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Scuola, sette giorni a tempo pieno
Parte la mobilitazione contro il primo decreto della riforma Moratti.
L’opposizione aderisce al corteo di sabato
CINZIA GUBBINI
ROMA
Ci siamo: da ieri è partita la settimana di mobilitazione nazionale per
chiedere il ritiro del primo decreto di applicazione della riforma Moratti e
ieri è stato segnato un primo successo: l’incasso dell’adesione di tutti i
partiti dell’opposizione alla manifestazione nazionale di sabato a Roma (ore
14, piazza della Repubblica). In un incontro che si è svolto ieri a Roma,
genitori e insegnanti hanno incontrato una decina di parlamentari
dell’opposizione (tra gli altri, Alba Sasso dei Ds, Titti De Simone di
Rifondazione, Albertina Soliani della Margherita, Bergonzi dei Comunisti
italiani, De Petris per i Verdi) per analizzare il decreto e tutte le
implicazioni che comporta. Il giudizio, nella base, è ormai unanime.
Nonostante gli emendamenti che l’Associazione nazionale dei comuni è
riuscito a infilare nel testo - precisare, ad esempio, che le tre ore
opzionali devono essere a titolo gratuito e la riconferma dell’attuale
organico nel primo anno di applicazione della legge - non si è riusciti a
scardinarne la filosofia, che mira a smembrare l’esperienza del tempo pieno
e del tempo prolungato e a mettere in discussione la possibilità di tutti di
accedere a un percorso formativo di qualità. La richiesta, dunque, non può
essere che il ritiro. Dalla riunione è emersa anche l’esigenza di continuare
il confronto: nell’ipotesi di un futuro governo del centrosinistra, qual è
il modello di scuola che si vuole proporre? Alla manifestazione aderiranno
anche gli insegnanti precari, preoccupati dalla riduzione del monte ore
nelle scuole del primo ciclo, che potrebbe comportare il taglio di 57 mila
posti di lavoro. Intanto, ieri pomeirggio sono iniziate le audizioni alla
Commissione cultura della camera che (insieme a quella del senato) dovrà
dare entro il 19 gennaio (qualcuno sostiene il 23) un parere sul decreto.
Che però non sarà vincolante. Tra le varie associazioni ascoltate, anche il
«Coordinamento per la difesa del tempo pieno e prolungato». Da Bologna è
arrivata una parte delle 110 mila firme (ma ormai sono molte di più)
raccolte non solo con i soliti banchetti, ma attraverso un tam tam che
testimonia la capillarità della protesta. E basta vedere le iniziative
proposte per la settimana di mobilitazione per rendersene conto: giovedì a
Roma cento scuole lanceranno palloncini colorati in aria mentre i genitori e
i nonni volantineranno (ospite d’eccezione, Stefania Sandrelli). Due scuole
occuperanno giovedì e venerdì a Primavalle: la Pietro Maffi e la XXV Aprile.
A Trieste si prevedono «passeggiate sulle strisce pedonali». A Palermo,
conferenze, presidi informativi e un ballo delle «de-buttate dalla scuola
della Moratti». A Milano fuori da molte scuole fioriranno cartelli con
scritto «Vendesi», e così via.
Ma saranno tutti matti questi genitori e insegnanti che da mesi continuano a
puntare il dito sul decreto? Il fatto è che tra gli insegnanti e i genitori
si sta facendo strada una preoccupazione vera: che la scuola pubblica
diventi un luogo di selezione. «La scuola a tempo pieno, quando è nata,
aveva un altro nome, si chiamava scuola integrata - spiega Piero Castello,
insegnante romano da sempre impegnato nelle battaglie a difesa della scuola
pubblica - proprio perché cercava di mettere insieme le diverse esperienze
alternative nate sui territori, che cercavano di dare un senso al doposcuola
degli anni 50. E adesso, ci viene offerto un doposcuola che è addirittura
peggiore di quello degli anni
50, quando almeno tutti gli oneri erano a
carico dello stato».
La frammentazione del tempo scuola in 27 ore più 3
«opzionali» più 10 di mensa, l’assoluta vaghezza con cui vengono definiti i
termini delle professionalità che saranno chiamate a seguire i bambini,
disegna un modello in cui la scuola a tempo pieno che torna a essere «scuola
di custodia». Eppure il tempo pieno è sempre più richiesto, ormai da tutti
gli strati sociali. A Roma il 61% delle calssi è a tempo pieno, gli alunni
sono 88 mila il 65% del totale.
Alcune mamme che ieri erano riunite davanti al Parlamento, in un sit-in
indetto in occasione delle audizioni al parlamento puntano invece il dito
sull’enfasi messa sulla «libertà di scelta» delle famiglie. «Visti i tagli
alle scuole - dice una mamma - non credo proprio che avremo tutta questa
libertà di scelta. Anzi, temo che le diversificazioni dei percorsi finiranno
per essere tarate sui portafogli delle famiglie». «Io mi ricordo il
doposcuola degli anni `50 - dice un’altra - quando tutti uscivano io
rimanevo in classe, ma non a fare scuola. Praticamente, aspettavi qualcuno
che ti veniva a prendere.
E ti sentivi diversa». «La libertà di scelta si
esercita quando ci sono pari opportunità - aggiunge Angela Nava, presidente
del Comitato genitori democratici, reduce ieri da un’audizione con la
Commissione cultura sul decreto - altrimenti è una trappola. In nome della
libertà di scelta, hanno sacrificato il diritto dei minori»
manifesto