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Riflessioni sul documento Bernocchi-Bersani-Cannavò-Casarini

Publie le sabato 17 gennaio 2004 par Open-Publishing

Rispetto al documento elaborato da Bernocchi, Bersani, Cannavò, e Casarini voglio esprimere il mio sentire e le mie perplessità. Mi lascia di prima battuta perplessa l’eterogeneità dei quattro firmatari nel sentire, nelle pratiche, negli obiettivi, nella capacità di fare e lavorare collettivamente.

Ricordo Riva del Garda perché l’ho vissuto da dentro, ricordo le critiche mosse ai disobbedienti, sulla loro incapacità di un lavoro collettivo, di condivisione di percorsi con tutti gli altri, sulla loro autoreferenzialità e atteggiamento da "essere superiori", gli unici a capire e a muoversi nel giusto modo, sulle loro scelte a volte senza senso come quelle del taglio delle pompe di benzina, che non ledono minimamente la multinazionale e non fanno ragionare le persone su tutto il discorso che esiste dietro a tali mega-aziende, anzi, a volte producono proprio l’effetto contrario sul sentire comune. Queste valutazioni sono condivise da moltissime persone che compongono il movimento italiano, dette nei corridoi, e deriva dall’esperienza diretta, dal lavoro sul territorio, dalle mobilitazioni che si tenta di mettere in campo perché loro, e lo sappiamo in molti, si comportano proprio così. Possiamo fare decine di esempi in tutta Italia senza paura di smentite. E lo dico condividendo in grandissima parte le tesi e le letture che fanno, muovo quindi ai disobbedienti una critica di metodo e non di merito (anche se poi c’è una stretta correlazione tra forme e contenuti). Altre pratiche autoreferenziali ed escludenti le abbiamo vissute in altri ambiti, con altri gruppi e associazioni, basti pensare alla recente lotta contro il WTO. Con questo per dire che non è solo una peculiarità dei disobbedienti.

Penso anche ad incontri e seminari come quelli di Milano organizzati inevitabilmente per pochi a causa della scelta della città (il sud è lontano) e del luogo (una sala per cento persone non capace di contenere tutti i partecipanti e quindi non tutti coinvolti nel dibattito) ed economici (ci si è posti come i ragazzi e non solo si possano pagare senza rimborsi viaggio, vitto e alloggio?). Per queste ragioni, il vostro pezzo che recita " Le lotte si commisurano sulla base della capacità di mobilitazione, sul tasso di partecipazione e di scelta democratica che sanno garantire; le forme di lotta si definiscono sulla base degli obiettivi che si sono scelti e, in ultima istanza, si giudicano su quanto rafforzano la fiducia in sé stessi, nelle proprie ragioni, su quanto allargano consenso e protagonismo sociale, su quanto evitano forme di "avanguardismo" e di pratica separata ed escludente." mi pare veramente avulso dalla realtà. In netta contraddizione tra vissuto ed enunciato. E’ interessante che parliate di scelte democratiche. Sarebbe bene aprire un dibattito reale sui meccanismi di funzionamento del movimento italiano. E’ un’autocritica che non ho saputo cogliere? Possibile. Auspicabile.

Mi sembra veramente poca cosa l’ utilizzo che fate della Resistenza (dei banditen dei nazisti), del Vietnam, dello zapatismo come se chi parla di non violenza dovesse improvvisamente non sentire più questi eventi come parte della propia storia collettiva e personale ed anzi, trattare tutti o come guerrafondai o terroristi. Se qualcuno che parla di non violenza pensa questo, per cortesia, lo dica chiaramente. Credo che non sia affatto così e temo che qualcuno di voi, mentre lo dice, non sia in totale buona fede. Un conto è essere critici su alcuni aspetti della Storia che ci appartiene un’altra è ragionare su che basi fondiamo il nostro agire ora. Mi era parso che parlare di non violenza non era costruirsi una lente con la quale rileggere e ristoricizzare con essa ogni fatto avvenuto, ma proprio, in questo preciso contesto storico, nella dicotomia Guerra-Terrorismo, porsi in un cammino altro, alternativo. ORA. Per questi motivi non mi convince affatto quello che affermate "Accettare la dicotomia assoluta, la "spirale" crescente tra i due concetti significa dunque rischiare di assoggettarsi a questa strategia che in ultima analisi punta a delegittimare qualsiasi obiezione,qualsiasi anomalia nella lineare strategia di guerra permanente,qualsiasi "diserzione" che, automaticamente, diverrebbe un passaggio da un campo all’altro dello scontro e non un’alternativa". Mi pare che ragionare su non violenza sia l’esatto opposto.

Nel convegno a Riva del Garda Luca Casarini e Lussurgiu (con Gian Franco Benzi, una rappresentante della Retelilliput, Giovanni Russo Spena, Marco Bersani) mi hanno proprio convinta quando parlavano che era necessario ricostruire una nuova legalità anche con azioni non legali (la legalità non c’entra nulla con il discorso violenza e non violenza, tant’è che Ghandi praticava azioni non violente e del tutto illegali - certo non è riuscito a costruire una società diversa ma ha liberato l’India dal colonialismo britannico) rifiutando e combattendo la non legalità della legge Bossi-Fini, la non legalità dei CPT, la non legalità delle leggi che precarizzano ogni ambito della nostra vita, attraverso la disobbedienza, la contrapposizione dei corpi ma soprattutto con la non violenza per non utilizzare lo stesso terreno dei nostri avversari, non solo per la sproporzione dei mezzi utilizzati ma soprattutto perché un altro mondo migliore deve nascere necessariamente ed esclusivamente su altre dinamiche sociali. Ma di quale non violenza parlavate allora?

Sull’odierno dibattito sulla non violenza si vuole discutere della Storia o del movimento italiano ora, dopo il 4 ottobre? Voi aprite il documento parlando della repressione del movimento oggi, con gli arresti di Roma (e tra poco si apre il processo a Genova contro i compagni del movimento con imputazioni pesantissime). Perché questa repressione? Forse perché i singoli colpiti fanno paura al Sistema? Su via, non scherziamo, ognuno di noi, come singolo può realmente far paura ed essere percepito dall’Impero come un pericolo da reprimere?

Gli scudi in plessiglax terrorizzano il Sistema? Il taglio delle pompe forse o l’abbattimento delle zone rosse? E’ il Movimento, vasto, Mondiale, radicale nei contenuti, capace di cambiare le coscienze, il senso comune, capace di mettere in discussione il Pensiero Unico e di vincere su questo versante (vedi Cancun) che fa paura a Lor Signori. La repressione su pochi, e lo abbiamo detto da sempre, da Genova 2001 in poi, ha lo scopo di delegittimare TUTTO il Movimento, e questo sì fa paura al Sistema, che vuole far passare TUTTO il Movimento come violento, e quindi neutralizzarlo, renderlo incapace di mobilitare, di coinvolgere ed in sostanza impedire che si rivoluzionino i rapporti di forza reali nella società. Per disarticolare ed annullare questo Loro progetto noi, ora, che facciamo? Ne sono convinta, la non violenza, senza se e senza ma. Oppure pensate che ci troviamo di fronte ad una situazione come nel ’21 con una repressione di massa e sul ciglio di una guerra civile?

Lucia Mielli