Home > Si lotta, si vota, non ci si astiene mai
In un passo della lettera ai giudici che lo processavano per aver sostenuto l’obiezione di coscienza, don Milani scriveva che bisogna "avere il coraggio di dire ai giovani che essi sono tutti sovrani, per cui l’obbedienza non è ormai più una virtù", e poco prima: "In quanto alla loro vita di giovani sovrani domani, non posso dire ai miei ragazzi che l’unico modo d’amare la legge è d’obbedirla. Posso solo dir loro che essi dovranno tenere in tale onore le leggi degli uomini da osservarle quando sono giuste (cioè quando sono la forza del debole). Quando invece vedranno che non sono giuste (cioè quando sanzionano il sopruso del forte) essi dovranno battersi perché siano cambiate. La leva ufficiale per cambiare la legge è il voto. La Costituzione gli affianca anche la leva dello sciopero".
Il voto, appunto. Voglio ricordare, insieme alla lezione di don Milani, quello slogan di anni fa che suonava così: si lotta, si vota, non ci si astiene mai, questo ci insegnano gli operai! Vecchia storia? Può darsi. I tempi sono cambiati, i mutamenti nel mondo del lavoro sono epocali, è vero, ma preferisco continuare ad attenermi a quella lezione e ai contenuti valoriali di quello slogan piuttosto che adeguarmi alle mode di una pasticciona e spesso inconcludente modernità. A considerare il voto, sempre e comunque, un diritto-dovere e un esercizio di responsabilità personale non delegabile. Ritengo un segnale di involuzione delle società cosiddette avanzate la crescita della disaffezione da questo esercizio. Ma è solo un destino cinico e baro? No. Buona norma consiglierebbe di non invitare mai ad astenersi. E allora vengo al punto del referendum. Concordo con chi sostiene che molti problemi che riguardano i diritti di chi lavora non vengono risolti. Concordo con chi dice che le ragioni politiche dell’indizione del referendum non sono affatto nobili e nulla hanno a che vedere con la materia di cui trattasi. Ma oggi il referendum c’è. E se sarà comunque grave il non raggiungimento del quorum, sarebbe devastante la vittoria del No, per ragioni del tutto ovvie. Per questo il 15 giugno voterò Sì e inviterò a farlo. Un ragazzo che lavora presso un carrozziere mi ha detto di non capire proprio perché non dovrebbe godere del diritto di cui gode il suo amico che lavora nella piccola, ma non così piccola, fabbrichetta lì accanto. E ha aggiunto che non lo capisce neppure il suo padroncino. Piuttosto vorrei che qualche rappresentante di associazioni di categoria mi spiegasse una sola ragione, un solo risultato concreto, che possano giustificare la firma del cosiddetto "patto per l’Italia", e come mai nessuno di loro ha ancora pensato di chiedere scusa per quella firma. Oggi, poi, c’è il pronunciamento del direttivo della Cgil, una ragione in più per confermare la scelta di voto e anche per esprimere un sentimento di stima per l’organizzazione nella quale ho lavorato tanti anni e che è stata maestra di vita e di comportamenti. Vorrei provare a svolgere una considerazione più generale a proposito del voto. In occasione delle elezioni amministrative del 25-26 maggio, è forte e motivato il nostro invito di andare a votare e di votare bene, per battere cioè la destra cialtrona, arrogante e pericolosa. Dovranno farlo in tanti. Carlo, il 13 maggio del 2001, il suo ultimo voto prima di essere ammazzato, tracciò alla Camera una croce sul simbolo dell’Ulivo. Non lo aveva in grande simpatia, ma si turò il naso ed espresse quello che gli sembrò il voto più conseguente contro la destra. In questa tornata elettorale, poi, per chi si colloca a sinistra il voto è anche meno problematico, perché fortunatamente in molte situazioni si è realizzata l’unità di tutta l’opposizione. Ma il punto è proprio questo. Non finirà mai la condanna, per un numero crescente di persone, di sentirsi costrette a votare tappandosi il naso? O a non votare perché non si sentono rappresentate? C’è chi dice che l’astensionismo, che colpisce prevalentemente a sinistra, coinvolge tre milioni di persone. Una parte le abbiamo viste protagoniste della rivolta morale che ha percorso il paese in questi due anni, le abbiamo viste testimoni della straordinaria volontà di pace, di difendere e affermare diritti. Ma in quei tre milioni, e in altri ancora, persiste e si accresce lo scoramento, la delusione, la sfiducia. Chi li rappresenta? Come li rappresenta? Bastano le capriole, le promesse di nuovi impegni e di nuove iniziative politiche, le stucchevoli litanie sul riformismo, parola alla quale non si riesce mai ad aggiungere qualche sostantivo e qualche aggettivo che possa tentare di definirlo e di renderlo comprensibile, che possa far credere che non si tratti di una coperta troppo stretta e troppo corta per coprire le insufficienze, le contraddizioni, le scelte sbagliate?
Ogni giorno ha la sua pena. Tra le ultime, la ridicola speranza di un voto bipartisan su Cuba. Sacrosanta la ferma condanna. Ma è pensabile di unirsi nel voto con chi non ha la dignità morale per sostenerla, e infatti ti ricompensa subito dopo con gli sberleffi?
Padre Ernesto Balducci, un altro grande al quale siamo in molti debitori di saggezza e di insegnamenti, criticava don Milani perché soffriva, a suo giudizio, "del concetto tradizionale di obbedienza, nel quale si faceva un corto circuito tra la oboedientia fidei, che è la ragione formale dello stesso esser cristiani, e la oboedientia juris, l’obbedienza giuridica, che invece di sua natura comporta il mutamento secondo il tempo e lo spazio… La disubbidienza giuridica veniva equiparata ad una disobbedienza di fede". Spero che non sia improprio trasferire questa critica sul piano politico, dove per fede si può intendere l’appartenenza ideologica, e per diritto il contesto temporale. Da un lato, e meno male, non è più in campo l’ideologia, ci sono i valori. Dall’altro, le forme organizzate della politica hanno visto l’indebolimento crescente della rappresentanza. Se è così, e mi pare difficile sostenere il contrario, non dovremmo permetterci di confondere l’obbedienza all’appartenenza con l’obbedienza al contesto. Specialmente in un contesto di rappresentanza debole, tanto da indebolire lo stesso senso di appartenenza. Ecco allora, per tornare al referendum del 15 giugno, che quando nell’urna si conteranno i Sì mi auguro che nessuno pensi di poterseli ascrivere. Si presenterà invece, ancora più pressante, l’esigenza di una rappresentanza di quelle tante persone, donne e uomini, giovani, occupati e non, che indifferenti ad appelli difficilmente condivisibili avranno esercitato con senso di responsabilità il loro diritto-dovere, e che altrettanto difficilmente accetteranno la prossima delusione.