Home > Restituisce i gradi l’ufficiale anti-Sharon
http://www.unita.it/index.asp?
SEZIONE_COD=HP&TOPIC_TIPO=&TOPIC_ID=31817
03.01.2004
Restituisce i gradi l’ufficiale anti-Sharon
di Umberto De Giovannangeli
Il suo gesto ha colpito Israele. La sua protesta scuote Tsahal. Non ama le luci della ribalta
mediatica, il professor Eitan Ronel. Rare le interviste concesse, ancor meno le presenze a raduni
politici. Stavolta, però, il professor Ronel è uscito allo scoperto, guadagnando titoli di prima
pagina sui maggiori quotidiani israeliani e nei principali notiziari televisivi. La ragione è nella
decisione che ha maturato, con sofferenza, nei giorni scorsi. Il professor Eitan Ronel, alto
ufficiale israeliano della riserva, ha restituito i propri gradi al capo di stato maggiore generale Moshe
Yaalon. Alla base del gesto, vi è la protesta per l’attuale politica del governo Sharon nei
confronti dei palestinesi. «Era una decisione che stavo maturando da tempo - dice a l’Unità il professor
Ronel - ma a farmi decidere sono stati gli avvenimenti degli ultimi giorni». A fargli restituire i
gradi è stato il «brutale intervento» dell’esercito contro pacifisti, israeliani e internazionali,
che manifestavano contro la realizzazione della barriera di separazione in Cisgiordania. In una di
queste azioni di protesta, un giovane pacifista israeliano è rimasto ferito gravemente a una gamba
dai proiettili sparati da soldati israeliani. «Uno Stato in cui dimostranti vengono dispersi
dall’esercito con munizioni da combattimento non è più uno Stato democratico, quello per il quale tanti
di noi hanno combattuto e molti hanno sacrificato la propria vita», spiega il professor Ronel.
Qualcosa si è rotto nel rapporto di fiducia e di identificazione che aveva legato Eitan Ronel
all’esercito d’Israele: «Sono orgoglioso - dice - di averne fatto parte, perché credo che sia dovere
di ogni israeliano fornire il proprio contributo alla difesa del Paese. Ma ciò che si sta
consumando oggi nei Territori non ha niente a che fare con la storia di Tsahal né può essere in alcun modo
giustificato dalla guerra al terrorismo». Qualcosa si è rotto: «La fiducia in voi comandanti è
svanita», scrive il professore, in una lettera aperta in cui spiega la ragione che lo ha spinto a
restituire i gradi ricevuti dallo stesso Yaalon nel corso di una solenne cerimonia, alcuni anni fa.
Eitan Ronel non è un pacifista romantico, un idealista incapace di fare i conti con la dura realtà
di un Paese in trincea. Quei gradi erano il riconoscimento dell’abnegazione e del coraggio
dimostrati sui campi di battaglia. Ed è lo stesso coraggio, e onestà intellettuale, che oggi lo hanno
spinto alla clamorosa protesta. «Un passo dopo l’altro - annota con amarezza - il valore della vita
umana viene svalutato. Vengono così corrotti i soldati, i comandanti, il popolo intero». Il suo
gesto ha un forte valore simbolico: Eitan Ronel si è «auto- degradato» per non essere parte di un
degrado morale che oggi investe Tsahal.
Ed è proprio per evitare questo degrado morale e l’imbarbarimento delle coscienze, che Eitan Ronel
si schiera decisamente per atti unilaterali: «Ritirarsi dai territori occupati - sottolinea - non
è una concessione fatta ad Arafat, per il quale non nutro alcuna stima né fiducia, o un cedimento
ai terroristi che mirano alla nostra distruzione. Il ritiro dai Territori è la condizione per non
cancellare i princìpi di democrazia che sono a fondamento dello Stato d’Israele». Questo non
significa abbassare la guardia nella lotta al terrorismo o porre in secondo piano la sicurezza
d’Israele e dei suoi cittadini: «Fissiamo dei confini transitori - prosegue Ronel - e riconosciamo ai
palestinesi il diritto ad uno Stato indipendente. Un diritto che comporta anche pesanti
responsabilità, come quella di porre fine alla violenza e all’azione delle milizie armate».
E se ciò non dovesse avvenire, conclude Eitan Ronel, «avremmo tolto ogni alibi ai palestinesi,
riconquistando prestigio e credibilità agli occhi di quella opinione pubblica mondiale che oggi vede
Israele come una potenza occupante, che opprime un popolo senza diritti».
Le considerazioni del professor Ronel riecheggiano quelle che hanno spinto decine di piloti
dell’aviazione militare e soldati e ufficiali riservisti di Tsahal a scegliere la strada dell’obiezione.
«Appena passiamo la frontiera, entrando in Cisgiordania, diventiamo potenziali assassini. È questo
che ho provato. Perché un qualsiasi bambino può lanciarmi una pietra costringendomi a corrergli
dietro o a fare di tutto per proteggermi, anche aprire il fuoco contro chi mi sta scagliando addosso
delle pietre. Di fronte a questa trappola, l’unica soluzione possibile, sia sul piano etico che su
quello politico, è rifiutarsi di prestare il servizio militare nei territori occupati. Un rifiuto
che per me ha un significato politico, ed è importante, anche se rischio il carcere, perché può
influire sul corso degli avvenimenti», dice Ogal Ezrati, obiettore di coscienza israeliano.
Considerazioni che conquistano sempre più consensi nella società israeliana e tra i «refusnik», i
riservisti. Quei riservisti che, il 25 gennaio 2002, spiegarono così in una lettera aperta, la
prima del genere, pubblicata dai maggiori giornali israeliani, il loro rifiuto di prestare servizio
nei territori occupati: «Abbiamo visto con i nostri occhi il sangue versato da entrambe le parti.
Il prezzo dell’occupazione dei Territori è la perdita del carattere umano di Tsahal e la corruzione
della società israeliana, Non siamo più disposti a dominare un altro popolo, a espellere,
affamare, umiliare i palestinesi. Ci rifiutiamo di divenire strumenti di oppressione». Quel 25 gennaio,
erano 52 le firme di ufficiali e soldati della riserva usciti allo scoperto. Oggi sono centinaia ad
aver seguito il loro esempio. Eroi di pace in tempi di guerra. Di una sporca guerra.