Home > Sognando lo spottificio del `94
È ancora un incubo il ricordo della campagna elettorale del ’94, quando, dagli schermi del
Biscione, conduttori, vallette, cantanti e attori invitavano i telespettatori a votare per Silvio
Berlusconi. La coppia di supporter più scatenata era rappresentata da Mike Bongiorno e Iva Zanicchi, ma
persino un campione di understatement come Raimondo Vianello, fece la sua dichiarazione a favore
del datore di lavoro, tradendo in un momento lo stile di una vita. Tra spot elettorali,
telemessaggi, invito al voto nel bel mezzo delle trasmissioni di quiz e varietà, fu un bombardamento a
tappeto. Niente in confronto a quello che ci aspetta se i berlusconiani riusciranno ad abolire la legge
numero 28 del 2001, più conosciuta come par condicio. Il caso Deaglio, ultimo di una sequenza ormai
insopportabile di censure attuate e minacciate, ne è una dimostrazione.
La Rai, e l’informazione
in particolare, sono umiliate da un direttore generale che non manca occasione per dimostrare la
sua obbedienza politica, anche, come in questo caso, usando pretesti in modo palesemente
strumentale. Nell’imbarazzante silenzio dei giornalisti del servizio pubblico.
Persino gli schifani e i bondi sanno che un’intervista al direttore di un giornale non comporta
che se ne debba interpellare un altro che la pensa al contrario. Ma attaccare Enrico Deaglio (tra
l’altro recidivo per aver intervistato Nanni Moretti) torna utile alla campagna contro la par
condicio, che ha bisogno di essere alimentata quotidianamente per scaldare il terreno e compattare la
maggioranza. Il drappello parlamentare di Marco Follini, capo dell’Udc, sembra spaventato dall’idea
di vedersi sommergere dagli spot di Berlusconi e tenta qualche resistenza. Ma, come è già avvenuto
per la legge Gasparri, è molto probabile che gli amici di Casini si tureranno il naso e voteranno
come il capo comanda.
Certo si resta stupiti, ogni volta, dalla protervia con cui questa destra esercita il comando.
Possibile che pur avendo già dalla sua parte tutti i telegiornali (tranne uno), tutte le reti (tranne
una), il presidente del consiglio non consenta nepppure un angolo dove abbia cittadinanza la
critica politica nei suoi confronti? In fondo Santoro, Biagi, Luttazzi, Guzzanti, erano delle eccezioni
alla regola, voci fuori da un coro dove tutti cantavano la stessa canzone di Bruno Vespa. Questa
intolleranza, tuttavia, non è dovuta al cattivo carattere del personaggio. È che in un sistema
maggioritario il regime funziona solo così. Chi sorride e fa spalluce di fronte a quel bollettino di
partito che ogni giorno va in onda su Rete4, dimostra di non capire come funziona il sistema. Due
milioni di telespettatori, tanti sono gli affezionati al Bollettino4, sono moltissimi: ne bastano
molti meno per fare la differenza nelle urne elettorali.
La par condicio stabilisce il principio contrario: nella partita elettorale tutti devono giocare
avendo in mano lo stesso numero di carte e il patrimonio personale del concorrente non deve essere
l’asso nella manica del baro di turno. Sennò la partita è truccata. Nel 2001 il cavaliere minacciò
sfracelli, ma poi si dovette adeguare alle regole della decenza, aprendo le sue televisioni ai
rappresentanti della concorrenza. Persino Rete4 dovette mandare in onda i messaggi autogestiti dei
comunisti. A mezzanotte, ma era obbligata a trasmetterli.
Un regime mediatico come quello che ogni giorno ci appare dal piccolo schermo è già un ostacolo
pesante per il quotidiano esercizio della democrazia. Nel mese che precede le elezioni la legge in
vigore tenta di arginare la tracimazione dei miliardi e dei megafoni. Un obiettivo minimo come si
addice a un paese di retroguardia. Gli inglesi hanno la Bbc e il caso Kelly. Noi abbiamo il caso
Cattaneo.
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