto l’apertura del forum sociale europeo a Parigi.
Valutazioni critiche sono state fatte sul fatto che la giornata non sia
stata assunta, come avremmo voluto, all’interno del social forum europeo, ma
l’abbia, appunto, preceduta. Tale fatto ci da la misura di quanto, come
movimento di donne, dobbiamo ancora lavorare all’interno del movimento misto
per far comprendere che non siamo semplicemente un tavolo o una specificità,
ma la metà di chi vuole costruire un mondo diverso.
A prescindere da questa valutazione, il bilancio della giornata non può che
essere positivo, sia da un punto di vista quantitativo della partecipazione
–hanno partecipato ai lavori circa 3000 donne, moltissime giovani e anche
qualche maschietto-, sia da un punto di vista qualitativo, tanto da farci
affermare che si è finalmente passate dalla contemplazione all’azione. Dai
sei tavoli svolti (donne migranti; lavoro, precarietà, povertà; donne e
guerre; autodeterminazione, diritti sessuali e riproduzione; violenza contro
le donne; donne e potere), infatti, sono partite ipotesi concrete di
campagne europee, che si tratterà capire come realizzare anche nel nostro
paese (un primo appuntamento è quello lombardo del 18 ottobre a Milano sulla
precarietà).
b) legge sulla fecondazione assistita (L. 147), approvata a dicembre.
Si tratta di una legge oscurantista e reazionaria, che mette in discussione
la laicità dello stato e che per il suo impianto non è possibile emendare o
modificare, ma è da respingere nel suo complesso.
È una legge che non riguarda soltanto le donne che per problemi fisici
decidono di fare ricorso alle tecniche che la scienza mette a disposizione,
e che avrebbero diritto a farlo nel pieno rispetto del diritto alla salute
(cosa che la legge non garantisce affatto). Si tratta di una legge che ci
investe tutti e tutte, perché mette in discussione il concetto stesso di
cittadinanza, affermando che esistono persone che non possono disporre
liberamente del proprio corpo.
Gli aspetti più pericolosi sono due:
– il riconoscimento giuridico dell’embrione (art 1): il (presunto) diritto
di un grumo di cellule viene contrapposto al diritto della donna di decidere
sul proprio corpo, con conseguenze allarmanti, prima fra tutte il conflitto
con la 194.
– Il carattere normativo dei rapporti e delle relazioni sociali: la legge è
discriminante nei confronti delle donne single e delle lesbiche, introduce
la nozione di “coppia stabile”, fa della famiglia tradizionalmente intesa
l’unico luogo titolato alla genitorialità. Da questo punto di vista, la
legge è perfettamente in linea coi provvedimenti familisti del governo e di
alcune amministrazioni locali, che prevedono il contributo di 1000 euro per
il secondo figlio, il contributo alle donne che non abortiscono e decidono
di vendere il proprio figlio allo stato etc- tutte norme volte a definire un
modello di famiglia ed una definizione dei ruoli che noi non possiamo
accettare.
Nel nome della “libertà di coscienza” dei parlamentari, alcuni partiti hanno
consentito che passasse una legge che nei fatti limita la libertà di scelta
e di coscienza individuale. Questo stratagemma è stato usato nella
coalizione dell’Ulivo come strumento di mediazione politica, stratagemma
contro il quale affermiamo con forza che NON SIAMO DISPOSTE A SCAMBI E
MEDIAZIONI SUL CORPO DELLE DONNE.
È necessario lanciare una campagna forte di mobilitazione, sottoforma di
contro-informazione (si tratta di svelarne la reale portata), disobbedienza,
azioni creative, per costruire nell’opinione pubblica un orientamento
maggioritario di opposizione alla 147. È una campagna che deve coinvolgere
tutto il movimento, perché si tratta di una legge che, come la legge 30 o la
Bossi-Fini, vuole imporre un orientamento complessivo della società,
riportandoci indietro nel tempo.
Oltre alla mobilitazione diffusa sui territori, gli strumenti che abbiamo
discusso sono:
– il referendum: è stata formulata l’idea, da parte di alcuni esponenti
dell’opposizione e dei radicali, di un referendum abrogativo. Si tratta di
una modalità impegnativa, che va discussa più approfonditamente.
– La volontà di GIUDIT (l’associazione delle giuriste democratiche) di
sollevare l’incostituzionalità della legge: è un’iniziativa utile e che va
sostenuta.
Proponiamo due scadenze nazionali, che chiediamo in questa sede vengano
messe in agenda e costruite dal movimento che si riconosce nel percorso del
forum sociale:
– Il 24 gennaio a Roma. Si tratta di un’iniziativa già definita, che è stata
proposta dalle parlamentari che si sono opposte alla legge e che il
movimento delle donne ha assunto. Si terrà sottoforma di happening, in parte
come assemblea trasversale in un teatro al chiuso, in parte come
performance, azioni creative, azioni di disobbedienza e tutto ciò che la
fantasia ci suggerirà.
– L’8 marzo. È una proposta che formuliamo oggi e che allarghiamo a tutto il
movimento delle donne e al movimento misto: fare della settimana precedente
all’8 marzo una settimana di mobilitazione diffusa sui territori contro le
PMA e confluire il sabato 6 a Roma in una manifestazione nazionale. Sappiamo
che l’8 marzo era stata individuata nella giornata di Bobigny come giornata
contro la guerra; crediamo che l’urgenza di sconfiggere questa legge e il
fatto che la legge stessa faccia parte di una vera e propria “guerra contro
le donne” possano farci spostare l’obiettivo tematico della giornata.
Si tratta di due scadenze organizzate da donne, a cui, per i motivi di cui
sopra, anche gli uomini possono (devono!) contribuire e partecipare.