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«Sono nostre sorelle, vogliamo riportarle a casa»

Publie le martedì 28 settembre 2004 par Open-Publishing

Intervista a: Roberto Hamza Piccardo

ROMA «Il presidente dell’Unione delle Comunità e Organizzazioni Islamiche in Italia (Ucoii), dott. Mohamed Nour Dachan è in viaggio per Bagdhad. È in missione umanitaria, tenterà di riportare in Italia le due Simone. È un tentativo che va fatto. Lì abbiamo molti contatti». È Roberto Hamza Piccardo il segretario dell’Ucoii a spiegare le ragioni di questo estremo tentativo per favorire la liberazione di Simona Torretta e Simona Pari. Mohamed Nour Dachan, è un medico di origine siriana che da anni vive nel nostro paese, ad Ancona. È uomo di preghiera e di dialogo, riferimento religioso per buona parte degli islamici che vivono nel nostro paese e gode anche di un certo prestigio internazionale. È partito ieri in missione umanitaria con l’obiettivo ambizioso di riportare in Italia Simona Pari e Simona Torretta, le due volontarie rapite a Baghdad.

Come mai il vostro presidente ha deciso di partire per Baghdad?

«Abbiamo dato la nostra disponibilità dall’inizio di questa vicenda. Visto che sembrava non bisognava disturbare il manovratore, siamo rimasti tranquilli. Ci siamo mossi soltanto a livello politico. Abbiamo espresso con chiarezza la condanna del mondo islamico per il rapimento delle due Simone. Siamo anche scesi in piazza per questo: abbiamo organizzato 23 manifestazioni pubbliche in tutta Italia. Poi la settimana scorsa vi sono stati quegli orribili annunci delle esecuzioni. Abbiamo pensato di essere nelle condizioni di fare qualcosa e lo abbiamo fatto».

Cosa vi fa ritenere di poter fare qualcosa?

«Conosciamo il mondo islamico. Abbiamo moltissime relazioni con una grande quantità di persone. Nella nostra associazione sono rappresentate ben 54 diverse nazionalità islamiche. E poi c’è il prestigio personale del nostro presidente. Tutto questo ci ha spinto a tentare di fare qualcosa».

Avete offerto la vostra rete di contatti a chi è impegnato nei tentativi ufficiali di liberare le due Simone?

«Certo, abbiamo messo a disposizione dell”Unità di crisi” e degli amici di “Un Ponte per” la nostra rete di rapporti. Siamo stati ringraziati, ma non c’è stata nessuna richiesta precisa. È dopo di ciò che abbiamo deciso che potevano esserci le condizioni per il viaggio del presidente e nonostante i rischi anche personali che la cosa comporta, il dottor Dachan è partito per Baghdad...».

Il vostro presidente è un medico...

«Un medico e un uomo di pace. Cura la gente, lo ha fatto in Bosnia e nel Kosovo. Ha un rapporto particolare con la famiglia di Simona Pari. Più di una volta è stato nella loro casa di Rimini per essere loro vicino. L’Ucoii si era mossa con impegno anche per gli altri ostaggi italiani, i quattro vigilantes. È stata una scelta di solidarietà umana nei confronti delle loro famiglie. Una cosa diversa, ora ci sentiamo enormemente coinvolti. Il rapimento delle due Simone ci coinvolge anche a livello personale. Sono sorelle nostre, guai a chi fa loro del male».

Dachan cercherà di riportare in Italia anche il corpo di Enzo Baldoni?

«È un impegno che abbiamo preso con la famiglia di Baldoni. Avevamo sperato sino all’ultimo che la notizia dell’omicidio non fosse vera. Non si è trovato il corpo, dicono che ci sono le prove della sua uccisione. Allora cercheremo almeno di riportare indietro il corpo del giornalista italiano. Non nascondo la difficoltà della missione. I nostri referenti non hanno nulla a che fare con quelli che pensiamo possano avere in mano le due ragazze, tuttavia facciamo quello che possiamo...».

Ma chi pensate siano i sequestratori?

«Su questo preferisco non rispondere».

Il giornale del Kuwait che ha dato notizia della vostra missione umanitaria ha anche detto che i sequestratori non hanno alcuna intenzione di mettersi in contatto con «la delegazioni islamica italiana». Sarà un viaggio a vuoto?

«In questo momento in Iraq è difficile discernere le voci affidabili da quelle che non lo sono. Non vogliamo fare polemiche. Noi abbiamo notizie diverse e seguiamo la nostra strada. Quello del nostro presidente è un tentativo che va fatto».

Come siete rimasti con il dottor Dachan?

«Si farà sentire quando sarà possibile. Ora è per strada, speriamo che riesca ad arrivare dove deve arrivare e che possa incontrare chi deve incontrare. Che Dio lo protegga. Per il nostro presidente quello della sicurezza personale è l’ultimo problema, noi invece siamo preoccupati. Gli vogliamo bene. Per noi è una persona importante».

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