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Terrorismo e nuovi movimenti

Publie le domenica 2 novembre 2003 par Open-Publishing

C’è una voglia irrefrenabile nella destra italiana, nei suoi apparati di potere, nei suoi giornali, nelle sue teste d’uovo, di mettere le cose a posto, di "mettere ordine". Logico, quindi - da questo punto di vista - che l’arresto dei presunti assassini di Massimo D’Antona fosse colto come l’occasione per dare un segnale di "ordine", appunto. Come interpretare, altrimenti, la coincidenza con lo sciopero generale del 24 ottobre o i titoli "sciacalleschi" sui presunti rapporti tra brigatisti e Cgil, le connessioni costruite ad arte con il movimento "no global", e così via. Qualcuno ha scritto - Il Foglio di ieri - che il «nuovo terrorismo sta alla retorica dei centri sociali, alla mistica della democrazia negata, al mito della mediocrazia onnipotente, a certi esisti del pacifismo fondamentalista e neogobalista o noglobalista, al giustizialismo democratico, alla fine della lotta di classe diventata retorica girotondina e radicalismo pseudo liberal o altermondialismo come il vecchio terrorismo stava alla crisi di comando della fabbrica meccanizzata, alla nascita dell’operaio-massa, al terzomondismo eroico della Rote Armee Fraktion, ai vaneggiamenti di Feltrinelli coltivati sul sodo terreno dei Pietro Secchia, eccetera» (la citazione è un po’ lunga ma meritava di essere riportata per intero). Il quotidiano di Giuliano Ferrara scrive con toni più colti, anche se sempre roboanti, quello che altri sparano contro i lettori. Eppure, grazie all’argomentazione colta, è molto più semplice replicare e smentire. Perché se Rossana Rossanda, come ricorda sempre Il Foglio, poté alla fine degli anni 70 dire «la verità sul terrorismo come "album di famiglia" del comunismo di radici cominterniste», questo fu reso possibile da una storia lunga e complessa dentro la quale albergava anche un’interpretazione, folle ma possibile, dello scontro di classe: la lotta armata come espressione assoluta dell’autonomia del politico, dell’avanguardismo spinto oltre ogni limite e giustificato da una lettura idealistica, e staliniana oltre ogni misura, del partito, del «gruppo dirigente che guida le masse».

La filiazione oggi è impossibile. Perché quello che dovrebbe costituire il moderno retroterra del terrorismo non è in grado, "consustanzialmente", di giustificare alcunché. Proprio perché "movimento puro", il movimento antiglobalizzazione non contiene nessun gene potenzialmente modificabile. Nè quello avanguardista, né quello della violenza issata a strumento della lotta di classe e nemmeno quello ideologico visto che si muove sulle macerie delle ideologie ed è caricato, inconsapevolmente quasi, della necessità di ricostruire il futuro. Non c’è un apparato di pensiero, una struttura storicamente data alla quale attingere o alla quale rifarsi: non c’è "Il Partito", o "La Resistenza", o la "guerriglia armata". Niente di tutto questo costituisce elemento vitale dei nuovi movimenti. Tanto è vero che i nuovi terroristi amplificano a dismisura la loro autonomia politica, si mettono su un binario parallelo che tale resterà per sempre. Storie estranee alla nostra e non comunicanti come pure è invece accaduto negli anni settanta. Qui non ci sono «compagni che sbagliano» non ci sono più nemmeno compagni: solo deliri e spari nel buio.

Questa distinzione irriducibile tra terrorismo e nuovi movimenti, evidente a chiunque consideri i fatti fuori da forzature ideologiche, vale anche per il movimento. Che non può, non deve, mescolare il giudizio su questa inchiesta con una valutazione più complessiva sulla repressione in atto. Le inchieste contro Action o le richieste confindustriali contro la Fiom, se pure vengono indebitamente associate alle inchieste sulle br, sono, e vanno fermamente, tenute distinte da quest’ultime. Solo operazioni di sciacallaggio politico possono legarle e non bisogna assolutamente cadere in una trappola che ha l’effetto perverso di indebolire la necessaria denuncia della criminalizzazione del conflitto sociale. Una cosa è il giudizio sulle perquisizioni contro Action, un’altra la valutazione delle indagini in corso.

Anche qui, però, a un’ultima condizione. Che il garantismo valga sempre, e non solo nel caso dei Previti, dei Berlusconi o dei Cicchitto. Il modo con cui alcune delle persone arrestate - quelle che hanno respinto gli addebiti, ovviamente - sono state trattate sui giornali e in tv è indecente: specialmente quando le prove appaiono ancora poco chiare - ovviamente diverso è il caso di ammissioni esplicite. Non abbiamo mai avuto dubbi su questo, nemmeno quando a finire sotto inchiesta sono stati personaggi del centrodestra, o uomini di mafia. Ci chiediamo, piuttosto retoricamente, dove siano finiti oggi i garantisti di allora.

Salvatore Cannavò

http://www.liberazione.it/giornale/031029/LB12D6B5.asp